Intere generazioni di bambine sono cresciute sognando di essere principesse e nel mito del principe azzurro che venisse a salvarle, complici anche volumi interi di fiabe che raccontavano di belle addormentate, ingannate da streghe malvagie o rinchiuse in torri inaccessibili.

Per carità, non siamo qui per dare la colpa ai fratelli Grimm o a Charles Perrault che, dopo tutto, non hanno fatto altro che raccontare, in versione fantastica, quella che era la società del loro tempo, dove le donne contavano poco o niente e spettava agli uomini provvedere a ogni loro necessità. Né alle mamme, che ci hanno letto per anni quelle storie senza trovarci la minima ombra di torto o ingiustizia.

Oggi però, col senno di poi, e con tutte le battaglie per l’emancipazione femminile che sono state combattute, siamo certamente in grado di distaccarci da quell’ideale fiabesco e sinceramente un po’ stantio, per affermare la nostra capacità di salvarci da sole.

Alle donne, francamente, poco serve un principe in calzamaglia che arriva a cavallo, eppure molte sono tuttora vittime della cosiddetta sindrome di Cenerentola. Di cosa parliamo?

Cos’è la sindrome di Cenerentola?

Descritta per la prima volta da Colette Dowling nel libro Il complesso di Cenerentola: la segreta paura delle donne di essere indipendenti, la sindrome o complesso di Cenerentola riguarda proprio quelle donne che, seppur inconsciamente, temono l’indipendenza e desiderano essere sostenute dagli altri, soprattutto uomini.

È chiaro che le donne che soffrono di questa sindrome abbiano enormi possibilità di sviluppare non solo un rapporto di dipendenza affettiva con il partner, ma anche di esserne soggiogate, fino a diventarne vittime. Anche se questo, è fondamentale ribadirlo, non giustifica mai e in alcun caso un rapporto di sottomissione né, ovviamente, abusi domestici dovuti proprio all’instaurarsi di una dipendenza, relazionale ma anche economica, in moltissimi casi.

Qual è la controparte della donna con la sindrome di Cenerentola? È ovviamente l’uomo che soffre invece della “sindrome del cavaliere bianco” o un narcisista-opportunista, che approfitta cioè delle sicurezze della compagna per manipolarla, inducendola a fare tutto ciò che vuole.

La sindrome di Cenerentola in psicologia

Alla base c’è, ovviamente, un rapporto di evidente disequilibrio tra i due componenti della coppia, e le insicurezze dell’una tendono ad accrescere a dismisura l’autostima e la sensazione di potere dell’altro. Per questo, non è raro che le donne con la sindrome di Cenerentola finiscano con l’essere usate come strumento, da un uomo, per misurare il proprio valore o ego.

C’è un sottile, ma perfido, gioco psicologico alla base di una relazione di questo tipo, legata indissolubilmente all’idea che la persona stia solo “cercando di aiutarti”: chi viene visto come il proprio salvatore si tramuta spesso anche in un aguzzino, che gode nel tenere soggiogata la donna in un ruolo marginale in cui lei abbia costantemente bisogno non solo della sua presenza, ma anche della sua approvazione. Per riuscire in ciò il partner narcisista può quindi criticare e sminuire la sua “Cenerentola”, affinché in lei non scatti mai il desiderio di rivalsa e di autodeterminazione.

È chiaro che una relazione patologica di questo tipo trovi gioco facile se è la società in primis a incoraggiare una situazione in cui le donne siano viste come oggetti di sottomissione e controparti deboli nell’ambito familiare, o in generale soggetti discriminabili, sia nel contesto lavorativo che culturale e sociale. Ma attenzione: il complesso di Cenerentola è riferibile anche agli uomini che presentano gli stessi problemi di “paura dell’indipendenza”, soprattutto se intimoriti dall’eccessiva competitività della società.

La sindrome di Cenerentola e la dipendenza affettiva

Come detto, le donne che presentano la sindrome di Cenerentola sono spesso quelle che manifestano anche dipendenza affettiva, o love addiction, catalogato come vero e proprio disturbo psicologico con caratteristiche ben precise: una ricerca ossessiva di amore e una eccessiva dipendenza al partner.

Chi ne soffre è talmente bisognoso di sentirsi amato da essere pronto a rinunciare a tutto, persino alla propria autonomia, per sottomettersi a un’altra persona. Con tutte le conseguenze negative del caso, in primis il terrore costante di essere abbandonato dal partner e di ritrovarsi solo, incapace di affrontare la propria vita.

Esattamente come ogni altra dipendenza indotta da sostanze, anche quella affettiva comporta modelli compulsivi di comportamenti, affettivi, sessuali e relazionali; chi ne soffre spesso non riesce a tollerare di non avere immediatamente disponibili le attenzioni del partner e mette perciò in atto condotte disfunzionali per sfogare la propria frustrazione. Fra questi si presentano, fra i più gravi, anche lo stalking, la violenza domestica e persino l’omicidio.

D’altro canto, come detto la persona che ne soffre si presta come vittima “facile” per essere sfruttata e sottomessa dal partner; perciò è importante capire che, qualora vittime di violenza e di abusi, queste donne sono e restano comunque vittime, che non hanno la “colpa” di essere affettivamente dipendenti. Il victim blaming, invece, spesso le dipinge come “artefici del proprio destino”, e quindi non scusabili.

Come superare la sindrome di Cenerentola

Non è facile, e ovviamente per essere donne libere dalla sindrome di Cenerentola si deve prima di tutto essere educate al senso dell’indipendenza, una condizione a cui si deve aspirare. Per questo, forse il compito più importante spetta proprio ai genitori, che, se genitori di femmine, devono essere bravi abbastanza da infondere in loro il desiderio e la sete di conoscenza, la cultura, la curiosità verso il mondo e lo spirito di indipendenza. Elementi che non dipendono certo, e non sono pregiudicati, dal fatto di far guardare loro dei cartoni animati che abbiano per protagoniste delle principesse!

L’importante è spiegare loro quali sono le differenze tra realtà e fantasia, e che un rapporto futuro con una persona dovrà essere costruito in maniera paritaria, senza aspettarsi che l’uno “salvi” l’altra o viceversa.

Ma anche chi ha dei figli maschi può aiutare a far fiorire una cultura diversa del rapporto tra i sessi, anzitutto insegnando, ad esempio, che non c’è nulla di vergognoso o imbarazzante se un uomo aiuta nei lavori domestici, dato che occuparsi della casa, dove tutti abitano, non è prerogativa esclusiva delle donne, indipendentemente dal fatto che queste ultime lavorino o facciano le casalinghe.

La cosa più importante, per figli e figlie, è soprattutto insegnare loro l’importanza del rispetto dei propri sogni, di quanto sia fondamentale avere degli obiettivi e di come sia gratificante lottare per raggiungerli e poi goderseli. Cenerentola, in fondo, sta bene dove sta: nelle fiabe.

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