La storia di Silvia: "Lui mi rubò l'adolescenza e mi costrinse a cambiare città"

Silvia Palmerini, 22 anni, ci ha raccontato la sua storia, dall'esperienza di stalking subita a 15 anni, fino alla nuova vita in un'altra città e alla tesi sul sessismo. Con un messaggio ben chiaro a dispetto della giovane età: "C'è bisogno di educare i ragazzi alla parità di genere".

Una ragazza e un ragazzo, giovanissimi; si conoscono, si piacciono, cominciano a frequentarsi. Poi però le cose non vanno, del resto capita spesso quando si è solo adolescenti o poco più, e ci si affaccia appena al mondo dei sentimenti e dell’amore. Quello che invece non dovrebbe mai capitare è che la persona lasciata rifiuti l’abbandono, e inizi una vera e propria opera di persecuzione nei confronti di chi ritiene responsabile di quella ferita, di quell’onta insopportabile.

Si chiama stalking, e la cronaca dei giornali e dei media ne è, purtroppo, traboccante: uomini e donne, accecati dal livore, dalla sete di vendetta, fomentati dalla sofferenza per il rifiuto, che si trasformano improvvisamente in ombre terrificanti della loro vittima, precipitandola nel terrore e nello smarrimento, come se il dolore per essere stati respinti potesse legittimarli a infliggere tormenti altrettanto grandi a chi, dopo tutto, non ha fatto altro che interrompere una storia d’amore che non era più tale.
I nomi di alcune delle vittime di stalking, che hanno pagato a caro prezzo la rabbia cieca dei loro persecutori, sono incisi nelle pagine della storia contemporanea: alcune uccise da un ex marito incapace di accettare l’addio, come Stefania Formicola, altre punite con l’acido, come Gessica Notaro o William Pezzulo.

Altre vittime di stalking, invece, hanno dovuto rinunciare a tutto ciò che apparteneva alla loro vita: alla propria città, agli amici, ai luoghi cari in cui hanno passato l’infanzia e che sono legati ai ricordi più belli. Sono costrette a scappare, per ritrovare la pace, la serenità… semplicemente, per riprendere a vivere.
Così ha dovuto fare Silvia Palmerini, oggi 22 anni, che da Thiene, nella provincia vicentina, dove è cresciuta, se ne è dovuta andare, per sfuggire a un ragazzo che la perseguitava, giorno e notte, incessantemente, e contro cui le autorità hanno potuto fare ben poco. È proprio lei a raccontarci la sua storia, la storia che raccontavamo all’inizio, quella di due giovanissimi che si frequentano per un po’, fino a che uno dei due decide di interrompere. In quel caso, è stata Silvia a voler dare un taglio a quel flirt, inconsapevole dell’inferno che la sua decisione avrebbe scatenato.

A 15 anni ho incontrato, tramite i social, un ragazzo più grande, di 18 anni, del paese in cui allora abitavo – ci racconta Silvia – Siamo usciti due, tre volte, prima che io partissi per le ferie con la mia famiglia per 15 giorni. In questo periodo ho scoperto di essere stata tradita, così al ritorno dalle ferie ho deciso di interrompere la frequentazione.
Il mio rifiuto ha scatenato una serie di suppliche insistenti, ma con l’ingenuità dovuta all’età e all’inesperienza ero convinta di poterle gestire tranquillamente.
Con il passare del tempo l’insistenza diventava sempre più forte e i toni diventavano sempre più scontrosi e offensivi. Dopo numerosi tentativi di fermare questa persecuzione ho deciso di rivolgermi alla mia famiglia e chiedere aiuto. Abbiamo provato più volte a far ragionare questa persona ma inutilmente. Anzi ormai il telefono squillava giorno e notte, iniziarono le lettere, le minacce, gli appostamenti sotto casa. Non avevo più tregua“.

Silvia si rende conto che le cose sono molto più gravi di quanto aveva creduto, e decide di interpellare i carabinieri, che purtroppo però possono fare ben poco, come le spiegano.

In totale ho sporto tre denunce nell’arco del 2012, quasi un anno dopo l’inizio del tutto. Purtroppo, se così si può dire, non avendo mai subito violenza fisica, i carabinieri non potevano intervenire“.

Silvia è intrappolata in una situazione da cui non riesce più a uscire: inutili sono i tentativi di cambiare numero di telefono, di far ragionare il ragazzo. Lui la trova sempre, e non si limita “solo” a tormentarla, la diffama sui social.

Comparivano post pubblici a mio nome dove raccontava di cose intime mai avvenute o diffamava il mio nome.
Parole d’amore si alternavano a suppliche, poi a insulti, poi minacce e poi messaggi casuali come ‘Hai visto, ha vinto l’Inter’. La mia vita non era più la stessa, io non ero ormai più la ragazza solare di prima. Ansia, attacchi di panico, lacrime. Sono riuscita a fargli bloccare il profilo, ma anche questo fino a quando non ne ha aperto un altro con un nome diverso“.

Come racconta la sezione veneta del Corriere, far emanare un decreto di non avvicinamento per il ragazzo è praticamente impossibile, perché la casa di Silvia e quella di lui sono vicine, e la misura restrittiva gli impedirebbe quindi di frequentare la scuola. Il papà di Silvia riesce finalmente a ottenere almeno una misura cautelare che mette il ragazzo sotto la lente dei carabinieri. è un’ammissione di colpevolezza, firmata da lui e controfirmata dai genitori, davanti ai carabinieri, e una segnalazione come stalker. Il provvedimento sembra però tardivo, perché, come spiega Silvia

Quando finalmente gli arrivò la notifica e cominciò il dialogo prima tra le nostre famiglie e poi tramite avvocati io ero ormai uno zombie e soprattutto ero maggiorenneTre anni della mia vita passati così”.

In questi tre anni Silvia ha dovuto vivere praticamente “sotto scorta”, accompagnata da parenti e amici in ogni spostamento, le foto del ragazzo appese dappertutto nei luoghi che lei frequentava, in modo che, se si fosse presentato, avrebbero potuto facilmente riconoscerlo.

Cosa si prova a vivere “sotto scorta”, costretta a non poter condurre un’esistenza da adolescente normale?

La vita cambia, non ti rimane nulla se non la paura di ogni cosa. Io ho avuto la fortuna di avere due genitori, una sorella, e in generale una famiglia che mi ha appoggiata molto una volta uscita allo scoperto. Non è stato facile, io facevo l’animatrice, ero a scuola lontana da casa, insomma mettevo a rischio non solo me. Erano pochi gli amici a sapere della situazione, ma come si dice ‘pochi ma buoni’, e di conseguenza mi hanno sempre aiutata. Alla fine ti viene spontaneo chiuderti in te stessa a casa, cercare di evitare le altre persone, di proteggerti come puoi. Io mi allontanavo tutti i weekend, e questo porta non solo a perdere tanti contatti con gli altri, ma in parte anche con te stessa.

Ci vuole tanto coraggio, e il giusto appoggio, soprattutto a 15 anni.

Silvia, approfittando anche della presenza dei nonni paterni a Bologna, si trasferisce in Emilia per studiare comunicazione sociale all’Università. Sulla sua scelta non nega sia pesata, e non poco, l’esperienza terribile vissuta con il suo stalker.

Inizialmente avevo in progetto di partire come ragazza alla pari negli Stati Uniti, l’idea era proprio di scappare.

Man mano che sono andata avanti nel progettare la partenza mi sono resa conto che comunque scappare avrebbe, ancora una volta, dato del potere a lui.

Ho quindi deciso per una via di mezzo: avrei studiato abbastanza lontana, ma comunque supportata dalla mia famiglia. Per me era importante fare un passo in avanti, tornare a confrontarmi con estranei, con un mondo nuovo e ricominciare da me“.

Pur così giovane, Silvia ha scelto di fare tesoro della propria esperienza per mettersi al servizio delle altre donne vittime di violenza e di stalking; molto coinvolta nel problema della discriminazione di genere e del sessismo, il 14 novembre 2017 si è laureata con una tesi ispirata proprio alla sua storia, che ha mirato ad analizzare gli stereotipi culturali sessisti insiti nella pubblicità. Per dimostrare cosa?

Ho voluto sottolineare come gli uomini che hanno riempito i cartelloni di insulti sessisti si sentissero quasi intoccabili, come ormai oggigiorno tutto ciò avvenisse davanti agli occhi di spettatori totalmente indifferenti. Sì, perché siamo abituati a certe battute maschiliste, a commenti sessisti. Ed è questo che lavorando sulla mia tesi mi ha più colpito. Le donne stesse a volte giustificano questo modo di ragionare, ci ridono su, ci scherzano, senza rendersi conto che è proprio questa mentalità che sta alla base di degenerazioni come le violenze fisiche, sessuali, lo stalking e tutte le altre forme di violenza che mettono la donna in una posizione di sottomissione, di impotenza“.

Silvia nel giorno della laurea con il fidanzato (Fonte: facebook @silvia palmerini)

Ma la tesi di Silvia non si limita a esaminare dal punto di vista semiotico il problema, cerca di strutturare e proporre soluzioni, iniziative. Perché Silvia, nella sua giovane età, ha idee decisamente chiare su dove sia necessario agire.

Trovo fondamentale una rieducazione alla parità di genere. Partire fin dalla giovane età a spiegare che la donna e l’uomo sono importanti allo stesso modo e in modi differenti, la donna in quanto tale e l’uomo in quanto tale. Sono due figure, a mio avviso, che devono lavorare insieme, e non una sopra l’altra.
Non sono per la visione totalmente femminista, io credo che la via più corretta sia trovare un punto di incontro dove non esiste dominante e dominato/a. Bisogna partire dal modo di pensare alla figura della donna non come figura debole, impotente, che si confronta con l’uomo forte e dominante. Se non eliminiamo questo punto di vista continueremo a leggere ogni giorno di sempre più donne uccise, perseguitate, ferite, che restano sempre solo una piccola parte, dato che denunciare, purtroppo, non è ancora una scelta possibile per molte“.

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Così giovane, eppure puoi dare consigli molto preziosi alle altre donne. Ad esempio, alla luce della tua esperienza, quali sono i segnali da non sottovalutare per capire che abbiamo a che fare con uno stalker?

Ciò che contraddistingue lo stalking è principalmente che non hai modo di scappare, anche se fisicamente si è lontani dal proprio stalker oramai tra social e smartphone si può essere raggiunti ovunque. Quello che ho cercato di trasmettere anche ai ragazzi a cui ho fatto da animatrice e non solo, è che c’è un limite dopo il quale non è più amore, ma diventa un sentimento malato, un’ossessione.

Ecco, quel limite a volte è sottile soprattutto perché nella maggior parte dei casi si cerca di fidarsi dell’altra persona. Io me ne sono resa conto tardi, nemmeno sapevo cosa fosse lo stalking. Ad oggi vanno sensibilizzati soprattutto i giovani a capire e riconoscere i propri diritti e doveri, e le proprie libertà, che non possono essere infrante da nessuno. Bisogna aiutarli a distinguere un brutto carattere da un comportamento morboso, e aprirli al dialogo trasparente su queste tematiche.

3 denunce sulla testa, una misura cautelare e un’ammissione di colpevolezza per stalking, ad oggi sai cosa è successo al ragazzo che ti perseguitava?

Spero che abbia colto l’occasione per cambiare vita e cambiare se stesso, per risolvere i suoi problemi. Non so dove sia e che cosa faccia, e a dire la verità ho smesso di chiedermelo. Per me la storia è chiusa, io sto lavorando su di me e cercando di sfruttare il mio percorso per aiutare altre persone“.

Oggi Silvia vive in un’altra città veneta, ha un nuovo fidanzato, Mirko, è riuscita a ricostruirsi una vita e a laurearsi brillantemente. Però, è impossibile non farle questa domanda.

Il tatuaggio di Silvia con scritto No Fear (Fonte: Facebook @silvia palmerini

Hai paura?

Diciamo che sto imparando a controllare le mie paure, che fino a non molto tempo fa mi dominavano. Ora più che paure sono diventate strumenti di crescita personale. Le cicatrici diventano una forza se si fa il giusto percorso.
Ammetto che a volte ci penso, tanto più ora che mi sono esposta ma sto lavorando molto sulla nuova consapevolezza che ho di me e della mia storia.

Io sono fiera di aver denunciato, di aver lavorato su di me per venirne fuori a testa alta, e di parlare della mia esperienza per aiutare altre persone per sensibilizzare il più possibile sul tema dello stalking, violenza troppo spesso sottovalutata.

Ora come ora mi sento protetta, in primis sono una donna più forte e poi ho il sostegno di amici, famiglia e del mio fidanzato. Come diceva Rocky, l’importante è come impari a reagire ai colpi che prendi, e io stessa ad un certo punto della vicenda mi sono tatuata ‘no fear’ [niente paura, ndr.], perché arriva un punto in cui ti rendi conto che o ti fai mettere sotto e rimani una vittima passiva, o diventi vittima attiva e gli togli il potere che crede di avere su di te. Ecco perché oggi parlo apertamente della mia storia.

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