Le mine antiuomo sono degli ordigni bellici vergognosi: vengono nascoste nel terreno o in luoghi calpestabili e quando esplodono causano un vero flagello perché il più delle volte colpiscono civili che rimangono feriti, mutilati e anche uccisi. Nonostante il trattato di Ottawa del 1997 abbia proibito la produzione e l’uso di mine antiuomo, ogni anno oltre 6400 persone vengono uccide da questi spietati ordigni. Su Repubblica.it si legge che solo in Afghanistan 45.000 persone sono rimaste mutilate e che ogni anno si conta un incremento di vittime registrate di ordigni, il che significa che molto probabilmente le cifre sono più alte perché si devono considerare quelle di cui non si saprà mai nulla.

I bambini sono le vittime più comuni delle mine antiuomo

UNRIC (Centro Regionale delle Informazioni delle Nazioni Unite) spiega che i bambini rappresentano un terzo delle vittime totali di ordigni, un dato angosciante e intollerabile che purtroppo non ha ancora sensibilizzato a sufficienza i paesi coinvolti in conflitti bellici. I bimbi rifugiati o sfollati sono vittime frequenti di mine antiuomo perché giocano in zone pericolose; i piccoli poi hanno una corporatura più minuta quindi se rimangono feriti hanno meno probabilità di raggiungere ancora vivi l’ospedale più vicino rispetto a feriti adulti.

La cosa peggiore però è che i bambini vengono irrimediabilmente attratti dalle mine dato che assomigliano a dei giochi. “Hanno delle forme e dei colori che possono attrarli perché li scambiano per giocattoli con cui possono giocare. – spiega Sara Salvigni, infermiera che parla dei pazienti del Centro chirurgico di Kabul -. Può succedere che il bambino richiami altri bambini e che insieme si mettono a maneggiare la mina, quindi purtroppo quando esplode si hanno più vittime”.

I bambini mutilati o che abbiano riportati gravi danni a vista e udito hanno grosse difficoltà a frequentare la scuola ed avere il sostegno necessario per ricevere riabilitazione ma anche mezzi di sostentamento dato che spesso rimangono vittime anche i genitori e i parenti più prossimi.

La testimonianza di un’infermiera di Emergency

Sarah è un’infermiera di EMERGENCY a Lashkar-gah in Afghanistan che nel novembre del 2017 ha scritto un post toccante sulla pagina Facebook di Emergency. Sarah ha raccontato gli ultimi strazianti attimi di un bambino arrivato in ospedale con le gambe totalmente mutilate da una mina e che lucidamente ha atteso l’ora della sua fine perché i medici e gli infermieri purtroppo non hanno potuto fare nulla per salvargli la vita. Sarah ha potuto solo tenergli la mano e fargli compagnia mentre pian piano esalava il suo ultimo respiro. Vi riportiamo di seguito le sue parole:

Attraverso la finestra della sala delle medicazioni vedo le foglie muoversi nel vento. Ci siamo spostati lì per farlo morire in pace. Ma quella che doveva essere l’ultima carezza per accompagnarlo fino alla fine, è diventata un momento infinito.

Un solo desiderio: che finalmente si lasciasse andare, che si arrendesse. Io e Samiullah, l’infermiere con cui lavoro, siamo uno a destra, l’altro a sinistra del letto. Senza poter far nulla. Teniamo una mano appoggiata su quel piccolo corpo per non farlo sentire solo. Si è aggiunto anche Padshah, un nostro collega infermiere, in silenzio. Le foglie continuano la loro danza nel vento. Non mi ricordo nessun rumore, nessun altro intorno.

Ma il bambino non vuole arrendersi, quel cuore non si voleva fermare. Spostiamolo, non si sa quanto continuerà a combattere. Tutto quello che posso fare è somministrare farmaci per alleviare il dolore e sperare con tutta me stessa che faccia veramente effetto. Nient’altro.

E te ne convinci perché altrimenti non resisteresti. Prima di portarlo via, prima di farlo scomparire tra tende bianche e letti bianchi, facciamo entrare il padre.

Chiede aiuto con gli occhi, in silenzio. Combatte contro le lacrime e anche se subito non scendono, macchiando le sue guance polverose, perde quella battaglia inutile. Sono rossi. Sono lucidi. Mi guardano mentre ascoltano la voce di Padshah che spiega che non c’è più nulla da fare. Che non potevamo neanche provarci. Perché ogni tanto le mine non lasciano nulla da salvare. E lui guarda me, guarda loro, guarda la piccola creatura che giace davanti a lui. Guarda il suo bambino di quattro anni e scuote la testa. “Non doveva succedere questo, non doveva succedere”.

Quella maledetta mina gli ha portato via le gambe e gli ha distrutto la pelvi. Il cuore però continua a battere. E così i minuti passano, nel silenzio, tra quelle lacrime di dolore soppresse.

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