Perché la scienza dice che bisogna iniziare a lavorare dopo i 40 anni

Allo Stanford Center On Longevity hanno un’idea: iniziare a lavorare dopo i 40 anni. Complice l’aspettativa di vita sempre più lunga, esiste una possibilità per vivere più serenamente i primi quarant'anni, concentrandosi sulla carriera in un momento successivo.

Pargoli da curare, lunghe ore da passare in ufficio, necessità di tempo da dedicare alla propria istruzione o anche, perché no, alle relazioni sociali. Alla soglia dei 40 anni la vita della maggior parte delle persone è piena di impegni difficili da conciliare. Eppure tutti aspirano a un lavoro a tempo pieno, che però è la prima causa della costante mancanza di tempo.

Invece, complice l’aspettativa di vita sempre più lunga, esiste una possibilità per vivere più serenamente i primi quarant’anni, concentrandosi sulla carriera in un momento successivo. Proprio questa è la tesi di una recente ricerca messa a punto negli Stati Uniti dallo Stanford Center On Longevity.

L’idea è che oggi l’organizzazione della vita e del lavoro sia completamente sbagliata. Un punto di vista che fa discutere quello della psicologa Laura Carstensen, fondatrice del centro di ricerca.

Come impiegare gli anni precedenti quindi?

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Laura Carstensen – Fonte: Amy Zhang | Daily Texan Staff

Secondo Laura Carstensen avremmo semplicemente organizzato la vita in modo sbagliato: una donna che ha 40 anni, oggi, può aspettarsi di viverne altri 45 anni se non di più e per molte persone è facile che la maggior parte di quegli anni sarà comunque abbastanza sana tanto da continuare a lavorare, se ovviamente il lavoro non comporta un’intensa fatica fisica. Quindi, perché stiamo ancora accumulando tutti i nostri impegni di carriera e di famiglia in pochi decenni frenetici?

Piuttosto che uno sprint professionale di quattro decadi che termina bruscamente a 65 anni –  sostiene la psicologa – dovremmo pianificare una carriera da maratona che duri più a lungo, ma che abbia più interruzioni lungo il percorso per l’apprendimento, per i bisogni familiari e gli obblighi al di fuori del luogo di lavoro. Abbiamo bisogno di un nuovo modello, quello attuale non funziona, perché non riesce a tenere bene insieme tutti i vari aspetti della vita. Le persone lavorano a tempo pieno nello stesso momento in cui allevano bambini.

Longevità

La longevità, come la studia Laura Carstensen, non è quella promessa dall’ingegneria genetica, ma è una longevità più “naturale”, che punta a vivere più a lungo nel miglior modo possibile. Così, per esempio, spiega la ricercatrice, interrompere bruscamente il lavoro a 66 anni, l’anno in cui i pensionati statunitensi possono richiedere i benefici della previdenza sociale, non è una cosa pratica, né dal punto di vista economico per la società che comunque dovrà sostenere questi anziani per molti anni, né dal punto di vista psicologico per la singola persona che perde uno status e ha comunque inevitabilmente meno interazioni sociali.

Insomma, il lavoro di una vita dovrebbe essere ridistribuito nel più lungo arco di tempo e modulato in base alle esigenze: prima dei 40 anni sarebbe meglio lavorare per esempio part time, per poi prendere un lavoro a tempo pieno solo dopo aver sistemato le questioni familiari più urgenti, dalla prima casa al primo figlio. Così è facile che solo verso i 40 anni ci si senta pronti a dedicare le proprie energie pienamente al lavoro, senza distrazioni, con i bambini già più grandicelli e una gestione più collaudata.

L’Italia potrebbe essere il luogo ideale?

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Fonte: pixabay.com/it/

La ricerca si muove all’interno di un sistema lavorativo, quello statunitense, particolare e molto distante dal nostro. Nel quale la vita lavorativa inizia sensibilmente prima e l’occupazione è molto più dinamica e flessibile. Con l’innalzamento dell’età per l’ottenimento della pensione un po’ dappertutto oltre i 65 anni, per arrivare progressivamente a 70 anni, le carriere sono già decisamente più lunghe.

Sarebbe corretto prevedere e disciplinare, in modo molto più incisivo rispetto a oggi, astensioni o aspettative dal lavoro anche per aggiornamento professionale e formazione certificata a tutti i livelli di mansione e inquadramento lavorativo.

Nel nostro ordinamento sono già regolate astensioni obbligatorie e facoltative per i genitori in relazione alla cura dei figli, che potrebbero aumentare nella durata, soprattutto per i padri. Inoltre sono disciplinate a livello di contrattazione collettiva anche ipotesi di aspettativa per attività di formazione. Sono poi previsti permessi per accudire i parenti disabili.

Il famoso posto fisso ormai dimenticato a causa dei nuovi modelli lavorativi è diventato più flessibile e destrutturato grazie al progresso tecnologico, al network, alle necessità di adeguarsi a un mondo che cambia rapidamente e che propone sempre sfide nuove. I luoghi e i tempi di lavoro riescono ora (rispetto al passato) a essere incastrati meglio con esigenze familiari e di studio. Detto ciò, è difficile immaginare di poter applicare oggi la visione auspicata dalla Carstensen, che necessiterebbe non solo di un ripensamento generale del sistema lavorativo e pensionistico, ma anche di quello demografico.

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