“Ogni donna, o quasi ogni donna, nel corso della propria vita, prima o poi deve farsi carico della salute di qualcuno. Ogni donna è un’infermiera”.

Queste parole, scritte nella prefazione di Notes of Nursing, il suo trattato più famoso e ancora oggi usato come vero e proprio “testo sacro” dalle infermiere di tutto il mondo, la dicono lunga sul modo in cui Florence Nightingale interpretava il suo ruolo nel mondo: non come una professione, ma come una vera e propria missione che, in fondo, era connaturata all’essere femminile stesso.

Lei, a cui il padre aveva voluto dare il nome inglesizzato di Firenze, città che le aveva dato i natali il 12 maggio del 1820, negli anni è invece diventata famosa con un altro appellativo, quello di “signora della lanterna”.

È così che, ancora oggi, Florence Nightingale è ricordata e omaggiata come colei che fondò l’assistenza infermieristica moderna, poiché fu la prima ad applicare il metodo scientifico attraverso l’utilizzo della statistica. L’antesignana di tutte le infermiere, insomma, la pioniera che diede lustro e importanza a questo delicato mestiere.

La sua storia, del resto, sembra un romanzo a metà tra i luoghi avventurosi descritti da Emilio Salgari e il ritratto della società britannica ottocentesca dipinto spesso da Jane Austen: la gioventù in un ambiente borghese e piuttosto bigotto, il desiderio di ribellarsi a regole imposte, compreso un matrimonio non voluto, fino ai viaggi, fatti per conoscere il mondo ma soprattutto per prestare assistenza ai bisognosi, il vero compito che Florence sentiva di essere stata chiamata a portare a termine nella vita.

Con Firenze nel cuore

Il padre, William, precursore nel ramo dell’epidemiologia, e la madre di Florence, Frances Smith, si trovavano dunque a Firenze quando lei nacque, e per questo le attribuirono tale nome; del resto, la sorella maggiore, nata l’anno precedente, era stata chiamata Parthenope, come racconta un articolo del Corriere, poiché in quel momento i facoltosi genitori si trovavano nel mezzo di un altro viaggio italiano, e la bambina era nata davanti al golfo di Napoli.

Il cognome originale di famiglia era Shore, ma il padre l’aveva mutato in Nightingale dopo aver ereditato diverse proprietà terriere da un parente del ramo materno. Tradotto in italiano, significa “usignolo”.
Entrambe le figlie vennero istruite in casa, soprattutto dal padre, e Florence mostrò immediatamente una particolare predisposizione per la matematica; ma in quella famiglia dell’alta borghesia Flo – il nomignolo con cui veniva chiamata a casa – non si trovava a proprio agio, soprattutto con la madre, fervente religiosa, con cui ebbe dei profondi contrasti.
Il più importante, quando rifiutò, appena ventunenne, di sposare Richard Monckton Milnes, futuro Primo Barone Houghton.
Nonostante il rifiuto Richard non serbò rancore nei suoi confronti, anzi ne divenne un acceso sostenitore, mentre lei lo definì sempre come “l’uomo che adoro”.

La sua missione

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Nemmeno diciassettenne Florence “sentì” di essere chiamata a svolgere un compito cristianamente sociale: assistere le persone malate e, dopo averci pensato per diversi anni, finalmente nel 1845 manifestò chiaramente ai genitori il desiderio di fare qualcosa per gli altri. Fu soprattutto la madre, ancora una volta, a osteggiare la sua volontà, non ritenendo conveniente che una ragazza dell’alta borghesia finisse a fare l’infermiera, al tempo ritenuto un ruolo al pari di vivandiera nell’esercito.

Del resto, erano molte le leggende che aleggiavano sulle infermiere, che secondo il dire comune erano largamente dedite all’alcol e alcune persino ex prostitute.

Femminista d’avanguardia

Ma Florence non era certo tipo da pensare che il ruolo della donna nella società si limitasse meramente alla procreazione e ai doveri di moglie; insomma, nessun angelo del focolare per lei, il pensiero che la giovane Flo aveva nei confronti delle donne era decisamente più ampio, e non includeva certamente l’essere una mansueta comprimaria nella vita domestica.
Florence Nightingale iniziò a far prendere corpo ai propri sogni, prima iniziando ad assistere le persone del vicinato, poi quelle ospitate nelle istituzioni di assistenza dei poveri. Nel 1847 conobbe, tra gli altri, il politico Sidney Herbert, e decise di iniziare a scrivere le proprie idee e considerazioni sul mestiere. Soggiornò due volte in Germania, presso Dusseldorf, in un ospedale luterano, tra il 1850 e il 1851, e lì comprese appieno come doveva essere svolto il ruolo di infermiera. Tornata in Inghilterra, a Londra riorganizzò l’Istituto per l’assistenza alle donne malate e prive di risorse economiche.

La partecipazione alla Guerra di Crimea

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Dopo lo scoppio della Guerra di Crimea, nel 1853 (conflitto che riguardò Turchia, Francia, Gran Bretagna, Regno di Sardegna, per strategia politica di Cavour, tutte schierate contro la Russia) Florence decise di partire, impressionata dalle notizie che giungevano dal fronte: tramite l’inviato del Times William Russell, infatti, arrivavano notizie di soldati ridotti in condizioni miserevoli; così, il 21 ottobre 1854, con la benedizione dell’amico Herbert, ora ministro della Guerra, Florence partì per Scutari, in Turchia, accompagnando 38 infermiere da lei istruite. Il 25 ottobre ci fu la carneficina che sconquassò la cavalleria inglese a Balaklava.

A Scutari le cause di morte dei soldati, più che dalle ferite, dipendevano dall’ambiente in cui erano confinati. C’era un’igiene inesistente, il sovraffollamento con un altissimo pericolo di contagio, e ancora scarichi fognari a vista, aria stagnante e infezioni nuove ogni giorno. Senza contare l’alimentazione insufficiente e la scarsità del personale medico. La situazione non migliorò nonostante l’alacre impegno delle volontarie giunte dall’Inghilterra.

La signora della lanterna

Florence descrisse quell’ambiente come il “Regno dell’Inferno”, ma nonostante tutto lavorava incessantemente, aggirandosi anche di notte, con una lampada, per confortare, assistere, dare speranza e controllare. Proprio da qui le fu assegnato il nome di “Signore della lampada” (o lanterna), resa immortale dall’immagine poeticamente descritta anche da Henry W. Longfellow:

I feriti sul campo di battaglia, nei tristi ospedali del dolore, i bui corridoi senza vita, i pavimenti di fredda pietra.
Guarda! In quella casa della sofferenza, vedo una signora con la lampada, mentre passa nella luce incerta, veloce da una baracca all’altra.

Flo si impegnò affinché i vertici dell’esercito capissero che i soldati dovevano essere trattati come persone e non come semplici numeri, e si occupò in prima persona per organizzare una sala di lettura.

Il rientro in patria e le Notes of Nursing

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Il 7 agosto 1865, a guerra finita, Florence rientrò a Londra, accolta come un’eroina, portandosi come eredità di quel viaggio una forma di brucellosi invalidante.
Venne fatta una sottoscrizione pubblica a favore della sua opera e lei fu ricevuta dalla regina Vittoria, mentre nel frattempo era nata una fondazione a lei intitolata, cui la stessa Florence farà seguire una vera e propria scuola di addestramento per le infermiere, la Nightingale Training School, la prima nel suo genere.

Un anno più tardi proprio la regina Vittoria le chiese di condurre un’inchiesta sulle condizione di vita nelle caserme del Regno Unito, cui farà seguito un libro che contribuirà alla fama internazionale di Florence.
Tutte le sue esperienze, le cose di cui era stata testimone, quello che aveva fatto sono infatti alla base di Notes on Nursing, pubblicato nel 1859 a Londra e l’anno seguente a Boston: 136 pagine che ancora oggi possono essere considerate attuali.

Osservando le malattie – si legge nel libro, come riporta il Corriere – sia nelle abitazioni private sia negli ospedali pubblici, ciò che colpisce con maggior forza è il fatto che i sintomi dolorosi che di solito si considerano inevitabili e propri di quel male, molto spesso non ne sono affatto i sintomi ma sono dovuti ad altro: alla mancanza di aria fresca, o di luce, o di tepore, o di tranquillità, o di pulizia, o di regolarità e attenzione nella dieta alimentare.

Mentre nella Guerra Civile americana e in Giappone le infermiere formate da Florence si facevano valere applicando sul campo le nozioni apprese lei, nel 1858, fu la prima donna a far parte della Reale Società di Statistica, riconoscimento al suo genio nella matematica e a quello della statistica.
Propri lei era stata la promotrice dell’uso dei cosiddetti grafici “a torta”, al fine di illustrare visivamente la realtà dello stato sanitario di una data popolazione per poterne, di conseguenza, valutare lo sviluppo e un eventuale intervento. Il suo metodo si rivelò fondamentale soprattutto nello studio sull’India contadina.

Florence, nel 1907, riceverà l’Ordine al Merito, prima donna ad avere una simile onorificenza, in un momento in cui, complice anche la salute precaria, si era ritirata dalla vita pubblica dedicandosi alla traduzione dei Dialoghi di Platone e dei mistici cristiani.

I suoi ultimi anni furono vissuti a letto e nella cecità, ma questo non le impedì di farsi avvicinare comunque da giovani che volevano seguire il suo esempio. Morì il 13 agosto del 1910 nella sua casa di Londra e, benché la prefazione del suo trattato reciti “Ogni donna è un’infermiera”, noi sappiamo che Florence è stata molto, molto di più.

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