Nonostante in Italia l’aborto sia regolamentato da una legge, la 194/78, quello di fronte al quale ci troviamo è uno scenario in cui a farla da padrone ci sono la difficoltà di accesso ai servizi e ad informazioni corrette. Il tutto si è acuito ancora di più in periodo di emergenza pandemica, laddove molti servizi in ospedali e consultori si sono notevolmente ridotti, rendendo, di fatto, l’aborto un percorso ad ostacoli.

In Italia non è semplice abortire, per nulla; le persone che scelgono di interrompere una gravidanza hanno spesso paura di non rientrare nei tempi prescritti dalla legge, temono di incontrare sul loro percorso personale obiettore che impedirà loro di accedere all’interruzione di gravidanza, temono che le strutture siano oberate di richieste e che verranno slittate a date troppo lontane.

Tutte paure fondate, c’è da dirlo. Non stiamo parlando di fantasie peregrine, basti pensare ai dati dell’ultimo report del Ministero della Salute sull’attuazione della legge 194/78 per l’anno 2018, dove la percentuale di personale obiettore si aggira intorno al 69% (il raffronto con la vicina Francia dove il tasso di obiezione risulta al 3% è impietoso). Queste percentuali possono in minima parte raccontarci lo spaccato di un Paese in cui, evidentemente, il diritto sancito da legge e l’accesso ai servizi per quel determinato diritto non vanno sempre di pari passo.

Proprio per questo, ci potrebbe fare comodo avere sotto mano qualche consiglio utile nel caso ci si trovasse di fronte alla necessità di dover interrompere una gravidanza senza sapere da dove partire.

Dopo qualche giorno di ritardo ti sei fatta coraggio e hai deciso di fare il test? È risultato positivo ma una gravidanza proprio non ci voleva in questo momento? Ecco, tiriamo un bel respiro, fermiamoci e vediamo come procedere.

Ricordiamo, perché fa sempre bene, che l’aborto è una procedura medico-sanitaria assolutamente sicura.

Qual è il primo passo?

Ottenere il certificato per l’IVG, un documento in cui si attesti lo stato di gravidanza, il numero di settimane e la volontà della persona di non voler proseguire la gravidanza. È possibile procurarsi il certificato in consultorio, dal proprio medico di base oppure da un ginecologo privato, tuttavia ricordiamo che nei primi due casi il procedimento è totalmente gratuito.

Prima di recarsi da uno di questi professionisti è sempre bene effettuare delle analisi del sangue che rilevino le Beta-hCG, detti anche gli ormoni della gravidanza. Basterà poco più di mezza giornata per ottenere i risultati, che ci permetteranno di capire anche il numero di settimane in cui ci troviamo.

Il certificato per l’IVG può essere di due tipi: normale, tale per cui dal rilascio sono previsti, secondo la legge 194/78, 7 giorni obbligatori di riflessione, in caso di eventuale “illuminazione” sulla nostra decisione, oppure d’urgenza, per cui se si è in prossimità della scadenza delle settimane o intercorrono condizioni psico-fisiche particolari, non è necessario aspettare i giorni canonici e sarà possibile prenotare immediatamente.

Quanto tempo abbiamo per abortire?

Per l’aborto farmacologico, secondo le nuove linee guida del Ministero della Salute, le settimane si sono estese a 9, mentre per l’aborto chirurgico le settimane previste sono 12. Ricordiamo che il limite si estende a 22 settimane in caso di IVG terapeutico, laddove sussistano malformazioni fetali, gravi patologie o pericolo di salute per la persona che sta portando avanti la gravidanza.

Ottenuto il nostro bel certificato, se siamo in tempo, possiamo scegliere tra l’aborto farmacologico e quello chirurgico. Il primo tipo consiste nella somministrazione di due farmaci a due giorni di distanza, il mifepristone e il misoprostolo. Sempre secondo le nuove linee guida del Ministero della Salute, non è più previsto l’obbligo di ricovero di 3 giorni.

L’aborto chirurgico, invece, è un intervento medico chirurgico che dura circa 10 minuti, in anestesia, comporta un ricovero in day hospital, per cui si andrà la mattina dell’intervento e si verrà dimesse nel pomeriggio.

Qual è la scelta migliore?

In realtà, nonostante l’aborto farmacologico non comporti un intervento, risultando quindi meno invasivo, non è possibile dare una risposta definitiva; per i motivi più disparati possiamo preferire l’una o l’altra opzione, quindi sicuramente la scelta migliore è quella che ci fa sentire più sicure e tutelate.

Ricordiamo, perché fa sempre bene, che l’aborto è una procedura medico-sanitaria assolutamente sicura.

Sempre per le limitazioni e le difficoltà di cui all’inizio di questo articolo, c’è da dire che non tutti gli ospedali garantiscono la possibilità di accedere all’aborto farmacologico, e soprattutto non tutte le aziende ospedaliere si sono adeguate alle 9 settimane.

Per velocizzare i tempi ed evitare di incappare in spiacevoli inconvenienti, sarà sempre bene, anche prima della scadenza dei 7 giorni, contattare l’ospedale a cui ci si vuole rivolgere per verificare i servizi e il tempo di attesa. Se avessi difficoltà a reperire informazioni puoi contattare reti territoriali o piattaforme come “IVG, ho abortito e sto benissimo” e “Obiezione Respinta”.

Cosa fare rispetto all’emergenza sanitaria Covid-19?

Sia l’IVG che il rilascio del certificato per accedervi sono rientrate all’interno delle prestazioni medico-sanitarie indifferibili; questo significa che, dato il numero di settimane limitato per accedere all’aborto, non è possibile procrastinare o spostare a data da destinarsi questo tipo di procedura, anche in periodo di emergenza sanitaria.

Nonostante ciò le direttive non sono ancora chiare, e sono ancora pochissimi le aziende sanitarie che hanno offerto protocolli visibili. In linea generale, possiamo dire che viene richiesto un tampone prima dell’eventuale ospedalizzazione, e nel caso fosse positivo, laddove i tempi garantiscano comunque la possibilità di effettuare la procedura, l’intervento potrà essere spostato anche di 10 giorni. In ogni caso, anche se risultassi positiva, nessuno può vietarti di interrompere una gravidanza, e deve esserti comunque garantito il diritto di accedere al servizio.

Ricordiamo, perché fa sempre bene, che l’aborto è una procedura medico-sanitaria assolutamente sicura.

Mi piacerebbe chiudere questo articolo con un certo grado di soddisfazione, domandandomi soltanto se ci sono altre questioni utili che potrei mettere in evidenza. Ecco, purtroppo non sarà così, perché mi tocca dirvi che tutto quello di cui abbiamo parlato, purtroppo, è suscettibile di variazioni sul tema a seconda delle Regioni, dei Comuni e dei singoli ospedali e consultori. Potrei farvi una lista infinita delle diverse procedure che ho ascoltato in questi anni, dei diversi protocolli messi in atto e dei riscontri assolutamente differenti che le donne avevano a seconda dell’ospedale a cui si rivolgevano.

C’è da lavorare ancora molto sui temi che investono la sessualità e la salute riproduttiva nel nostro Paese. C’è da fornire un sistema educativo e sanitario adeguato, informazioni che siano chiare, fruibili e unitarie. C’è da risolvere la questione dell’obiezione di coscienza e del diritto di accesso ai servizi e alle cure. Nel frattempo che tutto questo accada, è bene che ogni donna sappia che non è sola, che ci sono reti territoriali e piattaforme pronte a offrire supporto, sostegno e notizie utili. Anche se lontane, c’è una comunità di persone e soggettività che proprio in questo momento stanno facendo il tifo per te e per le tue scelte, e se avrai bisogno ci saranno.
Insieme stiamo bene, oggi più che mai preme rammentarlo, sempre.

P.s. Ricordiamo, perché fa sempre bene, che l’aborto è una procedura medico-sanitaria assolutamente sicura.

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