Certe cose, si sa, sono di gran lunga più facili a farsi che a dirsi. Altre, invece, hanno esattamente il problema opposto, ovvero sono semplicissime a parole, persino banali, mentre all’applicazione pratica più d’uno zoppica vistosamente.

Così vale anche per il body positive, e per tutta quella serie di atteggiamenti, filosofie, pensieri e parole che si schierano in favore dell’accettazione personale e contro ogni tipo di bullismo e di body shaming: insomma, sulla carta siamo tutti bravi a dire che le persone non vanno denigrate per il loro aspetto fisico, che è importante che ciascuno di noi costruisca la propria autostima personale e impari a piacersi per come è, condividiamo campagne e hashtag perché è ciò che ci sembra giusto fare.

Solo che poi, a conti fatti, la realtà parla di altro, e parla di una discriminazione che è tutt’altro che lontana e di episodi di bullismo che non sono rari come dovrebbero esserlo e che magari s’innescano proprio quando tentiamo di difendere qualcuno da insulti beceri.

Perché riconoscere l’ignoranza e la cattiveria che si celano dietro a un insulto diretto è facile e quindi lo è anche contrastarli, mentre molto più difficile è individuare la stessa ignoranza e perfidia dietro a commenti apparentemente più pacati, alle arringhe difensive, ai consigli non richiesti. Il più recente esempio ci viene fornito dalla campagna promossa da Zalando, in cui viene presentata la collezione di intimo Calvin Klein dedicata alle curvy.

Un post sulla pagina Facebook per lanciare la linea, questo

E migliaia di commenti che arrivano in una manciata di ore, molti dei quali, ahimé, di un tenore cui ci siamo tristemente abituati e che conosciamo fin troppo bene: “Dio come sei grassa”, “Ma guarda che prosciutti”, “Che cicciona”. Tanto da costringere Zalando a cancellarne alcuni, i più forti, e da scrivere una giustificazione alla decisione di eliminarli.

Facebook@zalando

Poche, scarne, elementari parole che, sancendo quanto ancora sia profonda la stigmatizzazione verso ciò che è percepito “diverso” da quello che è “socialmente accettabile”, in un attimo rigetta tutte le lotte di body positive, gli hashtag e le campagne anti body shaming nella sfera del chimerico.

A un’analisi più attenta, tuttavia, diventa evidente che occorrerebbe allargare ulteriormente la prospettiva, e rendersi conto del fatto che il problema vero non sta solo in coloro che hanno deriso le modelle con epiteti e nomignoli vari, ma anche in chi, per difenderle, ha praticato bullismo nei confronti di altri o ha posto dei “se” e dei “ma” che, anche inconsapevolmente, equivalgono a paletti rigidi posti alla libertà di ciascuno di sentirsi bene con il proprio corpo.

Lo hanno illustrato meravigliosamente Mara e Chiara di Belle di faccia, un duo (che spera di diventare ben presto un collettivo) di ragazze che in questo “mondo di magri” hanno vissuto sulla propria pelle la sensazione di sentirsi outsider, e che grazie anche al background come musiciste, hanno potuto vivere l’esperienza di “essere grasse su un palco”, con tutte le complicazioni di trovarsi, quindi, a doversi confrontare con un pubblico di per sé ostile. Chiara, inoltre, è anche la vignettista e illustratrice conosciuta come Chiaralascura. Il loro obiettivo è di creare un ambiente di confronto che possa fare chiarezza “su body e fat shaming, fat acceptance e body positivity” e che possa permettere a tutte di accettarsi e accettare gli altri, anche attraverso suggerimenti di libri e film ispirazionali. Le due, nel corso di una diretta, hanno quindi utilizzato proprio il caso Zalando come spunto per dimostrare quanto spesso si abusi del concetto di “body positive”, pur essendone in realtà molto lontani nel concreto. Seguendo il loro stesso schema, anche noi abbiamo raggruppato le tre categorie di commenti più frequenti sotto il post di Zalando e chiarito perché siano del tutto lontani dall’abbattimento del body shaming.

1. “Perché la gente le insulta? Sono bellissime”

Chi, con la massima buona fede, ha sottolineato il fatto che le modelle curvy di Zalando siano bellissime, chiedendosi incredulo perché vengano insultate, a suo modo manda comunque un messaggio sbagliato: perché una donna non ha diritto a star bene con se stessa solo se “bella” o piacente, mentre se non è reputata attraente allora rimane al rango di una “brutta cicciona” e merita di sentirselo ripetere appena mette il naso fuori di casa. Come sottolineano le ragazze di Belle di faccia, spesso la denigrazione delle persone grasse parte proprio dalla rappresentazione stereotipata e fallace della donna, angelo del focolare, bella, aggraziata, descrizione a cui le prime non corrispondono, e che perciò le fa sentire perennemente “sbagliate”, con se stesse e con gli altri. Quindi chiariamo una cosa: il vero body positive non è accettare una persona sovrappeso fintanto che “è bella di faccia”, e nemmeno dirle “Sei così bella in viso, pensa se dimagrissi!”. Il vero body positive è permettere a ognuno di stare bene con se stessi, di sentirsi bene nella propria pelle, senza per questo sentirsi sottoposti al giudizio di chi deve stabilire se tu possa permettertelo o no.

In effetti, questo è un altro degli aspetti che mortifica maggiormente gli anni spesi a promuovere l’accettazione di se stessi : il fatto che se una donna in sovrappeso prenda coscienza di sé, inizi a piacersi, a sentirsi bella, agli occhi degli altri questo venga percepito come un affronto meritevole di denigrazione. Perché, nello sbagliato immaginario collettivo, grasso è sinonimo di autoironia, di simpatia, non di autostima. Tutti si aspettano che una persona grassa rida di sé e rilevi i propri difetti, mai che possa considerarsi bella. E, se questo accade, allora merita di essere rispedita in quel limbo di tristezza in cui stanno tutti quelli che si sono azzardati a fare il passo più lungo della gamba, merita di nuovo i “Ma tu sei cicciona”, così, giusto per rimettere in chiaro le cose.

Allora body positive significa abbattere definitivamente questo concetto, che in fondo appartiene a quei cliché che puzzano un po’ di stantio ma che è ancora evidentemente molto forte.

2. Il body shaming non va bene. Mai

Anche chi, nel goffo tentativo di elogiare il fisico delle modelle Calvin Klein, ha usato espressioni come “Le ossa lasciamole ai cani”, o “Questa mi ispira sesso”, non si è distinto dalla massa di chi ne ha invece denigrato l’aspetto.

In primis perché il sentirsi dire che si è “appetibili sessualmente” non si capisce per quale motivo dovrebbe far sentire gratificate le donne; e in secondo luogo perché di body shaming si parla in qualunque frangente venga discriminato un corpo, a prescindere che sia grasso o magro. Quindi tentare di fare un apprezzamento alle donne curvy riducendo le magre al rango di “ossa per cani” è altrettanto discriminatorio e meschino.

Perché, posto che anoressia e obesità siano due facce pericolose della stessa medaglia, e che nessuna persona sana di mente si sognerebbe mai di portare avanti un modello di magrezza o di sovrappeso estremi come “salutari” o ideali estetici da perseguire, nessuno di noi sa cosa ci sia nel vissuto di una persona magrissima (così come in quello di una persona obesa): un problema psicologico, un lutto, un disturbo alimentare, ci potrebbero essere mille ragioni dietro quella magrezza, e non ci dovremmo arrogare il diritto di prenderla e ridurla a brandelli solo per metterla a paragone per esaltare un altro modello estetico.

3. I consigli non richiesti

Un ultimo punto fondamentale. Per quanto lo facciate in buona fede, spesso le persone vengono ferite dai consigli quasi quanto dagli insulti. Anche se arrivano da persone molto vicino, dai genitori, dalle sorelle, dalle amiche. Quelle frasi buttate molto spesso lì a caso, con la convinzione che non producano effetti negativi, “Dovresti perdere qualche chiletto”, “Pensa come saresti bella se fossi più magra!”, “Hai mai pensato di fare un po’ di dieta? Niente di che eh, solo per buttare giù un po’ di pancetta…”, in realtà non fanno bene a chi le riceve. Anzitutto perché a dare certi pareri dovrebbe essere sempre e solo un medico, mai una persona esterna alla professione, neppure se è la nostra stessa madre.

In secondo luogo, perché dà esattamente la percezione di ciò che gli altri vedono in noi: un essere incompleto, sempre accompagnato da un “ma” costante, qualcuno che sarebbe bello in potenziale ma, ahimé, ha quel difetto insopportabile. Neanche questo è body positive, nemmeno se fatto con le migliori intenzioni del mondo. Proprio perché body positive non significa invitare gli altri a cambiare per rendersi più simili alle aspettative che abbiamo di loro, ma imparare ad apprezzarsi e, semmai, a migliorarsi. Ma solo per se stessi, non perché qualcuno ci dice che siamo “belle di faccia” o che “Con un po’ di ciccia in più saremmo più carine”. Non perché qualcuno ci scrive che “siamo grasse, quindi brutte” e nemmeno perché invece altri ci dicono che “A letto chissà come siamo brave”.

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