Letizia Battaglia, la fotoreporter, definita da molti “fotografa di mafia”, anche se lei preferiva la definizione di “fotografa contro la mafia”, si è spenta nella sua Palermo a 87 anni, per una malattia contro cui lottava da tempo, il 13 aprile del 2022.

Prima italiana a ricevere il premio Eugene Smith – il celebre fotografo di Life – nel 1985, scattò alcune delle fotografie più memorabili per la storia del nostro Paese, come quella in cui l’attuale capo dello Stato Sergio Mattarella sorregge il cadavere del fratello Piersanti, allora presidente della regione Sicilia, ucciso. Decise di smettere con la cronaca dei fatti di mafia nel 1992, dopo la strage di Capaci che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo e agli agenti di scorta.

“Ho subito la violenza, sia fisica che morale e psicologica, però ho lottato e sono riuscita a fare la mia vita”: Letizia Battaglia nasce a Palermo il 5 marzo 1935, e lotta per diventare una fotografa. Ha lottato contro la famiglia, la società e un territorio che non concepiva l’idea di una donna indipendente. In cerca della sua libertà, a 16 anni si sposa con Franco Stagnitta, un ragazzo di 22 anni e benestante.  Spera di poter continuare ad andare a scuola e a scrivere, ma non va così. Inizia a collaborare con il quotidiano palermitano L’Ora, unica donna in un mondo di uomini. Sentendosi ingabbiata dalla sua vita personale, nel 1970 decide di trasferirsi a Milano con le tre figlie e si innamora di Santi Caleca, che le trasmette la passione per la fotografia.

Intervistata nel 2019 da LetteraDonna, in occasione della grande retrospettiva alla Casa dei Tre Oci di Venezia, in cui sono stati esposti gli scatti di una carriera lunga sessant’anni, ha parlato di quegli anni difficili in cui ha deciso di andarsene, dopo aver compreso che non poteva essere il matrimonio a salvarla da un piccolo mondo antico che le andava stretto e che voleva imporle le sue regole.

Non mi sono fatta condizionare. Certamente ho dovuto lottare per liberarmi e poco prima dei 40 anni ho iniziato a realizzare ciò che desideravo. Quando ero piccola ho dovuto fare i conti con un padre molto geloso, non mi permetteva di uscire di casa. A 14 anni, solo perché mi vide con un ragazzo, decise di chiudermi in un collegio per cui a 16 decisi di sposarmi pensando che sarei stata libera.

E quando Letizia Battaglia ha capito che non era quella la libertà, se n’è andata.

È stato molto penoso, doloroso e faticoso. Avrei voluto essere fedele tutta la vita, ma lui possedeva idee e approcci molto legati a una certa forma mentis mentre io ero avanti, volevo frequentare l’università e lavorare.

Nel capoluogo lombardo comincia a scattare per il settimanale Le ore, ritenuto “osé”: non ha studiato fotografia, ma ha grande istinto e sensibilità, che le permettono di ottenere piano piano molta credibilità.

È stato molto complicato perché non ero abbigliata come i maschi ed ero carina. Sono sempre stata una persona libera, ma nel rispetto degli altri. Grazie al lavoro di cui mi sono appassionata ho finalmente conquistato me stessa. Il mio è un mestiere particolare perché va incontro alla società: io me ne impossesso e, al contempo, riverso me stessa nella società. Fotografare è un po’ come fare l’amore.

Dal 1974 comincia a documentare un periodo molto buio per la sua Palermo, devastata dalla mafia e dagli attentati. Immortala le attività mafiose del clan dei Corleonesi e il 6 gennaio 1980 è la prima fotoreporter a giungere sul luogo in cui è stato ucciso Piersanti Mattarella, politico della DC e fratello dell’attuale Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

Diventata ormai famosa in tutto il mondo per i suoi scatti in bianco e nero, negli Anni Ottanta Letizia Battaglia continua a raccontare le luci e le ombre di Palermo, soprattutto attraverso gli occhi di bambini e donne. Parlando con Artribune di una delle sue foto più celebri, quella della bambina con il pallone, Letizia Battaglia ha raccontato di aver ritrovato quel volto dopo tanti anni.

Trovo sorprendente il valore di una fotografia, il fatto che possa davvero procedere da sé. Così come è successo per la bambina con il pallone, l’ho ritrovata adulta dopo 38 anni: avevo davanti questa donna bellissima, buona, gentile, che ha vissuto la sua vita lontana da me anche se io ho sempre tenuto la “bambina col pallone” vicina, con questo sguardo grave in un essere così giovane. Ecco, ora quel ritratto ha un altro significato. È stupendo avere un archivio, tenerlo e mantenerlo.

Come spesso accade per i grandi, però, Battaglia ha sempre mantenuto intatta la propria umiltà:

Nella sua lunga carriera, si è dedicata a tante passioni diverse.

Io non credo nemmeno di essere una fotografa, sono una persona eclettica che ha fatto e fa fotografie, sempre con molta passione. Non mi chiudo in questo ruolo, anche se alla mia età sarebbe comodo dire: ‘Sono la fotografa Letizia Battaglia’. No, sono una persona, una donna, un essere che soffre, che è stanco, a cui fa male la schiena e che ancora fa fotografie.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!