Anuptafobia, quando la paura di restare soli (e single) diventa patologica

La paura di restare single può spesso sfociare in una condizione patologica, dettata da condizionamenti sociali e fattori personali che portano a riconoscersi solo nella relazione con l'altro, detto più chiaramente: nella coppia. Ecco l'anuptafobia e perché rappresenta soprattutto una questione femminile.

Non è raro imbattersi nel corso della vita in momenti di solitudine ed essere sorpresi dal timore di restare soli. Nella maggior parte dei casi si tratta di una condizione transitoria da considerarsi normale, come qualsiasi altro stato d’animo momentaneo.

Vi è però una forma di paura più profonda e invalidante che assume le sembianze di una vera patologia, la anuptafobia. Vediamo di seguito il significato preciso, i segnali che la caratterizzano e le possibili cure per superarla.

Cosa significa anuptafobia?

Dal latino “anupta”, ossia “senza nozze”, questo termine indica in linguaggio medico la paura patologica di restare soli e single. Non si tratta dunque di un comune timore di non riuscire a trovare una relazione soddisfacente e serena nel corso della vita, ma di una vera e propria fobia sociale di passare la vita senza un compagno.

Ad un primo approccio, potrebbe sembrare una condizione poco seria, ma è ben più importante di quel che si pensi e si manifesta con disagi fisici e psicologici concreti: uno stato di malessere costante, stress, atteggiamenti ossessivi e disturbi d’ansia, che possono sfociare anche in stati depressivi.

Questa fobia porta a considerare il rapporto di coppia come l’unico modo per darsi valore, per avere un posto nel mondo. Significa non riconoscere a se stessi un’identità se non nella coppia, ma se la nostra identità sorge solo con un altro individuo, è evidente che quella che potrebbe essere un normale desiderio di condivisione diventa una vera e propria patologia.

I “sintomi” e i segnali dell’anuptafobia

Oltre ai sintomi fisici appena tratteggiati, ci sono alcuni segnali comportamentali tipici delle persone che hanno paura di restare single.

In questo senso, il primo sintomo è la ricerca ossessiva di un partner, che, concretamente si esprime con l’essere guidati in ogni gesto, pensiero e azione dalla missione di trovare un compagno. Questo aspetto influenza in modo importante la vita e la socialità del soggetto. La diretta conseguenza di ciò è che le uniche attività sociali o di divertimento che vengono reputate interessanti e, quindi accettate, sono quelle dirette a trovare un partner, al contrario, saranno ritenute inutili le esperienze rivolte a procurare benessere e divertimento fine a se stessi.

A questo si aggiungono poi una serie di altri segnali, che influenzano anche le relazioni con gli altri e la percezione dei rapporti altrui. Vediamo i principali:

  • Sentirsi costantemente inadeguati e incompleti perché senza un partner.
  • Incapacità di stare da soli e tendenza a buttarsi in una relazione dopo l’altra.
  • Eccessivo vittimismo per il fatto di non avere un partner.
  • Tendenza a categorizzare le persone in persone con e senza partner e a considerare le prime come vincenti e realizzate mentre le seconde come delle fallite e soggetti da biasimare.
  • Tendenza a esprime giudizi negativi nei confronti delle relazioni altrui, soprattutto quelle non ufficializzate o serie.
  • Concepire la vita di coppia come l’unica via possibile, e quindi anche il matrimonio.
  • Tendenza ad analizzare sempre tutto, pensare al futuro e non vivere mai il momento presente.

Se si è in coppia, poi, questi sono alcuni atteggiamenti tipici:

  • Adattamento ai gusti e alle opinioni del partner – e conseguente annullamento di sé – per il timore di essere abbandonati e, quindi, restare soli.
  • Vivere la vita in funzione della coppia e conseguente incapacità di divertirsi se non in compagnia del proprio partner.
  • Tendenza a esibire la propria felicità di coppia davanti agli altri, anche in modo ostentato ed esagerato.
  • Portare avanti relazioni che non funzionano, piuttosto che stare da soli.

Le donne single di oggi e l’anuptafobia

Secondo l’ultima fotografia Istat, un italiano su tre è single e vive da solo, il che corrisponde al 31% della popolazione, un dato molto consistente che testimonia un cambiamento concreto del tessuto sociale del nostro tempo. Nonostante questo, la condizione di single non viene percepita come del tutto normale, anche se, va detto, questo aspetto riguarda soprattutto le donne, come vedremo meglio nel paragrafo successivo.

Le conquiste femminili degli ultimi decenni, l’alta percentuale di donne laureate – che supera quella dei colleghi maschi –  una più cospicua partecipazione femminile nel mondo del lavoro (anche se ancora non abbastanza) e una maggiore possibilità di fare carriera rispetto al passato hanno fatto sì che, proprio a differenza di quel passato, le donne potessero acquisire un’indipendenza economica tale da permettere loro di scegliere, anche di stare da sole.

Eppure, nonostante questo, e nonostante buona parte della cultura odierna sia sempre più costruita su un modello di società che celebra l’indipendenza femminile, la donna single viene ancora spesso considerata un fenomeno anormale, quasi come fosse una scelta di vita forzata o di serie B.

Non sono quindi bastate celebrità di fama mondiale che negli anni hanno fatto del loro status di single una vera bandiera, né serie TV e prodotti cinematografici che hanno proposto e continuano a proporre l’immagine della donna forte e single che basta a se stessa, a creare un vero cambiamento culturale: nella vita reale la donna single “gode” ancora di una patina di negatività e sospetto.

Ed è proprio questo terreno culturale di matrice maschilista che contribuisce al fiorire di una percezione negativa della singletudine femminile, avvertito in primis dalle donne stesse, un atteggiamento che può sfociare, come abbiamo visto, in una vera condizione patologica. I fattori che lo determinano sono quindi anche di natura sociale, oltre che, naturalmente, dettati dalle caratteristiche, esperienze e dal vissuto personale del soggetto.

L’anuptafobia nella società patriarcale

Come già accennato, l’anuptafobia è una paura che colpisce principalmente le donne dai 30 anni in su, e questo non è certo un caso, ma una tendenza figlia della società patriarcale in cui viviamo oggi. Quest’ultima, infatti, continua ad essere incentrata sulla famiglia e a ritagliare alla donna un ruolo ben preciso, quello di moglie e madre, in primis. Ancora oggi, infatti, anche se fortunatamente in misura minore, per molti il successo e la realizzazione femminile vengono identificati con il concetto di famiglia, coppia e nell’idea di maternità.

Sebbene passi avanti ne siano stati fatti negli anni e le donne abbiano conquistato una autonomia e la libertà di scegliere di restare single o non avere figli con una maggiore facilità, ancora oggi una donna single, specie dopo una certa età, viene vista con un certo sospetto, con pietismo e commiserazione o con uno sguardo giudicante e critico quasi come se quella condizione fosse una colpa, un “guasto” o una mancanza. La cosa poi desta ancora più sospetto nel caso in cui la donna in questione scelga apertamente di voler essere single e dichiari di stare bene così.

Anche in questo caso, dunque, la società maschilista sa bene chi colpire. Se ad essere single è l’uomo, questi atteggiamenti svaniscono di colpo. La società in cui viviamo continua a fare fatica ad accettare socialmente una donna sola rispetto a un uomo. Del resto, il mito della “zitella aleggia purtroppo sempre su di noi, nonostante il passare degli anni e le conquiste messe a segno dalla libertà femminile, mentre un uomo che sceglie di non sposarsi viene visto con normalità, senza sospetto e soprattutto senza fargliene una colpa.

È anche e soprattutto questa mentalità di cui, anche se non sempre esplicitamente, è pregna la nostra società a creare pressione nei confronti delle donne, alcune delle quali subiscono un influenzamento tale da esserne ossessionate.

Certamente, questa condizione patologica trova poi un terreno ancora più fertile laddove si sia in presenza di una bassa autostima e vi siano i segni di una forte dipendenza affettiva, situazioni che portano ad identificarsi solo nel rapporto con l’altro e a non considerarsi autosufficienti. Traumi infantili e adolescenziali legati ad abbandono, rifiuto e tradimento sono infatti condizioni che facilitano la comparsa di questa patologia, che trova la sua origine nel non sentirsi abbastanza e non riuscire ad attribuire un valore a se stessi se non in coppia.

Questa condizione, come abbiamo visto, può portare ad accontentarsi di partner sbagliati pur di non rimanere soli, accecati dal bisogno di essere in coppia a tutti i costi. Nei casi più gravi, l’anuptafobia può spingere la persona a vivere relazioni abusive e pericolose, perché la paura di restare soli supera quella dell’abuso.

Anuptafobia e “cure”: come superarla?

L’aspetto fondamentale per arrivare a superare questa condizione patologica è lavorare su se stessi e costruire un’autostima più solida. Instaurare un rapporto sereno con il proprio io non è solo il primo passo per contrastare il terrore di restare soli ma anche uno step imprescindibile per instaurare rapporti, di amicizia o amore, soddisfacenti e virtuosi.

Concretamente di fronte a una patologia di questo tipo, il percorso psicologico e psicoterapeutico con un professionista rappresenta il metodo più efficace per iniziare a costruire un rapporto con se stessi e colmare quel vuoto creatosi negli anni che ha portato all’impossibilità di concepirsi come una persona a sé ma solo in una relazione di dipendenza.

Nello specifico, la terapia cognitiva comportamentale, la tecnica di desensibilizzazione sistematica, di esposizione nell’immaginazione e di rilassamento sono alcuni dei trattamenti psicologici utilizzati con maggiore frequenza per intervenire sul soggetto affetto da anuptafobia. Attraverso queste tecniche, il paziente viene esposto agli elementi e le situazioni maggiormente temute così che possa conoscerle e vederle più da vicino, in un certo senso familiarizzarci, e acquisire così strumenti utili per affrontarli.

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