Ogni persona ha dei bias cognitivi. I bias sono “pregiudizi”, deformazioni della realtà che la nostra mente produce, ma non hanno radici ambientali o educative come i normali pregiudizi. Immaginiamo che la nostra mente sia come un’applicazione per il computer e che questa applicazione abbia un bug: i bias sono il bug della nostra mente, quell’errore che compromette il nostro giudizio nei confronti della realtà.

Uno dei bias più comuni è chiamato effetto alone. Di cosa si tratta?

In cosa consiste l’effetto alone?

Come si legge su VeryWellMind, si tratta appunto di un bias cognitivo in base al quale l’impressione generale che abbiamo di una persona è influenzata da un tratto percepito della sua personalità. Non è come nella sineddoche, quella figura retorica in cui si nomina una parte per definire il tutto, ma invece l’effetto alone prende la percezione su una caratteristica e la estende ad altre potenziali caratteristiche.

Come quando potremmo essere portate a pensare che una persona di bell’aspetto possa essere anche intelligente o colta, o al contrario una persona che non corrisponde a determinati standard estetici, possa essere stupida o ignorante.

In questo senso l’effetto alone prende anche il nome di “stereotipo dell’attrattiva fisica”. È come se ogni persona fosse circondata da un alone, una sorta di fascino positivo o di aura negativa, per cui la giudichiamo in toto basandoci solo su essi.

Esperimenti e ricerche

Dobbiamo partire da lontano, da un esempio negativo, per capire meglio come la scienza si sia evoluta in tal senso. Questo esempio negativo è rappresentato per esempio dalle teorie di Cesare Lombroso, che studiava cranio e aspetto dei criminali, adducendo la teoria che ciò che è “brutto” è anche cattivo, immorale.

Naturalmente queste teorie sono confutate da tempo, ma è bene tenerle a mente, anche per capire come l’osservazione di tipo scientifico si sia fortunatamente evoluta.

L’espressione effetto alone fu coniata da Edward Thorndike nel 1920, all’interno di un articolo dal titolo The Constant Error in Psychological Ratings. L’articolo si basava su uno studio che comprendeva un campione significativo dell’esercito: agli ufficiali venne chiesta una valutazione sui soldati sulla base di aspetto, intelligenza, affidabilità e leadership. Thorndike scoprì che la valutazione positiva di una delle caratteristica corrispondeva a valutazioni positive a tutto campo e che, al contrario, la valutazione negativa di una caratteristica portava a una valutazione negativa complessiva, chiosando:

Le correlazioni erano troppo alte e troppo uniformi.

Esistono diversi studi successivi che provano la teoria di Thorndike, ma con esiti differenti. Per esempio: c’è chi crede che un bell’aspetto trovi corrispondenza con altre qualità come talento o intelligenza, ma c’è anche chi crede che un bell’aspetto sia sinonimo di superficialità o addirittura di stupidità. È il pregiudizio della “bionda”, della Barbie come un guscio vuoto, che naturalmente non corrisponde alla realtà come tutte le generalizzazioni.

Come l’effetto alone può influenzarci

Uno delle conseguenze più comuni dell’effetto alone si ha nei confronti delle celebrità. Quanti attori o cantanti, seppur pieni di talento, non seguiamo o addirittura disprezziamo perché percepiamo alcuni loro atteggiamenti come antipatici? O invece quanti altri personaggi famosi seguiamo e apprezziamo basandoci solo su una delle loro doti e magari neppure quella principale per cui sono noti? Esistono perfino attori che non hanno visto decollare la loro carriera perché ritenuti troppo affascinanti.

Il concetto trova una spiegazione visiva nell’arte sacra. I santi e gli angeli vengono ritratti con un’aureola sulla testa, eppure nell’agiografia o nelle scritture non tutto appare positivo del loro operato, per esempio quando pensiamo agli angeli vendicatori.

Nella vita di tutti i giorni possiamo pensare all’impatto che la teoria dell’effetto alone ha sulla scuola: i docenti possono infatti giudicare diversamente gli studenti e non solo in base al rendimento scolastico, ma anche in base alla percezione attrattiva, ovvero le famose “simpatie dell’insegnante”. Viceversa comunque anche gli insegnanti vengono percepiti in questo modo dagli studenti. E lo stesso può accadere sul luogo di lavoro, andando a impattare in ultima analisi il reddito.

Un altro risvolto lo abbiamo nella cronaca nera. Quante volte, ascoltando una notizia al telegiornale, dove vediamo i volti di imputati in un processo, siamo convinti della loro colpevolezza in base all’aspetto fisico (proprio come nelle teorie lombrosiane)? Oppure anche di fronte a casi giudiziari in cui c’è un colpevole certo, in base a prove scientifiche e condannato con una sentenza passata in giudicato, ci facciamo influenzare dalla sua storia e dall’immagine che restituisce all’esterno.

In buona sostanza, è possibile che ciascuno di noi, almeno una volta nella vita, sia incappato nell’effetto alone. Come per tutti i bias c’è una strada da percorrere: interrogarci su noi stessi per comprendere se i nostri giudizi siano legati appunto a questo pregiudizio oppure siano genuini.

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