Un uomo afroamericano corre per strada. Davanti a lui una donna caucasica cerca di sfuggirgli. È vestita in abiti succinti, la via che percorrono è in una zona di New York in cui, negli anni ’70, si poteva vendere e comprare sesso. La polizia li vede, arresta l’afroamericano. Che però stava solo girando un film porno, una parodia di Cappuccetto Rosso. È una scena che negli Stati Uniti è andata in onda di recente durante il telefilm The Deuce, ma che è fortemente esemplificativa di un fatto: se c’è una donna bianca in pericolo, sicuramente quel pericolo è rappresentato dall’uomo nero (anche se non è vero). Sì, in tanti hanno paura di questi “uomini neri”, non i Mau Mau, ma i presunti stupratori delle damsels in distress, come spiega The Vision, anche se le statistiche dicono altre cose.

Stupratori, chi sono in base all’etnia

Stupratori
Fonte: Non violentate Jennifer

Prima di parlare di statistiche, è bene sapere che quelle relative agli stupri potrebbero rappresentare un campione significativo, ma non l’intera realtà del fenomeno. Non tutti gli stupri vengono denunciati e quindi non diventano parte della statistica, restando per così dire “sommersi”, nascosti. Il Corriere della Sera ha realizzato delle infografiche che mettono a confronto cosa sia accaduto nei primi sei mesi del 2017 e nei primi sei mesi del 2018, in base ai numeri rilasciati dalla Polizia italiana. Nel primo semestre di quest’anno, gli stupri denunciati sono stati 2783, dei quali 1628 italiani, ossia circa il 58,5% del totale. Gli stupratori italiani sono seguiti dai rumeni – parliamo ancora di persone dalla pelle bianca, europee e di lingua neolatina – che sono 176. Al terzo posto gli stupratori di nazionalità marocchina, in numero di 154.

Il dato confortante che emerge da queste infografiche è che il numero delle vittime di stupro è calato – soprattutto tra le italiane, ma questo non è importante, stiamo parlando di esseri umani che vengono violati, qualunque sia il posto in cui sono nati – ma che al tempo stesso gli stupratori denunciati o arrestati sono saliti. Le ipotesi sono due: o il nostro sistema di sicurezza funziona sempre meglio – un concetto che potrebbe anche essere rafforzato dal calo di furti, omicidi e rapine – oppure è possibile che da un lato le donne denuncino di meno. Le vittime di stupro potrebbero non denunciare per una serie di motivi, tra cui la sfiducia nella giustizia ma anche il processo, mediatico e non, che si ritroverebbero a subire. Come quelle due turiste statunitensi che l’anno scorso a Firenze hanno denunciato degli uomini delle forze dell’ordine per stupro e che sui social sono state definite nei modi più beceri che riuscite a immaginare. Aggiungiamoci un ulteriore tassello: e se le violenze fossero consumate in casa, una donna riuscirebbe sempre a trovare la forza per denunciare e ribellarsi? La risposta è no. Ma c’è un altro dato importante. L’Istat parla chiaro:

Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner, parenti o amici. Gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner, nel 3,6% da parenti e nel 9,4% da amici.

La percezione nell’immaginario collettivo è invece molto differente. Si ha paura del migrante – soprattutto se africano, o comunque dalla pelle scura – gli si attribuiscono statistiche infondate basate su singoli fatti di cronaca. Sapete come funziona la cronaca nel giornalismo? Si mettono in evidenza le eccezioni, ciò che esce dall’ordinario. Quindi gli articoli che leggiamo rappresentano un singolo caso che non fa una statistica, anche se ne leggiamo 10 del genere. In Italia abbiamo i professionisti dell’Istat per le statistiche e fanno un eccellente lavoro. Quello ci aiuta davvero a comprendere cosa succede e in che misura. Senza nulla togliere all’informazione, alla cronaca, la cui lettura è comunque bene coltivare, ma non per abbracciare un meccanismo che si chiama post-verità e che funziona più o meno così: credo che i migranti siano cattivi e allora rafforzo la mia convinzione con un singolo articolo di giornale. O anche con una fake news, perché cosa vuoi che conti la verità vera? L’importante è il concetto. (Ma anche no).

La xenofobia dalle radici profonde

Stupratori
Fonte: Web

La questione della percezione del diverso ha delle radici profonde. Per esempio, sapete quanti rom sono nomadi sul suolo italiano? E sapete quanti rom sono invece stanziali, radicati sul territorio? E soprattutto, sapete quanti di essi hanno la cittadinanza italiana? Una stima recente diffusa dal Secolo XIX parla di un numero di rom tra 120mila e 180mila in tutto il Belpaese, di cui solo 26mila nomadi e tra questi ben il 43% ha la cittadinanza italiana, mentre per il resto tanti sono apolidi o hanno la cittadinanza in un Paese della ex Jugoslavia.

Molti dei retaggi xenofobi del popolo italiano affondano le loro radici nella Seconda Guerra Mondiale. In alcuni casi ha avuto il suo ruolo la propaganda fascista. In molti ricordano l’iconico manifesto – poi rivisitato lievemente da Forza Nuova – in cui una donna bianca, che viene definita in relazione a un uomo, «madre, moglie, sorella, figlia», viene assalita da un uomo nero. L’uomo nero in questione è un soldato afroamericano, come quelli che dopo il 1943 liberarono gran parte del Sud Italia. Quel manifesto era stato realizzato per un fine, che cancellava nell’immaginario collettivo la storia millenaria d’Italia: le mescolanze tra i popoli del Mediterraneo hanno visto su questo territorio francesi, spagnoli, turchi, mori, albanesi, ebrei, greci. Ma la paura ha delle logiche che non hanno a che vedere con la razionalità: basta un manifesto a volte a cancellare quello che conosciamo anche molto bene.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!