Ius primae noctis: la verità su quel dovere di "cedere la donna" al padrone

Lo ius primae noctis dava al signore feudale il diritto di avere rapporti con la futura sposa di un servo della gleba, prima del matrimonio. Un'usanza orribile che ha contribuito a considerare il Medioevo come un'epoca davvero buia. Peccato che si tratti solo di una clamorosa fake news storica.

Chiunque abbia mai visitato un castello medievale probabilmente avrà sentito la guida parlare di ius primae noctis. Di cosa si tratta?

Lo ius primae noctis, che in italiano si traduce come “diritto della prima notte“, indica il diritto, da parte del signore feudale, di avere un rapporto sessuale con una donna, residente nelle sue proprietà, il giorno precedente al matrimonio di quest’ultima, quindi prima del marito.

Talvolta viene usata anche l’espressione francese droit du signeur, ma in modo improprio, dato che questo termine fa riferimento a una serie di diritti del signore, come quello di cacciare, o di riscuotere tasse e tributi.

In realtà non esistono evidenze che comprovino la reale esistenza di tale diritto nell’Europa medievale, e in effetti, tra i documenti dell’epoca reperiti, lo ius primae noctis non è menzionato da nessuna parte, mentre invece l’espressione compare secoli dopo, in riferimento al periodo del Medioevo. Insomma, saremmo di fronte a un vero e proprio falso storico, ma allora com’è possibile che si sia tramandato così a lungo?

La storia dello ius primae noctis

Cerchiamo di capire come questa sorta di “antesignana” delle fake news moderne sia riuscita a consolidarsi così tanto da trovare menzione persino in alcuni film, come Braveheart, ad esempio. Secondo la visione affermatasi nell’età moderna (XV secolo), il servo della gleba, essendo legato alla proprietà padronale, era legato anche al padrone delle terre che coltivava, quindi al feudatario. Ecco perché molti aspetti della sua vita sociale, ivi compreso il matrimonio, non erano esclusi dalla “vigilanza” del signore, il quale doveva dare il proprio consenso. Non avendo un rapporto con la futura moglie, però, ma piuttosto richiedendo un tributo. Eppure, l’idea della “concessione” della sposa al feudatario si è affermata nel tempo, come massima espressione della subordinazione del servo al padrone.

In Italia esistono diversi luoghi in cui si fa una menzione allo ius primae noctis, come Roccascalegna, Sant’Agata di Puglia, Fiuggi, Francavilla in Sinni, Montalto Ligure.

Assodato che ci si trovi di fronte a un clamoroso falso storico, da dove è nata la leggenda che è stata portata avanti, decennio dopo decennio? Si suppone che l’origine della credenza risalga al XVI secolo, quando il filosofo scozzese Hector Boece riportò il decreto del mitico re scozzese Evenio III, in cui si legge “il signore delle terre può disporre della verginità di tutte le ragazze che vi abitano“; e, sempre secondo la leggenda, Santa Margherita di Scozia avrebbe sostituito lo ius primae noctis con una tassa di matrimonio chiamata merchet.

Peccato che Evenio III non sia mai esistito, e tutto il racconto di Hector Boece assomigli più a in mito.

Continuiamo, attingendo alla letteratura del passato: nell’epopea di Gilgamesh, l’eroe divinizzato del Vicino Oriente antico, al tiranno l’esercizio dello ius primae noctis viene impedito dall’intervento dell’eroe, Enkidu. E, allo stesso modo, un filosofo, Eraclide Pontico, ha parlato di un re di Cefalonia che ha sfruttato questo diritto fino al suo assassinio da parte di un uomo travestito da donna. Insomma, a quanto pare di ius primae noctis, o comunque di qualcosa di molto vicino al concetto, si parlava già ben prima dell’epoca medievale, ma in realtà solo in poemi epici, testi religiosi, insomma niente che fosse da considerarsi come un documento storicamente attendibile.

Anche i documenti medievali arrivati a noi, che sembrerebbero descrivere questa sorta di stupro legalizzato, sono stati tutti smentiti dagli storici: un esempio su tutti, la legge svizzera che concedeva al signore il diritto di violentare la futura sposa, a meno che il marito non gli versasse una tassa, talmente esigua che è difficile ipotizzare che qualcuno preferisse davvero concedere la propria moglie.

Già dall’Ottocento si è cominciato a dubitare dell’effettiva veridicità di tale assurdo diritto, puntando soprattutto alle conseguenze che lo ius primae noctis avrebbe inevitabilmente lasciato qualora fosse realmente esistito: figli illegittimi, ad esempio, oppure testimonianze di cosa succedeva alle coppie che rifiutavano di sottostare alla legge, o documenti che avrebbero rivelato come si svolgeva la funzione (era il re a recarsi a casa della povera sposa, o lei veniva accompagnata al suo palazzo? Dove avrebbe dormito il re?).

Senza contare che, godendo già di ogni tipo di diritto in quanto proprietario, compreso quello di avere rapporti – consensuali o no poco importava – con ogni cortigiana, non si capisce perché il signore feudale avrebbe avuto bisogno anche di una legge apposita affinché tale diritto gli venisse garantito. Infine, secondo la storica Régine Pernoud, l’usanza di reclamare un’indennità pecuniaria dal servo che, sposandosi, lasciava il proprio feudo per trasferirsi in un altro, diffusa a partire dal X secolo, fa pienamente comprendere che il droit du signeur fosse di natura prettamente economica.

Lo ius primae noctis nella cultura popolare

Eppure, se il mito dello ius primae noctis è giunto come credibile fino a noi un motivo deve pur esserci. Una prima spiegazione può risiedere nel fatto che, come molte altre leggende medievali (quali la cintura di castità, ad esempio), rappresenta un ingrediente narrativo davvero molto attraente, su cui costruire trame complesse e fantasiose. Lo ritroviamo nel già citato Braveheart, ma prima ancora ne Le nozze di Figaro, oppure ne Le Cronache del ghiaccio e del fuoco.

A forzare la mano, chiaramente, sono stati soprattutto gli storici e autori rinascimentali che, per esaltare il proprio periodo di appartenenza, hanno descritto nel peggior modo possibile quello precedente, che non a caso viene spesso definito come ancora oggi come secolo buio (soprattutto la prima parte, quella dell’alto Medioevo).

Certamente, come suggerito da diversi antropologi, alla base della creazione di questo mito c’era la volontà di portare avanti dei tabù, soprattutto di tipo sessuale, inerenti la verginità femminile, considerata un valore fondamentale, che poteva essere intaccato solo da un re o da un personaggio potente.

Insomma, lo ius primae noctis, così come la cintura di castità, sono nient’altro che miti riusciti a essere perpetuati fino ai giorni nostri e che, anche se mai esistiti, sono una manifestazione inequivocabile della considerazione delle donne all’epoca, viste tutt’al più come merce o “proprietà privata”, da offrire come una tassa – nel caso dello ius primae noctis – o da preservare gelosamente, nel caso della cintura.

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