Nel 1882, quando non aveva ancora compiuto nemmeno due anni, Helen Keller si ammalò gravemente. Perse l’uso della vista e dell’udito, ma non si scoraggiò. Imparò a comunicare con il linguaggio dei segni, ma anche a leggere, scrivere e parlare. Diventò una scrittrice, un’insegnante, ma anche un’attivista per i diritti delle persone disabili.

Una storia di forza e coraggio, che molti conoscono per l’opera teatrale Anna dei miracoli di William Gibson, da cui venne tratto l’omonimo film di Arthur Penn del 1962.

Come ricordato dal New York Times nel 1968, in un articolo che annunciava la sua morte a 87 anni, per i primi 18 mesi della sua vita Helen Keller era stata una bambina normale. Nata in Alabama (Stati Uniti) nel 1880, come ogni altra bimba anche lei poteva piangere, ridere, aveva imparato le sue prime parole e rallegrava le giornate dei suoi genitori. Poi, all’improvviso, contrasse un virus a quel tempo misterioso, molto probabilmente meningite o scarlattina. La malattia azzerò la sua breve vita, riportandola indietro in una sorta di limbo, quasi fosse tornata nuovamente neonata.

A partire da quel momento, la sua vita da bambina, poi da ragazza e infine da donna divenne una sfida. Ed Helen Keller non si tirò mai indietro, trionfando sulle avversità e sui suoi gravissimi problemi di salute. Imparò ad aggirare la cecità e la sordità, grazie anche a una brillante illuminazione di sua madre.

Kate Keller fece infatti di tutto per dare un’esistenza normale alla figlia. L’idea giusta le venne però nel 1886, dopo aver letto uno scritto di Charles Dickens nel suo diario di viaggio American Notes, in cui si parlava di un tentativo felice di mandare a scuola una bambina cieca e sorda di nome Laura Bridgman. La signora Keller si recò così da uno specialista a Baltimora, che a sua volta la mise in contatto con l’esperto Alexander Graham Bell.

Bell suggerì ai coniugi Keller di contattare la scuola dove la piccola Laura Bridgman era stata educata, il Perkins Institute for the Blind. La scuola affidò il compito di istruire ed educare la piccola Helen ad Anne Sullivan, ex allieva dell’istituto e a sua volta parzialmente cieca, all’epoca poco più che ventenne. Iniziò così il percorso della piccola e della sua maestra, un cammino esemplare verso una vita normale e piena.

Nessuno, prima di Helen Keller, aveva saputo superare simili ostacoli. Isolata dalla sua famiglia e sola con la Sullivan, la piccola imparò a cavarsela da sola. Il primo passo in avanti lo fece quando, sentendo dell’acqua fredda scorrere sul palmo della mano, comprese il concetto di acqua. Poi, attraverso il metodo Tadoma (ovvero, toccare le labbra e il collo di chi parla) e attraverso l’alfabeto manuale, fece altri passi in avanti, fino ad arrivare a leggere la sua lingua, ma anche il francese, il tedesco, il greco e il latino in braille.

Nel 1888 Helen poté finalmente frequentare la Perkins School for the Blind insieme agli altri bambini. Dopo un percorso scolastico pieno di soddisfazioni, venne ammessa al Radcliffe College. Nel 1903, mentre ancora stava studiando, pubblicò la sua autobiografia The story of my life, il primo di una serie di undici libri e di numerosi articoli che la resero celebre in tutto il mondo. Nel 1904 si laureò con lode all’età di 24 anni: era la prima persona cieca e sorda a laurearsi in un college.

Alta, graziosa ed educata, Helen Keller era anche dotata di grande senso dell’umorismo e ottimismo, che conquistavano chiunque incontrasse. “La mia vita è stata così felice perché ho avuto amici fantastici e un mucchio di lavoro interessante da fare”, disse una volta di sé. “Raramente penso ai miei limiti e non mi rendono mai triste. A volte provo un pizzico di bramosia, ma è qualcosa di lieve, come una brezza che accarezza i fiori. Poi il vento passa e i fiori sono contenti”.

Durante la su vita si dedicò a numerose cause per i diritti dei disabili e in numerose altre cause progressiste, oltre a essere una suffragetta, una pacifista e un’attivista del movimento per il controllo delle nascite. Viaggiò in tutto il mondo insieme alla Sullivan per raccontare la sua storia e ispirare altre persone con simili problemi fisici.

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