Il 69% dei ginecologi è obiettore di coscienza: quanto è difficile abortire in Italia

Nonostante il diritto di aborto sia garantito da una legge dello Stato, l'accesso risulta sempre più complicato a causa del numero sempre crescente di personale obiettore. Ma sappiamo davvero come funziona l'obiezione di coscienza nel nostro Paese?

Nonostante da più di 40 anni sia garantito, secondo la legge, il diritto di aborto, molte persone hanno ancora grandi difficoltà ad accedere ai servizi di interruzione volontaria di gravidanza.

Il motivo principale lo troviamo facilmente spulciando i dati della relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194/78: il 69% dei ginecologi si dichiara obiettore di coscienza.

La percentuale, già di per sé preoccupante, raggiunge il suo picco nella regione Molise, dove il tasso di obiezione si assesta al 92%. Considerate, dunque, che di fronte alla volontà di interrompere volontariamente una gravidanza, 7 medici su 10 vi diranno di no, per provare a capirci.

A dirci che l’Italia ha evidentemente un problema con l’obiezione di coscienza ci pensa anche il comitato della carta sociale europea, organo del Consiglio d’Europa, che analizzando gli ultimi dati a disposizione, relativi al 2018, ha affermato che in Italia è ancora troppo difficile abortire.

Il comitato ha evidenziato un aumento del numero di obiettori di coscienza, tanto da spingere il 5% delle donne che cercano di abortire, a doversi spostare da una regione all’altra.

Come funziona, esattamente, l’obiezione di coscienza in Italia?

L’obiezione di coscienza è regolata dalla legge 194/78, una legge composta da 22 articoli, dove al punto 9 troviamo tutto quello che riguarda i termini dell’obiezione.

Nell’articolo 9, comma 3, si afferma che “L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.

Questo significa che il personale medico può astenersi da tutte quelle attività che riguardano l’aborto, ma non può negare l’assistenza che non riguardi strettamente l’aborto stesso, per cui il prima e il dopo dell’intervento o dell’assunzione farmacologica.

Sottolineo qui il termine “esonero”, ovvero l’esenzione di adempimento a un determinato obbligo.
Lo sottolineo perché sembra che oltre al danno si assista anche la beffa, in particolare nell’aspetto interventista da parte di taluni, che oltre a dichiararsi obiettori operano azioni di dissuasione e palese contrarietà rispetto alla scelta della donna.

Ecco, questo non è possibile e soprattutto non è lecito. Non è lecito sentirsi dire frasi offensive o giudicanti circa la nostra scelta di interrompere una gravidanza, nemmeno da chi sceglie l’obiezione di coscienza.

L’obiezione di coscienza è applicabile in qualunque caso?

No. Leggiamo sempre nella legge 194/78: “L’obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.

Dunque, in caso di pericolo per la vita della donna, l’obiezione non solo non può essere invocata, ma decade naturalmente in quanto la priorità, anche a livello giuridico, riguarda la vita della donna gravida.

Deve essere sempre garantito un numero di medici non obiettori all’interno delle strutture sanitarie pubbliche?

In teoria sì. Dico in teoria, in quanto basta fare due semplici calcoli per capire che se 7 medici su 10 sono obiettori di coscienza e almeno il 5% delle donne è costretto a migrazioni extra-regionali, allora non in tutti gli ospedali è garantito un numero congruo di medici non obiettori.

Ma continuiamo a leggere cosa ci dice in merito la legge 194: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale.”

Questo punto risulta particolarmente interessante, in quanto le regioni dovrebbero monitorare e verificare che in tutte le strutture in cui si pratica l’IVG sia sempre garantito il diritto di abortire con la presenza di un numero congruo di personale non obiettore.

Mi chiedo, tuttavia, in che termini e che modalità questo monitoraggio debba essere effettuato, e soprattutto se non sarebbe il caso di garantire per ogni regione pratiche di trasparenza e controllo anche da parte dei cittadini e cittadine, che in troppi casi si trovano a peregrinatio infinite per individuare un ospedale che garantisca questo diritto.

Può essere invocata l’obiezione di coscienza per la contraccezione d’emergenza?

Assolutamente no. La contraccezione d’emergenza, in particolare la pillola del giorno dopo e dei cinque giorni dopo, non rappresenta una pratica abortiva, ma come suggerisce il nome stesso, rientra tra i metodi contraccettivi.

Infatti, la contraccezione d’emergenza agisce prevenendo l’ovulazione oppure, qualora l’ovulo sia già stato fecondato, impedisce l’annidamento dell’ovulo stesso. Se invece l’ovulo è già innestato, non ci sarà alcun tipo di azione.

Alla luce di queste considerazioni, dunque, non è possibile appellarsi all’obiezione di coscienza per un farmaco che non è in alcun modo abortivo. Nel caso si verificassero episodi contrari, potete rivolgervi alla piattaforma di Obiezione Respinta.

È innegabile come la legge 194/78 non sia, nei fatti, sufficiente a garantire il diritto di accesso all’aborto, soprattutto a causa dell’obiezione di coscienza, che continua ad essere un reale impedimento per i diritti delle donne.

È necessario, soprattutto da parte delle istituzioni, prendere una presa di posizione netta rispetto a queste difficoltà, per rispondere all’Europa che continua a chiederci adeguamenti in materia, ma soprattutto per rispondere alle migliaia di donne che continuano ad elemosinare i propri diritti.

Non possiamo e non vogliamo accettare giochi al ribasso e scarne soluzioni di compromesso. Vogliamo tutto, e lo vogliamo subito.

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