Se avete aperto un giornale o navigato sui social negli ultimi mesi, ci sono ottime probabilità che vi siate imbattuti nel termine “quiet quitting”, il fenomeno per cui un numero sempre maggiore di persone stanno “rallentando” i ritmi della propria attività lavorativa, limitandosi a svolgere bene i propri compiti ma senza sentire la pressione di dover sempre dare di più e rinunciando all’idea che il lavoro sia ciò che definisce la propria esistenza.

Meno frequente è sentire parlare di “quiet firing”, un fenomeno meno celebre ma non per questo minoritario: secondo uno studio, anzi, lo avrebbero incontrato nel corso della propria carriera addirittura più di otto lavoratori su 10. Di cosa si tratta?

Che cos’è il quiet firing?

Il nome può essere nuovo, ma il termine “quiet firing” descrive una pratica che esiste da decenni, come mostra un sondaggio di LinkedIn secondo cui su oltre 20.000 intervistati addirittura il 48% dei dipendenti ha visto “licenziamenti silenziosi” sul posto di lavoro e il 35% ha dovuto affrontarli durante la propria carriera.

Si tratta un approccio che potremmo definire passivo-aggressivo alla gestione delle risorse di un’azienda o un’attività: invece di affrontare direttamente i dipendenti e individuare strategie di miglioramento o licenziare i membri del team le cui prestazioni non sono soddisfacenti – o che non sono apprezzati a livello personale – i datori di lavoro preferiscono rendere gradualmente l’ambiente di lavoro insopportabile spingendo il dipendente ad andarsene volontariamente.

Questo non significa creare necessariamente un ambiente di lavoro ostile o tossico, ma fare in modo che il lavoro diventi così insoddisfacente e senza prospettive che i dipendenti non riescono a vedere altra possibilità se non quella di cambiare azienda.

Ma come rendersi conto se siamo vittime di licenziamento silenzioso? Ashton Jackson ha indicato su Cnbc i 7 segnali del quiet firing:

  • Non hai visto un aumento di stipendio dopo uno o due anni.
  • Non ricevi alcun feedback significativo dal tuo manager.
  • Il tuo manager evita di interagire con te.
  • Vieni spesso scelto per rispondere alle domande più difficili durante le riunioni del team o dell’azienda.
  • Le tue idee vengono ignorate.
  • Non vieni messo alla prova su attività sfidanti né ti vengono offerte ulteriori opportunità e progetti.
  • Sei escluso da riunioni, eventi e/o incontri sociali.

Quiet quitting e quiet firing

Questi due fenomeni potrebbero sembrare due facce della stessa medaglia, ma sono in realtà profondamente diversi.

Il quiet quitting, infatti, nonostante alcuni vedano (erroneamente) in questo trend la volontà di fare il minimo indispensabile per non essere licenziati, nella pratica non significa essere dei “fannulloni che non vogliono fare il proprio lavoro” – o vogliono farlo il più pigramente possibile – ma di avere un approccio completamente nuovo al mondo del lavoro. Non si tratta di abbandonare il posto di lavoro, quanto piuttosto di evitare il burnout lavorativo e di prestare maggiore attenzione al proprio benessere, rifiutando l’idea di dover sempre overperformare e che il lavoro debba essere la nostra vita.

Il quiet firing, invece, è esattamente quello che sembra: un modo per rendere il posto di lavoro il meno possibile attraente nella speranza che un dipendente finisca per licenziarsi. Non è, come alcuni vorrebbero “una risposta al quiet quitting”, ma una strategia, affatto nuova, per allontanare i dipendenti non graditi senza farlo apertamente.

Come contrastare il fenomeno?

Essere vittime di quiet firing può essere profondamente impattante sul benessere professionale e personale e l’effetto è spesso quello di sentirsi incompetenti, isolati, non all’altezza.

Sebbene sia difficile, superare il silenzio e l’isolamento è fondamentale per reagire: parlare con il proprio manager o con le risorse umane e cercare una connessione con il team e gli altri colleghi sono il primo passo per capire se la tua è una sensazione o se effettivamente c’è una situazione critica e, in questo caso, se può essere ancora salvabile.

Se non lo è e capite che è il momento di andarvene, fatelo alle vostre condizioni: cercate un piano B, pretendete una buonuscita più che congrua o “ribaltate il tavolo” e spingete il vostro datore di lavoro ad assumersi la responsabilità di quel licenziamento che vorrebbe fare in maniera “silenziosa”, ufficializzando la fine unilaterale del rapporto di lavoro.

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