Avete mai notato che certi prodotti, soltanto perché genderizzati, costano di più? Un rapporto sul gender pricing del Dipartimento dei consumi della città di New York ha analizzato quanto di più spendono le donne rispetto agli uomini, non solo per i prodotti esclusivamente femminili come gli assorbenti, ma anche per quei beni di consumo, dai rasoi rosa ai capi d’abbigliamento e le scarpe, che soltanto perché “da donna” hanno un prezzo tendenzialmente più elevato rispetto a quelli “da uomo”.

Visualizziamo con i numeri la “pink tax“, ovvero quanto sia più costoso essere donna rispetto che essere uomo, nel nostro paese e nel mondo.

La “pink tax” sui giocattoli

Già da bambine possiamo notare la differenza. I giocattoli “da femmina” costano più di quelli “da maschio”. È stato calcolato che per i giocattoli la differenza è circa del 7%. Come possiamo notare dai grafici, le biciclette e i tricicli per bambini costano circa il 6% in più nel caso siano destinate alle bambine, anche se spesso ciò che cambia è solo il colore del telaio.

Stesso discorso per i giocattoli, che siano per bambini in età prescolare o per quelli più grandi. Il discorso sui giocattoli genderizzati si collega anche al costume di dividere le attività dei bambini tra quelle “da maschi” e quelle “da femmina”: mentre i giocattoli per “femmine” sono solitamente legati alla cura della casa e della famiglia, quelli “per maschi” sono tradizionalmente legati a sport e supereroi dalla grande forza fisica. Sono molti anni che il dibattito sull’importanza dell’educazione di genere nei bambini è in corso, e un contributo importante lo possono dare anche i giocattoli scelti.

L’abbigliamento per i bambini

Secondo lo studio effettuato da Dipartimento dei consumi della città di New York, la moda femminile costa l’8% in più di quella maschile.

Questa differenza legata al genere è presente anche nell’abbigliamento per bambini (+4% quello femminile rispetto a quello maschile). In questo caso, su 9 prodotti analizzati 7 sono più costosi per le bambine, e 2 per i bambini (intimo e scarpe per neonati).

L’abbigliamento per adulti

Il report in analisi afferma:

Gli esperti suggeriscono che la differenza media di $5.66 tra un paio di jeans da donna e da uomo non abbia alcuna relazione con i costi legati alla produzione. Essa è invece legata a considerazioni commerciali, dal momento che le donne risultano maggiormente disposte a pagare prezzi più alti degli uomini, per questo i loro prodotti costano di più”. Tutto ciò nonostante le donne siano generalmente pagate meno rispetto agli uomini.

Nel caso dell’abbigliamento per adulti però, possiamo basarci anche su dati di una ricerca italiana oltre che su quelli dello studio del DCA di New York.

La rivista Idealo, ha realizzato uno studio simile ma basandosi proprio sui prodotti del nostro Paese, e ha rilevato che: “nel caso delle giacche e dei cappotti, questi sarebbero più cari per le donne (+7,5%), così come le maglie e le felpe (+4,2%)” mentre invece le t-shirt e le scarpe sportive sarebbero più care per gli uomini (+11,4% e +33,6%), tanto che si è iniziato in questi casi a parlare di “Blue tax”.

Una teoria spiega perché i vestiti da donna costino più di quelli degli uomini basandosi su differenze “intrinseche” tra i sessi nella scelta dei vestiti. Dal momento che “le donne tengono di più alla moda”, lo studio che c’è dietro ai prodotti per le donne deve essere maggiore per offrire più scelta, e devono essere disponibili più modelli e più colori.

Ecco allora perché la stessa identica maglietta, realizzata dallo stesso stilista e con lo stesso materiale costa di più se è da donna e di meno se è da uomo. Ci sono però molte cose che non funzionano nell’affermazione: “le donne tengono più alla moda degli uomini”.

Innanzitutto si tratta di una frase estremamente sessista e basata su luoghi comuni, dal momento che se così fosse allora non si spiegherebbe l’elevata presenza di stilisti uomini (Dolce & Gabbana, Armani, Jean Paul Gautier, Mikael Kors, Valentino eccetera). Essendo basata su luoghi comuni non tiene quindi conto delle inclinazioni personali delle persone che prescindono dal sesso. Inoltre, la genderizzazione degli abiti è spesso considerata anacronistica, in particolare da coloro i quali si definiscono gender fluid. Per questo più che del vecchio “unisex” si parla di nuove linee di abiti “genderless”.

I prodotti per la cura della persona

Per quanto riguarda i prodotti per la cura della persona possiamo vedere differenze importanti sul prezzo di shampoo e balsamo, nettamente superiore (48%) per le donne. Anche i rasoi e i deodoranti costano di più se “per donne” (+11% e +3%). Anche i prodotti medici per anziani (e disabili) se per donne hanno un prezzo più elevato: +15% per busti ortopedici e tutori se pensati per le donne, e +12% addirittura per i bastoni per aiutare gli anziani a camminare.

Parlando di prodotti per la cura della persona non possiamo certamente escludere il dibattito sugli assorbenti e sull’IVA. Si parla da anni di abbassare l’IVA sugli assorbenti, che è al 22%, come per i beni di lusso (per intenderci, il tartufo è tassato meno). Dal 1 gennaio di quest’anno, effettivamente qualcosa nel nostro Paese è cambiato.

Il Decreto fiscale 2020 prevede infatti che l’IVA sugli assorbenti lavabili e compostabili, oltre che per le coppette mestruali scenda al 5%, come per i beni di prima necessità, mentre per gli assorbenti “tradizionali” quindi i classici usa e getta (i più comuni e più usati) l’IVA rimanga al 22%. Il mercato degli assorbenti biodegradabili e lavabili rappresenta solo l’1% del totale.

Mentre le donne continuano a manifestare disapprovazione su questo tipo di tassazione in quanto “le mestruazioni non sono una scelta”, in Scozia è stato approvato un disegno di legge che prevede la distribuzione gratuita dei prodotti per le mestruazioni. È il primo paese al mondo a fare una cosa del genere.

Perché Pink Tax?

La Pink Tax si chiama così perché pink in inglese vuol dire rosa, e il rosa è solitamente il colore associato al sesso femminile. Ma perché? In realtà non è sempre stato così, e anzi, l’utilizzo di questi due colori per indicare il sesso è particolarmente recente.

In passato infatti il rosa e l’azzurro non erano legati ai sessi, e entrambi i colori erano usati nell’abbigliamento senza problemi da uomini e donne. Nel diciottesimo secolo per gli uomini era perfettamente normale indossare il rosa e solitamente i bambini venivano vestiti di bianco. Il primo riferimento dell’utilizzo dei due colori per indicare il sesso dei bambini si verificò nel libro Piccole Donne del 1868 di Louisa May Alcott, che riprendeva la “moda francese” di associare il rosa alle femmine e l’azzurro ai maschi.

Fu solo a partire dagli anni ’30 del Novecento però, anche grazie all’affermarsi delle teorie di Freud che i due sessi iniziarono a essere differenziati in modo netto anche nell’abbigliamento sin dalla più tenera età, ma solo negli anni ’50 l’affermazione dei colori “di genere” avvenne in modo netto e del tutto arbitrario. Infine, dagli anni ’80 in poi grazie alle strategie di marketing, la differenziazione anche grazie ai colori vide la sua totale affermazione.

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  • Donne, non numeri