Uno degli insegnamenti per cui sono più grato a mia madre è stato quello di rendermi indipendente nella gestione della casa. È costato litigate, scioperi della lavatrice e settimane di mutismo rancoroso, ma quando ho messo piede fuori dalla porta, mi sono reso conto di quanto fosse prezioso saper cucinare, stirare e lavare.

“È importante che tu impari, – mi diceva – che se sarai da solo non avrai nessuno che lo farà per te, se ti sposerai, sarà contenta tua moglie”.

Sarà per questo motivo o perché ho sempre visto mio padre imbracciare scopa e paletta con la stessa disinvoltura con cui maneggiava pinze e chiavi inglesi, che non ho mai creduto di avere qualche privilegio in casa in quanto uomo.

Intendiamoci: non sono diventato un campione della pulizia e dell’ordine (mia madre ha sempre comunque qualcosa per cui inorridire quando viene a trovarmi), ma ho chiara la consapevolezza che se non ho voglia di fare le faccende, anche la mia ragazza ha lo stesso identico diritto.

Tuttavia, proprio con la convivenza ho scoperto che questa consapevolezza non è così scontata. 

Sì perché all’ennesima reazione sorpresa delle amiche della mia ragazza alla notizia che preparo spesso la cena, pulisco casa e mi stiro le camicie, ho capito che molti uomini queste cose, evidentemente, non le fanno.

E a quel punto spesso si fa strada il tipico commento che le donne con pessimi mariti/ragazzi fanno a quelle che ne hanno di un po’ meno pessimi: “ma che bravo”.

All’apparenza sembra un complimento, ma non lo è affatto.

“Ma che bravo” lo dico al mio cane quando, per sbaglio, si siede al mio “seduto”. “Ma che bravo” lo dico al bimbo che ha preso un bel voto a scuola. “Ma che bravo” lo dico ironico al mio amico, appena ha fatto una cazzata.

“Ma che brava” non lo dico alla mia ragazza quando mi prepara la cena. Le dico “grazie” e quello che mi aspetto è di ricevere lo stesso trattamento.

Perché è ora di smettere di pensare che l’uomo che aiuta in casa sia bravo. Perché, innanzitutto, se si limita ad aiutare, significa che la distribuzione dei compiti (al netto degli impegni lavorativi) non è equa e quindi non è affatto bravo.

Se, invece, non si limita ad aiutare, ma contribuisce costantemente alle faccende di casa, dargli del “bravo” sottintende comunque che stia facendo qualcosa in più di quello che dovrebbe. E non è vero.

Una sana convivenza dovrebbe presupporre parità. E se un tempo era garantita, almeno apparentemente, dal marito che lavorava e dalla moglie che stava a casa, ora che si è occupati entrambi, tale distinzione non ha più senso.

Perciò, a chi pensa che per aver lavato i piatti una sera, il marito (proprio o delle altre) sia bravo, voglio chiedere: ma non è che, invece, sia solo viziato?

Viziato, con il privilegio di sentirsi un “eroe” appena prende in mano una ramazza, mentre a voi, che dopo otto ore di lavoro, dovete cucinare, lavare, stendere e stirare, nessuno ha nemmeno mai detto “brava”, figuriamoci un “grazie”.

Lo so, la mia sembra una ramanzina un po’ datata. Quale donna, nel 2019, accetterebbe ancora di fare la Cenerentola in casa?

È triste, ma esistono, dopotutto gli stereotipi sono duri a morire.

Non è triste, invece, ma tragico, il fatto che esistano ancora uomini disposti persino a ricorrere alla violenza, se il proprio privilegio di re della casa viene messo in discussione. Uomini che non lasciano libertà di scelta alle mogli. 

Per questi esemplari, poco si può fare, se non cercare di lasciarli presto soli nel proprio castello, a regnare sulla polvere (e il bucato) che lentamente si accumula.

Per gli altri, per quei mariti che invece sono solo pigri e viziati, provare con lo stile di mia madre: con me ha funzionato.

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