Cos'è lo Stringfoot: la piaga invisibile dei piccioni urbani

Cosa sapere e come aiutare i piccioni che incorrono nella piaga dello Stringfoot: noi siamo la causa del fenomeno e noi possiamo aiutarli.

La vita dei piccioni è dura in città. Scacciati – a volte anche con voli di falchi per la dissuasione naturale nei centri storici – mutilati da punte poste sugli edifici, i piccioni si trovano a fronteggiare diversi pericoli. E c’è un pericolo spetto troppo sottovalutato: si tratta dello Stringfoot. Che si aggiunge appunto a tutto ciò che in città rappresenta un fattore di rischio per i volatili. Senza contare che la colpa è anche nostra in quanto esseri umani che producono rifiuti (e talvolta li smaltiscono in maniera scorretta).

Cos’è lo Stringfoot

Con il termine Stringfoot si intende il fenomeno per cui le zampe dei piccioni restano impigliate nelle fibre filamentose, naturali o artificiali, più disparate: capelli umani ed extension, filo interdentale, spago, filati, lenze da pesca, fili per imballaggi e così via. È uno dei risvolti probabilmente meno esplorati dell’inquinamento: i colombi selvatici, noti con il nome scientifico di Columba Livia, sono uccelli che affollano le nostre città e o li percepiamo come nemici o non li percepiamo affatto, li diamo quasi per scontati.

Eppure lo Stringfoot causa in loro dolore e mutilazioni, infezioni e impossibilità di qualunque movimento, malattie e in alcuni casi anche la morte. Accade questo: i piccioni di città si ritrovano a cercare materiali per la costruzione del proprio nido e si imbattono in ciò che abbiamo gettato via. E quando ciò che abbiamo gettato via è di carattere filamentoso, rischia di avvolgersi in spire nelle zampe dei piccioni che, com’è noto, girano in tondo. Accade sia agli individui adulti che ai pulcini, e in questo caso è anche peggio, perché i filamenti si conficcano nella loro tenera carne.

Sostanzialmente, quando i volatili, adulti e pulcini, si impigliano nei filamenti, questi ultimi restano avvolti molto strettamente intorno alle zampa o alle zampe. La prima conseguenza è la perdita di circolazione, com’è facile intuire, perché i fili costringono il flusso sanguigno, comportando gonfiore, infezioni e necrosi dei tessuti. Naturalmente, se i piccioni non vengono curati, si va verso la mutilazione e infine alla morte.

Come aiutare i piccioni

Ci sono però dei modi per aiutare questi uccelli, tanto che esiste un sito ufficiale che dà informazioni in merito. Si tenga presente che i colombi di città non sono considerati propriamente fauna selvatica in alcune nazioni, per cui spesso l’aiuto viene da volontari e volontarie. Ognuno e ognuna di noi può prestare il suo aiuto, ma bisogna ricordarsi di indossare i guanti e lavarsi bene le mani, oltre che lavare gli abiti indossati, per la propria sicurezza. Gioverebbe comprendere che anche la prevenzione è importante: una corretta gestione della spazzatura contrasterebbe il fenomeno, ma servirebbe una sensibilizzazione e una campagna informativa apposite.

Per prestare aiuto ai piccioni tout court, si parte dall’osservazione: basta guardare se un piccione è stato affetto dallo Stringfoot. Si passa poi a una “cattura” il più delicata possibile del volatile, anche perché, se scappa via, non possiamo più aiutarlo. Con forbici e pinzette si rimuovono tutti i materiali estranei dalle zampe dei piccioni, che vanno pulite con un disinfettante apposito che possa prevenire le infezioni. L’uccello, una volta aiutato, lo si può lasciare andare laddove lo si è trovato.

Naturalmente, se si vuole effettuare questa attività di volontariato, è importante munirsi di attrezzi adatti, come forbicine, pinzette appuntite, disinfettanti e salviette antibatteriche: se possibile, fatevi consigliare da gruppi che si occupano della cura e il recupero fauna selvatica, perché loro potranno fornirvi delle dritte importanti in tal senso. Se il volatile è eccessivamente ferito, non azzardate cure o altro, ma contattate il centro recuperi fauna selvatica più vicino: saranno gli addetti e le addette a prestare le cure necessarie all’uccello per rimettersi in sesto e non terminare prematuramente la propria esistenza nel dolore.

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