Nel paragrafo 29 di Essere e tempo, l’opera più famosa di Martin Heidegger, troviamo due citazioni: la prima è di Pascal

Donde viene che mentre parlando delle cose umane si dice che occorre conoscerle prima di amarle, ciò che è diventato proverbiale, i santi invece dicono, parlando delle cose divine, che occorre amarle per conoscerle, e che nella verità si penetra soltanto per mezzo della carità, del che hanno fatto una delle loro più utili sentenze…

La seconda, più incisiva, è di Agostino di Ippona

Nella verità si penetra soltanto attraverso l’amore.

Essere e tempo.

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Anche se non sono citazioni dell’autore, queste prove bastano ad annullare quanto sostenne K.Jaspers, ovvero che la filosofia di Heidegger fosse “senza amore”.

Se da un lato possiamo capire la sua posizione, in quanto nell’opera i temi principali ruotano attorno all’essere, il Dasein, il tempo e la morte, dall’altra è fondamentale chiedersi il perché di quelle due citazioni.

La spiegazione la troviamo nella vita reale del filosofo. Negli anni in cui andava elaborando Essere e tempo (1927) ebbe un’intensa avventura amorosa con una sua studentessa: Hannah Arendt aveva solo diciotto anni ed era una giovane donna di un’ intelligenza vivace e profonda.

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Diventò a poco a poco una vera musa ispiratrice per il pensatore tedesco: tra i due, già dal 1925, ci furono intensi scambi epistolari, grazie ai quali è possibile non solo ricostruire il loro silenzioso amore, ma anche riflessioni più intime su temi profondi, quali il rapporto “verità-amore” e “fedeltà”.

Nelle ultime lezioni che Heidegger tenne a Marburgo nel semestre estivo del 1928 si fa riferimento alle due citazioni: egli riprende delle riflessioni che aveva scambiato con Max Scheler, per il quale amore e odio fondano la conoscenza, e sulla scia di una frase dell’Ordo Amoris “L’uomo, prima di essere un ente pensante o volente è un ente amante”, costruisce il motore immobile e invisibile che dà vita al suo Dasein, l’essere-nel-mondo.

Se Hidegger si appella ad Agostino e a Scheler, significa che l’amore è per lui un modo di apertura più originario di ogni conoscenza.

In riposta alla teoria delle passioni, la Arendt scrive nel 1953

Niente più dell’amore ci introduce più inevitabilmente all’interno dell’universo vivente.

Essere-nell’amore significa fare in primis esperienza dell’esistenza più “propria” e poi scoprire, in due, che l’essere nell’esistenza significa anche volere l’esistenza dell’altro. Amo, come dice Agostino, significa volo ut sis, ti amo, voglio che tu sia ciò che sei.

…Come sei tutt’intera, e come rimarrai, così io ti amo

scriveva Heidegger alla sua studentessa.

Amare è anche lasciare libero l’altro, amare è cogliere il “tu” pur lasciandolo essere, senza cercare di possederlo: “… lasciar essere l’essere”

scrive il filosofo circa il concetto di libertà ne Lettere sull’umanismo.

Secondo la Arendt l’amore non consiste propriamente solo nei sentimenti verso l’ altro, ma prende una forma propria, che chiede qualcosa a entrambi gli amanti.

Se è fuori da ogni dubbio che Heidegger la amò, spingendola ad essere libera, resta tuttavia il fatto che rifiutò ostinatamente di cambiare per lei il corso della propria vita: non avrebbe mai lasciato il suo “punto fisso”, Elfride.

La concretizzazione del loro amore non avvenne mai. Avevano sì un mondo loro, ma era pur sempre circoscritto a qualche momento fuggitivo.

Hannah decise di chiudere la clandestina relazione, e lui, nonostante l’avesse ritenuta da sempre “molto più di una stella cadente”, non la trattenne, conservando però la speranza di riconquistarla.

In realtà tra i due ci fu sempre un collegamento, una sintonia che si riflette nelle numerose lettere che i due si spedirono anche dopo il primo matrimonio -poi fallito- della Arendt con G.Stern. Qualcosa cambiò nel 1933, quando Heidegger aderì al partito nazionalsocialista.

Nel frattempo la giovane Hannah si era trasferita a Parigi, dove sposò “il suo grande amore”, il filosofo tedesco H.Blucher, con il quale si imbarcò per gli Stati Uniti, lasciandosi alle spalle i ricordi del tormentato amore con quella “volpe” di Heidegger. Come un vero Don Giovanni, egli passa di donna in donna alla ricerca della Donna, vale a dire una “verità della Donna”, rifacendosi alle teorie filosofiche di Proust e Sartre:

L’amore non può ridursi al solo desiderio di possedere Una donna, ma anche esso tende, attraverso la donna, a impadronirsi del mondo intero.

Alla ricerca di questa verità, passa da graziose dottorande a giovani signore eleganti. Inoltre, si può notare che il suo Amore non si mostra affatto platonico, anzi l’amore si manifesta principalmente nell’effervescenza sessuale.

Non è dunque un caso che dedichi un libro su Platone alla sua “moglie-rifugio” Elfride, né che mandi alla Arendt alcuni versi dell’Antigone di Sofocle in cui il coro evoca il dio Eros.

Il 1950 è un anno di crisi per Hannah: se da una parte il secondo matrimonio sembra crollare a causa di un tradimento da parte del marito, dall’altra è un momento di riflessione feconda su un tema molto delicato, la fedeltà. Tra i due non c’erano più segreti, Blucher era al corrente delle lettere che mandava ancora al suo professore-amante, e addirittura la incoraggiava a riallacciare i rapporti.

Lascia che siano tutti gelosi di te, qui a casa ti aspetta il tuo nient’affatto geloso bombolo, che in compenso ti ama davvero a suo modo.

Sì amor mio, i nostri cuori hanno messo radici l’uno nell’altro ed i nostri passi vanno in armonia. E quest’armonia niente può turbarla, anche se la vita va avanti. Questi sciocchi credono che fedeltà ci sia quando la vita attiva cessa e s’inchioda a Una persona. Costoro si privano non solo della vita comune, ma della vita come tale…

Ma è nel suo Diario intellettuale che la filosofa trae le conclusioni dei vari episodi della sua vita.

Rispondere all’infedeltà -come è abitualmente intesa- con la gelosia equivale quindi a una perversione della fedeltà.L’infedeltà più grave e terribile che possa esistere, il peccato più grande è per la Arendt l’oblio, poiché spegne la Verità, la verità che è stata.

È per questo motivo che, pur con tutto l’orrore provato per l’adesione di Heidegger al partito nazista, decise di restare sempre in contatto, mentale e non, con lui. Un’affinità elettiva non priva di tormenti e sofferenze, incomprensioni e oscurità.

Più che di perdono, bisognerebbe parlare di una volontà di non rinnegare ciò che era stato “l’evento dell’amore”.

Chi è Hannah Arendt

La politologa tedesca, considerata una delle più importanti figure del ‘900, visse in un contesto storico estremamente particolare, quello dell’ascesa del nazifascismo – che, come visto, la allontanò dal suo amore platonico, Martin Heidegger -, che su di lei ebbe effetti devastanti visto che, essendo di origini ebraiche, la Arendt perse la cittadinanza tedesca rimanendo apolide dal 1937 fino al ’51, anno in cui ottenne la naturalizzazione statunitense.

Hannah rifiutò per tutta la vita l’appellativo di filosofa, affermando che nei suoi testi, in cui ribadiva l’importanza del pluralismo come potenziale per svilippare l’uguaglianza e la libertà politica, parlasse di teoria politica e non di filosofia politica; negli anni ’60, con la guerra ormai alle spalle, Arendt seguì per il New Yorker il processo contro Otto Adolf Eichmann, figlio di Karl Adolf e di Maria Schefferling, catturato in un sobborgo di Buenos Airesl’11 maggio 1960 e portato a processo con ben 15 capi d’accusa, poi confluito in uno dei suoi libri più famosi, La banalità del male.

La banalità del male

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Il libro che raccoglie gli scritti di Hannah Arendt per il New Yorker, per cui seguì, nel 1960, il processo contro Otto Eichmann, catturato a Buenos Aires e portato in Israele per rispondere di 15 imputazioni.
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Occupandosi a lungo di totalitarismi, avendone vissuto uno sulla pelle, Arendt fu la prima a intravedere una connessione tra nazismo e stalinismo, ne Le origini del totalitarismo, accusando le dittature di aver scavato nelle paure e nei dubbi delle persone, disorientate nel non sapersi più ritrovare nella vita attiva di una comunità, per essersi insinuate nella società, convincendole a lasciarsi guidare da ideologie pericolose.

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Arendt analizza i vari movimenti totalitari, ponendo per prima l'accento sulle connessioni tra nazismo e comunismo russo.
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Del resto, proprio rispetto a Eichmann Arendt spiegò il motivo per cui riteneva che nel suo atteggiamento ci fosse banalità: come tutti gli individui che avevano agito durante il nazismo, lo aveva fatto rinunciando al proprio giudizio personale, diventando perciò un essere mostruoso poiché privo di un pensiero proprio, una macchina pronta a eseguire gli ordini all’interno di una catena produttrice di morte.

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