È un fenomeno nato negli anni ’80 in Giappone ma che da allora si è diffuso in tutto il mondo, Italia compresa: sono gli hikikmori, giovani o giovanissimi che si isolano dalla società rinchiudendosi dentro le mura delle loro stanze. Ma perché lo fanno? E, soprattutto, come aiutarli?

Cosa significa hikikomori?

Hikikomori (引き籠もり? o 引きこもり) è una parola giapponese che significa «stare in disparte», dalle parole hiku, “tirare”, e komoru, “ritirarsi” o “chiudersi” e che può riferirsi sia al fenomeno nel suo insieme che alle persone che appartengono a questo gruppo sociale.

Chi ne fa parte – giovani, ma non solo – si ritira in una sorta di isolamento volontario in casa propria, nella propria stanza, limitando al minimo le esperienze con il mondo esterno, perfino con i propri genitori (se parliamo di giovani e giovanissimi). L’unica finestra verso il mondo – sempre che anche quella finestra non venga chiusa volontariamente – è Internet.

Si tratta di un fenomeno nato in seno alla società giapponese già a metà degli anni ‘80, e dagli anni 2000 diffusosi anche nel resto del mondo.

Hikikomori: le cifre in Italia e all’estero

Le persone che soffrono della sindrome di Hikikomori hanno soprattutto un’età compresa tra i 14 e i 25 anni, non studiano e non lavorano e fanno quindi parte dei cosiddetti Neet. Sono soprattutto maschi (tra il 70% e il 90%), anche se la percentuale di ragazze potrebbe essere sensibilmente sottostimata.

A marzo 2023 l’associazione Gruppo Abele ha diffuso i dati relativi alla prima ricerca sul fenomeno dell’isolamento volontario in Italia, che ha coinvolto un campione di oltre 12.000 studenti e studentesse, rappresentativo della popolazione scolastica italiana fra i 15 e i 19 anni.

Secondo le proiezioni, l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi e ragazze a livello nazionale) si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo.

In Italia sarebbero quindi oltre 120mila, ma il numero, continua il Gruppo Abele, cresce di anno in anno, mentre in Giappone il numero sarebbe molto più ampio, superiore al milione e mezzo (pari all’1,2% della popolazione).

Le cause dell’isolamento sociale

Il fenomeno hikikomori è nato in Giappone, dove il forte senso del dovere e dell’onore che caratterizza la società si concretizza in obiettivi che la scuola e il mondo del lavoro sembrano imporre sulle spalle dei giovani.

Le cause di questo fenomeno, però, sono più complesse, soprattutto da quando si è diffuso anche a Paesi con strutture sociali e valoriali molto diverse. Secondo l’indagine del Gruppo Abele,

Il comportamento di auto reclusione nella propria stanza è causato da un forte sentimento di vergogna sociale nei confronti dei propri pari e ad un senso di inadeguatezza prestazionale rispetto alle richieste del contesto.

Spesso è un evento stressante a innescare un comportamento socialmente evitante che poi si estende all’hikikomori, mentre secondo l’enciclopedia Britannica alcuni studi rilevano che l’hikikomori è correlato a contesti familiari disfunzionali o che hanno subito traumi.

L’analisi delle persone con hikikomori, però, suggerisce anche alcune caratteristiche psicologiche condivise:

i ricercatori M. Suwa e K. Suzuki hanno identificato le manifestazioni dell’hikikomori primario come episodi di sconfitta senza lotta, un’immagine ideale che nasce dai desideri degli altri piuttosto che da se stessi, conservando un’immagine ideale del sé “atteso”, investimento dei genitori in un sé ideale del bambino e comportamento evitante per mantenere l’opinione positiva degli altri.

Anche lo psicologo e psicoterapeuta Matteo Lancini sul sito del Gruppo Abele ha definito questa fragilità come «una forma estrema di protesta sociale, un grido di dolore, che nasce dal non sentirsi adeguati ai propri coetanei, incompresi a scuola, schiacciati dalla competizione».

Sintomi e campanelli d’allarme

Gli hikikomori non diventano tali da un giorno all’altro. Il ritiro dalla società avviene in modo graduale, spiega ancora Matteo Lancini:

un giorno il ragazzo non vuole entrare in classe perché ha mal di pancia, due giorni dopo si rifiuta di proseguire gli allenamenti di calcio, poi smette di rispondere ai messaggi degli amici su whatsapp, inizia a stare sveglio di notte e a dormire di giorno finché l’invisibilità diventa la sola alternativa a una vita sentita e ritenuta insopportabile.

Ma come riconoscere i sintomi? Il Ministero della Salute, del Lavoro e del Welfare giapponese, riporta Save The Children, ha pubblicato delle linee guida sulla sindrome di hikikomori, comprese le caratteristiche per individuarla:

  • stile di vita incentrato sulla casa;
  • incapacità o riluttanza a frequentare la scuola o il lavoro;
  • sintomi che persistono per più di 6 mesi.

Anche l’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio di Pisa ha evidenziato alcune caratteristiche che potrebbero essere utili per identificare gli hikikomori: un’età compresa tra i 14-30 anni, essere maschio (nel 90% dei casi), essere figlio unico di una famiglia di estrazione sociale medio-alta, nella quale solitamente è assente uno dei genitori, più comunemente il padre.

Rischi e conseguenze

Le conseguenze dell’hikikomori possono essere gravi, non solo per gli individui che ne soffrono ma anche per la società nel suo insieme: può portare all’isolamento sociale, alla mancanza di opportunità di lavoro e a difficoltà finanziarie, oltre che problemi di salute mentale come depressione e disturbi d’ansia.

Secondo uno studio degli effetti di questo fenomeno sulla società giapponese, però, l’impatto sarebbe molto più ampio e avrebbe effetti su una serie di problemi «come il tasso di natalità in calo, il numero di persone nella forza lavoro, nonché un impatto complessivo sull’economia giapponese».

Come aiutare un hikikomori?

Non esiste un trattamento univoco e standardizzato per riportare un ragazzo “Hikikomori” a rivivere nel mondo esterno, spiega ancora il Gruppo Abele: «le modalità devono essere individuate in modo personalizzato con ogni soggetto con un sostegno che richiede lo sviluppo di diverse fasi e il contributo di livelli differenti di aiuto: educativo e clinico, per i soggetti ritirati e per le loro famiglie».

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!