Molto spesso parliamo di relazioni tossiche, intendendo con questo termine generalmente i rapporti di coppia, quelli di dipendenza affettiva o caratterizzati da situazioni di abuso. Ma una relazione tossica è anche quella che si può instaurare all’interno di una famiglia, fra coniugi, ad esempio, ma anche fra genitori e figli.

Per riconoscere una famiglia tossica devono essere osservati alcuni segnali e campanelli d’allarme particolari.

Quando la famiglia diventa tossica?

Quando una famiglia può essere definita tossica? Sicuramente, se manca il rispetto dello spazio vitale dei membri, e si trasformano quelle che sono definite dinamiche affettive libere in dinamiche affettive coercitive, si riscontrano elementi di tossicità all’interno del nucleo familiare.

I membri della famiglia acquisiscono atteggiamenti estremi di iper-protezione o di aggressività, che impediscono uno sviluppo socio-affettivo equilibrato – spiega il dottor Matteo Radavelli, di Guidapsicologi.it –  Evitare di affrontare un problema è una delle caratteristiche più comuni, la comunicazione è deteriorata. In questo caso, il silenzio trasmette tensione e pericolo, lasciando i soggetti a convivere con il messaggio discordante ‘va tutto bene, non c’è nulla che non va’. Un altro esempio è l’assenza di flessibilità in tutti gli ambiti, infatti se uno dei membri della famiglia cambia, sopraggiunge tensione.

In una famiglia tossica le critiche non sono costruttive, ma assumono la forma di veri e propri giudizi nei confronti dei figli e delle loro scelte, tanto che, persino in età infantile, questi potrebbero sentirsi non amati e addirittura rifiutati. Un altro esempio di famiglia tossica è quello in cui ai figli, anche molto piccoli, vengono lasciate le incombenze della casa, come occuparsi dei fratelli più piccoli, cucinare, o chiedere loro che forniscano lo stesso supporto emotivo di un adulto.

Un familiare tossico potrebbe inoltre attaccare i punti vulnerabili e sminuire l’autostima della persona cui si rivolge. Insomma, i meccanismi e le dinamiche di tossicità sono ovviamente le medesime di un rapporto di coppia caratterizzato da dipendenza, spostato però nel contesto genitori-figli.

Come riconoscere una famiglia tossica e disfunzionale

Spesso i figli non riescono a vedere le cose con obiettività e a comprendere di trovarsi in una famiglia tossica, perché crescono in quel determinato ambiente e non è quindi semplice capire che quel modello familiare sia sbagliato e nocivo. In questo caso, proprio come accade nelle relazioni a due caratterizzate da tossicità, è soprattutto chi è all’esterno che può cogliere meglio i segnali di pericolo. In generale, una famiglia tossica è caratterizzata da:

  • conflitti costanti;
  • mancanza di rispetto o abuso e violenza fisica o verbale, che può presentarsi tra genitori, genitori e figli, fratelli;
  • critiche non costruttive;
  • mancanza di comunicazione;
  • manipolazione ed eccesso di controllo: la persona o le persone tossiche di famiglia tendono a controllare gli aspetti della vita personale e professionale degli altri nell’ambiente familiare;
  • manipolazione emotiva: si usa il ricatto emotivo, l’inganno (“Se fai così significa che non mi vuoi bene” oppure “Non ti voglio più bene”);
  • confusione dei ruoli familiari: i figli vengono investiti di ruoli che non gli competono;
  • distanziamento emotivo, rapporto affettivo freddo, mancano gli abbracci, i baci, l’ascolto;
  • aspettative non realistiche: i genitori riversano le proprie ambizioni mancate sui figli, eccedendo spesso in disciplina (ad esempio vengono richiesti ai figli sforzi eccessivi in una disciplina sportiva, o uno studio esagerato);
  • abuso di droghe o alcol. Le dipendenze sono ovviamente molto pericolose per l’equilibrio e la serenità di una famiglia.

Le famiglie tossiche e le persone LGBTQ+

Una famiglia tossica e disfunzionale può essere teoricamente fatale per una persona LGBTQ+: una persona che ha da poco preso consapevolezza del proprio orientamento sessuale, o di avere la disforia di genere, ad esempio, può incontrare ulteriori problemi di accettazione di se stesso/a se si trova in un ambiente familiare che non accetta l’omosessualità, la transessualità o il non binarismo.

Spesso, se trovano il coraggio di fare coming out con i genitori, vengono letteralmente rifiutati, e allontanati da casa; non è un caso se esistono strutture pensate proprio per ospitare ragazzi e ragazze buttati fuori casa da madri e padri incapaci di amarli al di là di orientamento sessuale o identità di genere, come Casa Arcobaleno, ad esempio, abitazione aperta a Milano nel 2019 dalla cooperativa sociale Spazio Aperto Servizi, in collaborazione con il Comune.

Tutti gli atteggiamenti sopra elencati che appartengono a una famiglia tossica sono ovviamente ampliati, e potenzialmente deleteri, nel caso di una persona LGBTQ+, che spesso si trova di fronte a un tremendo bivio: o reprimere il proprio essere, per far sì di essere accettato dai familiari, con pesantissime conseguenze psicologiche, oppure parlare loro apertamente, con le conseguenze cui abbiamo accennato qui sopra.

In estrema ratio le famiglie possono addirittura costringere figli e figlie alle cosiddette terapie di conversione che, benché lo si pensi, non appartengono solo al contesto americano: nel nostro Paese, infatti, non esiste al momento una normativa che le vieti espressamente, come invece accade in Germania, Brasile, Malta, e in alcune parti di Spagna, Canada e Australia.

C’è stato, nel 2016, un disegno di legge presentato dal presidente onorario di Arcigay Sergio Lo Giudice insieme ad altri 17 senatori, ma la proposta non è mai stata discussa. Per Lo Giudice non esiste una casistica molto ampia, ma il tema “esiste, c’è sicuramente un sommerso molto forte e il divieto di queste terapie rimane uno dei tanti capitoli che andrebbero affrontati sul tema dei diritti Lgbt” ha spiegato a Osservatorio Diritti.

Famiglia tossica: cosa fare?

Radavelli afferma:

I componenti di queste famiglie si sentono obbligati a stare uniti, non mantengono vivo il vincolo per volontà propria. L’unione, in realtà, non è altro che una presenza molto arida. Una persona cresciuta a contatto con un ambiente tossico, che mina la sua individualità, diventa spesso vittima del bisogno di approvazione.

Anche la dottoressa Katherine Fabrizio, specializzata nel rapporto tra figlie e madri tossiche, spiega:

Se finisci per sentirti male con te stesso dopo la maggior parte degli incontri con un membro della famiglia, probabilmente c’è una buona ragione, che vale la pena esaminare.

Insomma la prima cosa da fare è prendere consapevolezza del problema e questo, come detto, spesso si rivela anche il compito più difficile, perché c’è il rischio di considerare “normalità” qualcosa che non lo è affatto. Dopo aver preso coscienza di vivere in una famiglia tossica è estremamente importante lavorare su se stessi, perché non è affatto detto che chi viene da una famiglia caratterizzata da tossicità non possa comunque vivere una vita equilibrata e serena.

Comprendere, approfondire e conoscere tutto ciò che ha generato la tossicità è il primo passo affinché si possano sviluppare punti di vista e prospettive diverse, rispetto a se stessi ma anche ai propri familiari.

Per capire se si è in una famiglia tossica ci sono persino test e quiz disponibili in rete.

Infine, ricordiamo che prendere le distanze e allontanarsi da una famiglia tossica non è sbagliato, ma spesso è piuttosto l’unica soluzione per avere l’opportunità di costruire una propria vita. La famiglia è, per antonomasia, il luogo della sicurezza, della cura e della protezione, e laddove si vive in un ambiente che non può offrire nulla di tutto ciò non può essere sufficiente un vincolo biologico o di sangue per costringere una persona a rimanere in una situazione evidentemente deleteria e nociva.

Deve essere garantito il diritto, a ogni persona cresciuta in una famiglia tossica, di ricostruirsi, anche lontano da quel contesto così sbagliato.

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