La tragica storia di Monika Ertl, la ragazza che vendicò Ernesto Che Guevara

Chi era Monika Ertl, la giovane donna che vendicò il Che Guevara e l'unico amore della sua vita, una donna che morì per i suoi valori

La storia è piena di persone e personalità che hanno lasciato una traccia, positiva o negativa, e che vengono ricordate per le loro azioni, pensieri o lasciti sui libri di storia e nei racconti di chi li ha visti e/o conosciuti. Ma ci sono anche molte altre persone, meno note, meno conosciute e di cui quasi nemmeno si parla, ma che hanno fatto cose che vale la pena riportare alla luce e ricordare. Come Monika Ertl, passata alla storia come la ragazza che vendicò Ernesto Che Guevara e morta all’età di 36 anni in un agguato. Ma la cui vita è stata molto più di questo.

Era il 9 ottobre 1967, quando Roberto Quintanilla, capo dei servizi segreti boliviani, posò accanto al corpo senza vita di Ernesto Che Guevara, con le mani tagliate proprio da colui che, fiero ed orgoglioso, si faceva fotografare vicino a una delle personalità e dei rivoluzionari più importanti di tutto il ventesimo secolo.

Uno sfregio, che trovò una risposta immediata da parte da una giovane donna che, proprio in quel momento giurò di vendicarlo, Monika Ertl.

Chi era Monika Ertl, il padre e la vita

Nata a Monaco nel 1937 Monica Ertl era figlia prediletta di Hans Ertl, una figura poliedrica, alpinista, innovatore di tecniche sottomarine, ma anche scrittore, inventore, esploratore, antropologo, nonché uno dei più bravi operatori del cinema, tanto da raggiungere la notorietà ritraendo i dirigenti del partito nazionalsocialista filmando l’estetica corporale e le gesta degli atleti partecipanti ai Giochi Olimpici di Berlino (1936) e collaborando, sotto la direzione della cineasta Leni Riefenstahl, alla realizzazione del documentario Olympia, il film nazista dedicato all’esaltazione degli atleti ariani.

Non un gerarca nazista, quindi, e nemmeno un uomo che ebbe a che fare con i morti causati dal regime, ma un uomo che collaborò con il Terzo Reich con opere di natura “estetica” e artistica.

Proprio per questo suo rapporto, nel dicembre del 1953, l’allora sedicenne Monika, le sorelle e la madre, si imbarcarono da Amburgo per raggiungere Buenos Aires, attraverso quella che sarebbe passata alla storia come la rotta dei topi, ovvero il tragitto che facilitò la fuga di membri del regime nazista proprio verso il Sud-America una volta conclusa la Seconda Guerra Mondiale, per ricongiungersi al padre Hans emigrato tre anni prima.

L’arrivo in Bolivia e il cambio vita

Raggiunta la Bolivia, dopo un’infanzia passata tra i nazisti, Monika apprese l’arte del padre, cosa che le permise di lavorare con il documentarista boliviano Jorge Ruiz e che la rese una donna pioniera nella realizzazione di documentari.  Una vita, o meglio una prima parte della sua vita, passata “accanto” a personalità legate al regime, come colui che era solita chiamare “Lo zio Klaus”, ovvero Klaus Barbie ex capo della Gestapo a Lione, in Francia e più noto come “Macellaio di Lyon.”

A sugellare questo genere di rapporti, poi, ci fu anche un matrimonio a La Paz, tra Monika e un giovane tedesco, unione che la portò a vivere vicino alla miniera di rame nel nord del Cile, contrapponendo in modo netto la miseria dei lavoratori a quella dello sfarzo in cui viveva la giovane. Un’unione che finì dopo soli dieci anni, portandola in seguito ad abbracciare tutta una serie di nobili cause, come la fondazione di una casa per orfani che venne poi convertita in ospedale proprio a La Paz.

La morte del Che Guevara e del compagno Inti Peredo

Un’evoluzione e un distacco da quella che era stata la sua vita fino a quel momento, tanto da essere quasi ossessionata dalla lotta contro i nazisti, e che ebbe una rapida accelerazione proprio con la morte del Che Guevara, il 9 ottobre 1967, quando dopo essere stato catturato dall’esercito boliviano insieme ad altri guerriglieri, venne assassinato a La Higuera, un villaggio nella selva boliviana. Un evento che per Monika Ertl fu drammatico e determinante, portandola a entrare nella milizia con la Guerriglia di Ñancahuazú per combattere la disuguaglianza sociale, proprio come aveva fatto quello che lei riteneva un eroe. Un contributo che inizialmente, fu nel sostentamento dei sopravvissuti del gruppo armato guevarista,e che la portò a conoscere Inti Peredo, l’unico uomo che Monika Ertl amò davvero e per il quale entrò a pieno nella battaglia rivoluzionaria con il nome di momento Imilla.

La notte del 9 settembre del ‘69, Inti Peredo venne raggiunto in un covo a La Paz, in un momento in cui era solo, senza Monika, e qui venne gravemente ferito da colpi da arma da fuoco. Dopo essere stato catturato, venne torturato in modo brutale fino a essere ucciso dalle stesse mani che si abbatterono sul corpo già morto del Che, Roberto Quintanilla.

Monika Ertl e la sua vendetta verso Roberto Quintanilla

Ed è da questo evento che Monika Ertl focalizzò la sua vita alla vendetta. Dopo la morte del compagno Monika assunse il comando della guerriglia, prendendo contatto con esponenti della sinistra radicale in Europa e trasferendosi a Cuba, dove conobbe conosce Régis Debray, filosofo francese e compagno di lotta di Fidel Castro e Che Guevara. Ed è qui che Monika organizzò il suo piano per eliminare Quintanilla.

Il 1° aprile del 1971, al consolato della Bolivia ad Amburgo, arriva una bellissima donna, elegante, una turista e giovane reporter australiana, o almeno questo è quello che dichiarò quando telefonò per richiedere il visto d’ingresso nel paese sudamericano. Una visita in cui chiese anche di poter parlare direttamente con il console, che proprio in quel momento, vedendola, le consentì un appuntamento. Un incontro in cui il console, Roberto Quintanilla, non ebbe nemmeno il tempo di stringerle la mano, perché Monika Ertl estrasse immediatamente dalla borsa una pistola, e guardandolo negli occhi sparò, uccidendolo con tre colpi in pieno petto. 

Il ritorno in Bolivia e la morta di Monika

Una vendetta attesa e consumata nel giro di pochi istanti, e dopo la quale Monika decise di farla pagare anche a un altro assassino, una persona a lei molto vicina nei tempi della sua “prima vita”, Klaus Altmann Barbie, l’ex capo della Gestapo di Lione. Una volta tornata in Bolivia dopo una serie di rocamboleschi viaggi, nel luogo in cui l’ex gerarca si nascondeva da tempo e con una taglia da 20.000 dollari sulla testa in seguito all’assassinio compiuto, Monika non riuscì a portare a termine il suo intento, poiché cadde vittima di un’imboscata organizzata dall’esercito e dallo stesso Barbie, che la uccise all’età di 36 anni.

Nonostante le richieste del padre, il corpo di Monika non venne mai restituito e nulla si seppe di cosa accadde alla donna prima della sua uccisione. Una morta silenziosa, ma che ha reso Monika una donna che merita di essere ricordata per il suo coraggio e per i suoi ideali. Un ricordo che il padre, dopo l’uccisione della sua figlia prediletta e che amava enormemente, decise di celebrare virando la sua vita all’internazionalismo e convertendo la casa di La Paz in un museo dedicato alla sua memoria.

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