Abbiamo conosciuto Ada Fama grazie al post che Cathy La Torre, avvocato e consulente di WildSide Human First, attenta alla tutela dei diritti delle persone più discriminate, ha pubblicato sul suo profilo Facebook.

Lei è Ada e ha appena concluso la sua pratica forense nel nostro Studio WildSide – Human First. Ada è una donna straordinaria, nel senso che la sua intelligenza è effettivamente fuori dall’ordinario.
La conobbi una sera sotto al portico della Prefettura.
Era con mio nipote Vincenzo, e ricordo che mi abbracciò, mi palpò il sedere e disse: ‘hai un bel culo, non lo vedo ma lo sento’.
Fu amore a prima vista, direbbe lei, ferocemente autoironica.
Di lì a poco Ada partì per Londra, fu presa al King’s College, la migliore scuola di Diritto in Europa.
Quando tornò mi chiamò e mi disse una cosa, che da quel dí è uno dei miei crucci:

‘Vorrei diventare magistrato, o almeno provarci, ma la legge sul concorso in magistratura prevede che possano accedere solo le persone con idoneità psico/fisica.
Io sono cieca, ho chiamato Roma, ho chiesto se posso partecipare al concorso e nessuno ha saputo darmi una risposta’.

Effettivamente non seppi darle una risposta neppure io.
Allora iniziai a studiare.
Scoprendo che, in Italia, esistono dei giudici ciechi ma lo sono diventati quando già erano in magistratura.
Scoprendo che se sei in carrozzina, o ti manca un arto, puoi certamente partecipare al concorso in Magistratura, se sei cieco, nessuno lo sa.
Neppure il Ministro!
Scoprendo che questo silenzio è in verità accompagnato da un grande stigma: le persone cieche, siccome non vedono, non possono giudicare.
Scoprendo che in Europa è in atto un dibattito su questo.
Possono le persone non vedenti essere Giudici?
Ovvero giudicare senza l’uso della vista?

Un giovane spagnolo ha fatto ricorso alla Corte Costituzionale.
Aveva superato l’esame per la magistratura ma il Ministero aveva ritenuto che una persona cieca non potesse diventare Giudice.
In Germania, in Inghilterra, ci sono invece decine di giudici non vedenti.
Uno di loro, Uwe Boysen, in un’intervista disse:
‘Non ho mai potuto vedere se un imputato diventava rosso o impallidiva, o se a un testimone tremavano le mani, ma io dovevo interrogarli, non guardarli. La possibilità di ingannarsi esiste per tutti, vedenti o no. Un mio collega dagli occhi buoni magari avrà dei pregiudizi nel vedere che un imputato ha la barba lunga, e chi non vede si lascerà influenzare da chi balbetta. Stavo molto attento, tutto qui’.

La battaglia di Ada, per accedere a un concorso è diventata anche la mia.
Nel frattempo Ada ha svolto un tirocinio in Corte d’Appello, ha concluso la pratica da aspirante avvocato e il prossimo anno – se nessun Ministro la fermerà- si siederà all’esame per diventare Magistrato.
Oggi intanto in WildSide si festeggia la bellezza dell’eguaglianza e, of course, la bellezza di Ada Fama.

Già, perché Ada, giovane bolognese affetta da glaucoma, con una laurea al King’s College di Londra in mano e tante ambizioni e passioni (ha pubblicato un romanzo, Mi manchi a soli 20 anni) sogna di indossare la toga da giudice, ma teme che il suo desiderio possa essere frenato dalla legge italiana, che impedisce ai non vedenti di accedere al posto da magistrato. Perché, come Cathy ha perfettamente spiegato nel post, la mancanza della vista è giudicata, in molti stati, un elemento per ritenere inadatta una persona a tale ruolo.

Ci basta però parlare con Ada poco, nel corso di questa intervista, per capire che abbiamo a che fare con un tipo tutt’altro che remissivo, che difficilmente rinuncerà al suo sogno.

Nella sua spontaneità, ci confessa di non riuscire neppure a spiegare come sia nato in lei l’interesse verso la magistratura, e quando abbia cominciato a vedersi nei panni di giudice.

Vorrei raccontare una storia sensazionale, del tipo che un giorno mi sono svegliata e ho avuto l’illuminazione, oppure che sono stata mossa da un impellente senso di giustizia in seguito, magari, a qualche evento sconvolgente. Ma purtroppo niente di tutto ciò. So solo che a un certo punto, in terza superiore, mi sono ritrovata fermamente convinta di voler fare il magistrato da grande.

A essere sincera, fin da quand’ero piccola mia madre mi sollecitava a fare l’avvocato (‘Dai certe risposte che solo l’avvocato puoi fare nella vita!) ma a me, all’epoca, sarebbe piaciuto fare la giornalista, fondamentalmente perché mi piaceva viaggiare. E poi, così, da un momento all’altro mi sono ritrovata a desiderare, con tutta me stessa, di voler fare giurisprudenza e poi provare la strada della magistratura. Da lì, non ho più abbandonato l’idea“.

Leggendo una storia come la tua, che descrive una persona ammirevole, piena di forza di volontà, che non si è mai lasciata abbattere dalle difficoltà della vita, viene naturale chiedersi come sia possibile che esistano ancora tanti pregiudizi, perché di questo stiamo parlando. Non ha forse ragione il giudice Uwe Boysen, citato da Cathy la Torre nel suo post, che disse “non ho mai potuto vedere se un imputato diventava rosso o impallidiva, o se a un testimone tremavano le mani, ma io dovevo interrogarli, non guardarli”?

Certo che ha ragione! Leggere la sua intervista è stato di grande aiuto perché, chiaramente, nel momento in cui ti trovi a non sapere se potrai fare una professione alla quale ambisci ti sorge anche il dubbio che forse, se c’è una preclusione, le difficoltà potrebbero davvero esserci. Eppure, leggere le parole di una persona che ha fatto il magistrato per tanti anni e che in una lunga e articolata intervista racconta della propria esperienza, con semplicità disarmante, aiuta a capire che forse no, che forse, ci sono sì delle preclusioni, ma che ognuno può trovare la propria strada per superare le difficoltà che incontrerà.

Quello che mi sento di dire è che spesso il pregiudizio, e di conseguenza le preclusioni che ne derivano, nasce dal fatto che di queste preclusioni ci si alimenta. Infatti, fin troppo spesso, laddove ci si trova di fronte a una barriera che sembra insormontabile (solo perché nessuno l’ha mai superata), si pensa che non la si possa superare. In queste situazioni, anziché rifugiarsi nel ‘Non si può fare, altrimenti qualcuno lo avrebbe già fatto’, bisognerebbe osare, dire ‘Intanto ci si prova, e vediamo come va’, mettendo in conto che si può vincere e si può perdere, ma intanto ci si è provato. E anche se non ce la si dovesse fare, magari qualcun altro, un domani, farà tesoro di questo ‘coraggio’.

Tu cosa pensi di poter dare alla magistratura?

Sicuramente la passione. Questo è l’unica cosa che mi sento di garantire. Per il resto, spero di avere modo di scoprirlo anch’io stessa.

Nata con il glaucoma, Ada fino a sette anni ha avuto un residuo visivo

 Mi sento molto fortunata per questo: ricordo colori, paesaggi…  Sono ricordi preziosi.

Ha peso completamente la vista a seguito di un intervento, e per diversi mesi non si è resa conto del fatto che non sarebbe più tornata a vedere.

Quanto infine l’ho capito, era già passato parecchio tempo e io mi ero abituata alla nuova condizione in maniera molto graduale, naturale oserei dire, perciò non ho subìto alcun trauma. E mi sento molto fortunata anche per questo e sono davvero tanto grata alle persone (famiglia e amici) che in quel momento mi sono stati vicino e che non mi hanno fatto pesare il grande cambiamento in corso.

Cosa vorresti dire a chi non permette alle persone cieche di accedere alla carica di magistrato? E a chi vive la disabilità con sofferenza e non riesce a rialzarsi?

Difficile rispondere ora come ora, dal momento che nessuno sembra sapere davvero cosa significhi quel requisito ‘Idoneità fisica per la professione a cui si aspira’ incluso nel bando di accesso al concorso.

Considerato il fatto che ho svolto un tirocinio di diciotto mesi alla Corte d’Appello di Bologna e che sto frequentando il secondo anno di corso di preparazione al concorso in magistratura, e che per ora non mi è stata preclusa alcuna opportunità, ho buone speranze che quel requisito sia soltanto un retaggio dell’epoca (il 1941) in cui venne disciplinato l’ordinamento giudiziario, e che venga ormai riproposto come ‘clausola di stile’. Se invece non dovesse essere così, combatterò in tutti i modi per realizzare il mio sogno.

Quanto alla seconda parte della domanda, non c’è una ricetta per affrontare la disabilità, ognuno la vive a modo proprio. Io sono stata molto fortunata ad avere una famiglia meravigliosa, che mi ha sempre supportata e continua a supportarmi in ogni passo. Sono una privilegiata, di questo sono certa. Per il resto, è innegabile che le battaglie, anche piccole, siano praticamente all’ordine del giorno (dalla persona che va di fretta e parcheggia sulle strisce pedonali, senza pensare che quel passaggio potrebbe essere fondamentale per chi, come me, deve seguire percorsi più o meno prestabiliti e non può aggirare tutti gli ostacoli, ai siti Internet inaccessibili ecc.).

L’importante, però, è non focalizzarsi su quei (più che legittimi!) cinque minuti di rabbia che inevitabilmente ti assalgono quando succedono episodi simili, ma pensare che, per uno che parcheggia male, ce ne sono altri dieci pronti ad aiutarti se ti vedono in difficoltà, quindi nel bilancio della giornata il disgraziato che parcheggia male non ha poi così tanto valore. L’importante è accettare che la disabilità è, vuoi o non vuoi, una debolezza con la quale bisogna quotidianamente fare i conti, ma laddove c’è una debolezza ci sono anche altri mille punti di forza. E in ogni caso, siamo tutti fatti di punti di forza e debolezza, dobbiamo solo imparare a valorizzare i primi e cercare di superare al meglio i secondi.

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