Nella notte tra il 14 e il 15 marzo del 2018 la consigliera comunale di Rio de Janeiro ed esponente del Partito Socialismo e Libertà brasiliano Marielle Franco moriva, uccisa nel corso di un agguato durante il quale perse la vita anche l’autista dell’auto su cui l’attivista viaggiava, Anderson Pedro Gomes.

Franco, madre adolescente, sostenitrice del diritto all’aborto in casi di precisa gravità, impegnata nelle questioni di genere in sede di lavoro, sul razzismo e sull’omobitransfobia, lottava da anni contro i gruppi della criminalità organizzata e per i diritti delle donne, dei giovani nelle favelas, delle persone Lgbt e delle altre comunità emarginate, entrando in politica fin dal 2006, a soli 25 anni. Nella sua carriera politica ha presieduto la Commissione per la difesa delle donne e ha fatto parte di una Commissione incaricata di monitorare l’azione della polizia federale a Rio de Janeiro, fino al giorno del suo assassinio. Proprio in questo ruolo ha più volte rimarcato e denunciato gli abusi della polizia brasiliana e le gravi violazioni dei diritti umani.

Tanto che solo pochi giorni prima del suo omicidio aveva accusato i reparti della polizia militare della favela di Acari, dove era stato ucciso Matheus Melo, assistente di un sacerdote.

Quanti devono ancora morire prima che questa guerra finisca?

Scriveva Franco a commento di quell’omicidio.

Appena pochi giorni dopo è toccato proprio a lei, freddata con quattro colpi alla testa. Per il suo assassinio sono stati arrestati nel marzo del 2019 due ex poliziotti, il sergente della polizia militare Roni Lessa, accusato di aver sparato, e l’agente Helio Vieira de Queiroz, sospettato di essere il suo autista. Sono loro gli uomini accusati di essere i sicari che, la notte tra il 14 e il 15 marzo, affiancandosi all’auto su cui viaggiava Marielle Franco, hanno esploso nove colpi, ferendo mortalmente l’attivista, il suo autista, e colpendo in maniera grave anche la sua addetta stampa.

Il nome “caldo” circolato attorno all’omicidio di Franco, nel 2019, è stato però quello del presidente brasiliano Jair Bolsonaro, le cui posizioni ultra-conservatrici e maschiliste sono ben note; Rede Globo avrebbe infatti portato la testimonianza di un portinaio definita “compromettente” per il presidente, che ha risposto con un video in cui è apparso decisamente infuriato. L’attendibilità della testimonianza è stata messa in discussione nei giorni successivi, e ovviamente smentita dalle autorità brasiliane.

Nonostante la sua morte, il lavoro di Marielle Franco però non si è fermato: il suo testimone è infatti stato raccolto dalla compagna, Mônica Tereza Benício, eletta proprio nello stesso posto della moglie, il municipio di Rio de Janeiro, come consigliera, e risultata la terza donna più votata in tutta Rio.

Il mio primo impegno è affrontare il bolsonarismo. Incarna l’odio verso tutto quello che sono le donne.

Sono state le prime parole di Benício. A più di due anni dalla morte di Marielle, al momento della sua decisione di candidarsi, peraltro, Mônica Tereza ha pubblicato bellissime parole per ricordarla, ma anche per chiedere giustizia sul suo omicidio.

2 anni e 8 mesi senza di lei. 32 mesi senza una risposta.

Questo è un giorno 14 diverso dagli altri che compongono il mio lutto. Lo stesso vuoto, lo stesso desiderio e, infelicemente e tristemente, la stessa domanda. Ma oggi ci sono anche alcune riflessioni specifiche. Questo ha a che fare con il fatto che lei oggi starebbe terminando la sua campagna e noi saremmo ansiosi e desiderosi di digitare il suo numero nell’urna, per celebrare la rielezione di una grande donna, nera, che viene dalla favela, femminista, LGBT, anticapitalista. Una gigante.

Non è stata una decisione semplice candidarmi e passare attraverso il duro processo elettorale con tutti questi pensieri. E questo per diverse ragioni. Uno di questi era proprio la costante riaffermazione della sua assenza fisica, ora in un altro modo. L’assenza da un momento che amava e che sapeva come far vivere.

Il dolore di non vederla per le strade a incantare la gente con il suo sorriso mi accompagnava in ogni agenda. E rimane qui.

Sono stati l’affetto, il sostegno e la guida di coloro che la amano, che hanno costruito la politica con lei, e che sono ancora al mio fianco, a sostenermi.

È stato soprattutto il mio rispetto per tutto ciò che abbiamo vissuto come coppia e come compagne di vita che mi ha portata qui. Il mio impegno verso la sua memoria, verso i sogni per il mondo che abbiamo condiviso, è ciò che mi fa andare avanti, anche se profondamente ferita dentro. Un impegno concordato quando ci siamo incrociate per la prima volta, consolidato nel primo sguardo.

Impegno che mi ha fatto rassegnare il lutto nella lotta e dedicare la mia vita alla trasformazione della realtà che ce l’ha portata via. Impegno che mi fa continuare a chiedere giustizia ovunque mi trovi,  ripetendo la domanda che è decisiva e che definisce la direzione del nostro Paese:

Chi ha ordinato l’uccisione di Marielle Franco?

A lei, il mio amore per sempre. Alla lotta, la mia volontà sempre. Per lei. Per noi.

E a Repubblica Benício – che dopo la morte di Marielle Franco si è allontanata dal Brasile per un po’, anche per le minacce subite – ha dichiarato: “Magari non quest’anno, vista la mole di prove e documenti. Ma giustizia sarà fatta. È un dovere”.

Più recentemente, commentando l’attentato all’assessora Carolina Iara, Monica Tereza Benício  ha dichiarato: “In Brasile il potere uccide nella totale impunità […] Questa violenza viene esercitata sulle donne, sui gruppi LGBTI, sulla popolazione nera, indigena, dei quilombos [le comunità degli schiavi liberati, ndr.] e sui poveri in generale, rimarcando questo ‘non luogo’ in cui sono stati relegati questi segmenti di popolazione.

Il governo di Jair Bolsonaro ha espresso la chiara volontà di rimuovere questi corpi dal dibattito e dalla politica istituzionale. Marielle e il suo autista Anderson Gomes sono stati assassinati alle 21:00 a Rio de Janeiro, una delle capitali più grandi del mondo, con un modus operandi che non lasciava dubbi sul fatto che si trattasse di un reato politico; quasi per non confonderlo con un tentativo di rapina, né il suo portafoglio né i suoi oggetti personali sono stati toccati. Questo travalica i limiti di un sistema democratico, la discussone qui è tra democrazia o barbarie.

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