Marco e il diritto al piacere dei disabili: cos'è l’assistente sessuale

Anche i disabili devono aver diritto a un vita sessuale appagante. Se ne discute da tanto, eppure la figura dell'assistente sessuale, già presente da 30 anni in molti stati europei, ancora manca nel nostro paese. Perché il pudore e il pregiudizio vincono anche sul politically correct.

La strada del cosiddetto politically correct intrapresa dalla società ha spesso ostentato negli ultimi anni, in maniera talmente veemente da risultare talvolta persino innaturale, l’impegno affinché i diritti civili più basilari, e la dignità di ogni categoria considerata potenzialmente “disagiata” o discriminata venissero rispettati, passando attraverso il cambiamento di definizioni (non più “disabile” ma “diversamente abile”, non più “cieco” ma “non vedente”, misure che indubbiamente hanno interessato più il vocabolario che il modo di rapportarsi con queste persone) e soprattutto attraverso l’attuazione di politiche volte a un maggiore – e migliore – inserimento nella vita della comunità per tutti. Se però la “rivoluzione” del politically correct incontra il tabù relativo alla sfera sessuale individuale, ecco allora che tutti i buoni propositi di uguaglianza, parità e garanzia di una vita “normale” sembrano venire relegati rapidamente in secondo piano.

Chiariamo una questione: se pensate che i disabili, affetti da handicap fisici o psichici, non abbiano impulsi o desideri sessuali, vi sbagliate. E non solo perché alcuni sono diventati disabili in seguito a incidenti o patologie, anche chi con la disabilità ci è nato ha bisogno che la propria sfera emozionale, emotiva, e anche meramente sessuale, ossia fisica, venga soddisfatta. Perché con la disabilità si possono perdere capacità motorie o avere deficit mentali, mica si smette di essere umani.

Eppure, su questo argomento sembra esista ancora un insieme di pudori e pregiudizi malcelati, una sorta di velo di Maya che le istituzioni si pongono sugli occhi per non vedere una realtà che esiste eccome, e che interessa gli oltre 13 milioni di persone affette da disabilità che ci sono nel nostro paese, secondo le stime relative al dicembre 2016 riportate da Ofcs.

L’Italia resta arretrata in tema di sessualità dei disabili, mentre in altri paesi europei, come Olanda, Germania, Danimarca, Austria, Svizzera, la figura dell’assistente sessuale per persone affette da handicap di qualunque natura è esistente già da anni, quasi 30: precisiamo, con questo termine non si intende una persona pagata per avere rapporti sessuali con la persona disabile, la sua figura è ben più complessa, e passa da un aiuto materiale nella gestione della propria sessualità, fino al supporto attraverso la scoperta dell’erotismo o sul come reindirizzare impulsi che, se non sfogati, potrebbero essere espressi in altro modo, attraverso rabbia, frustrazione o malessere. L’importanza dell’assistente sessuale non si esaurisce nel suo compito puramente fisico, ma riguarda soprattutto l’aspetto psicologico e umano della persona, e, proprio per questo motivo, Maximiliano Ulivieri, ideatore di loveability.it e di altri siti che affrontano le problematiche legate alla disabilità, è stato tra i principali promotori, insieme allo psicologo Fabrizio Quattrini, dello sviluppo di corsi di formazione per assistente sessuale anche nel nostro paese. Peccato, però, che nonostante le numerose richieste di partecipazione, nessuna Asl abbia mai voluto assumere una simile figura professionale, che non è ancora, lo dicevamo, riconosciuta legalmente in Italia. E chissà se mai lo sarà. Un primo passo sembrava essere stato fatto nel 2014, con la presentazione al Senato di un disegno di legge, primo firmatario il senatore Sergio Lo Giudice del Pd, che mirava proprio a istituire corsi per formare assistenti sessuali, con questa motivazione: “ Il presente disegno di legge intende favorire il pieno sviluppo della persona anche sotto il profilo dell’espressione della sessualità. I diritti sessuali sono oggi considerati diritti umani, la cui violazione costituisce violazione dei diritti all’uguaglianza, alla non discriminazione, alla dignità e alla salute“.

Una scena del famoso film Manuale d’Amore 2, che vede protagonisti Riccardo Scamarcio e Monica Bellucci

Peccato, però, che ad oggi questa proposta di legge sia caduta nel vuoto, e Ulivieri e Quattrini abbiano continuato da soli, assieme a poche altre associazioni, a formare assistenti sessuali; il fatto, in verità, è che ad incidere sulla scelta di riconoscere o no una professione simile non sia la necessità di una vera e propria formazione accademica, ma una cultura di accettazione e tolleranza sociale che, invece, ancora oggi purtroppo non esiste, celata appunto dal pregiudizio che vuole che i disabili non possano “fare sesso”.

Eppure, ci sono testimonianze che dimostrano il contrario, come quella, raccolta da Repubblica, di Marco Pedde, nuorese di 49 anni a cui è stata diagnostica la Sla nel 2010. Non solo ha perso il lavoro e la compagna, che ha chiesto la separazione dopo l’insorgere della malattia, adesso sembra aver perso persino il diritto a una vita sessuale soddisfacente che, pure, lui ancora desidera. Peccato che tale diritto sia inserito nella Convenzione Onu del 13 dicembre 2006, firmata (ma mai realmente attuata) anche dall’Italia.

In Italia, a differenza di altri Paesi, questo è un argomento tabù – spiega Marco –Per me non lo è: ne parlo con le mie amiche, con le mie sei sorelle, con la mia anziana madre, con mio figlio di 12 anni, tutti appoggiano la mia battaglia. Il bisogno sessuale deve essere messo alla stregua di qualsiasi altro bisogno per un disabile. Poter accedere al piacere fa bene alla mente, ma è indispensabile la figura dell’assistente sessuale“.

In Italia ci sono persone formate per questo – dice ancora Marco – ma le Asl non assumono le professioniste. Altri malati come me stanno facendo questa battaglia anche per tutte quelle persone che per motivi diversi non alzano la voce ma sentono l’esigenza di vedersi riconosciuto questo diritto” e conclude dicendo che “il diritto alla sessualità è segno di civiltà”.

Uomini e donne disabili, di qualunque orientamento sessuale, hanno desideri sessuali che non riescono a esprimere, anche se, per ragioni legate soprattutto a pudori e retaggi culturali, sono più gli uomini che manifestano l’esigenza e richiedono l’aiuto di un assistente sessuale, solitamente donna.

Alcune delle perplessità circa la figura dei cosiddetti love giver, però, non vengono solo dalle istituzioni, ma anche da chi, con le persone disabili, lavora da tutta una vita e ha sperimentato sulla propria pelle cosa significhi avere un figlio disabileGabriella D’Abbiero, presidente dell’Anffas, l’associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale, spiega a Repubblica. “Penso che la figura dell’assistente sessuale per quel che riguarda le disabilità cognitive gravi, possa essere utile se inserita all’interno di un percorso legato all’educazione sessuale ed emozionale, coinvolgendo anche le famiglie. Il discorso cambia invece se parliamo di disabilità fisiche. In quel caso c’è l’impossibilità nel gestire la propria intimità“.

Ma c’è un altro punto che a D’Abbiero proprio non piace; il rapporto con gli assistenti sessuali, come conferma anche Ulivieri, non rappresenta le caratteristiche codificate di una relazione, restando puramente sul piano affettivo: così, se qualcuno dovesse innamorarsi del proprio assistente, ne resterebbe deluso, perché, dice Ulivieri, “le relazioni non si possono inventare. Si può invece aiutare una persona a migliorare la propria autostima, preparandola così, in determinati casi, anche ad un eventuale incontro“.

La presidente Anffas, però, non vede questo punto in una prospettiva positiva: “Le persone che hanno disabilità di tipo intellettivo difficilmente riuscirebbero a filtrare un rifiuto o un abbandono“.

In realtà, però, sono gli stessi assistenti sessuali a scongiurare il rischio di “scatenare” reazioni insane nei propri pazienti, e, in fondo, anche per questo i corsi di formazione servono per prepararli ad affrontare qualunque tipologia di situazione, compresa quella in cui l’attaccamento del disabile al proprio love giver rischi di trasformarsi in qualcosa di più. “Vivere la propria sessualità è un’esigenza naturale e giusta e vale per chiunque: disabili e non – afferma Lorenzo Fumagalli, che da anni fa l’assistente sessuale in Svizzera – È per questa ragione che chi vive con un handicap, sia esso fisico o psichico, deve poter rivolgersi a un assistente sessuale che lo aiuti a esprimere questo bisogno, accompagnandolo nella scoperta della propria intimità e nel caso di impossibilità, sostituendosi a lui nella masturbazione. Quello che faccio con chi mi contatta è iniziare un percorso che coinvolge non solo loro, ma anche chi li assiste ogni giorno“.

” Non è detto che tutti debbano o vogliano ricorrere all’assistente sessuale – dice invece Ulivieri – ciò che dobbiamo garantire è il diritto di scelta”. E, soprattutto, a una vita normale. Che passa anche attraverso una sessualità soddisfacente”.

Per avere informazioni sui corsi in programma per diventare assistente sessuale si può consultare il sito lovegiver.it; in fondo, come dice Marco

Il diritto alla sessualità è segno di civiltà.

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