*** Aggiornamento del 9 febbraio 2021***

Il 2020, non potrebbe essere altrimenti, sarà ricordato come l’anno della pandemia mondiale di Covid-19 e del lockdown, ma purtroppo non c’è solo questo: fra le conseguenze peggiori della quarantena forzata fra le mura di casa, quello che abbiamo da poco salutato è stato un annus horriblis per la lotta ai femminicidi.

Una recente indagine Istat, infatti, ha rivelato che nell’anno appena passato, in Italia, si è registrato un importante calo degli omicidi, che rende il nostro Paese tra i più sicuri in Europa e nel mondo, secondo l’istituto. Tuttavia, questi dati potrebbero essere facilmente spiegati con le minori possibilità, per gli assassini, di poter uccidere le proprie vittime, visto il lockdown. Peccato che lo stesso non si possa dire degli assassinii che hanno come vittime donne, uccise in quanto tali, ovvero in base al genere (il che distingue il femminicidio come fattispecie precisa di omicidio, come da vocabolario Treccani)

Se nei primi 6 mesi del 2020 ci sono stati infatti 131 omicidi, contro i 161 del 2019, il numero delle vittime di sesso femminile è tuttavia aumentato, passando da 56 a 59, con un picco nel mese di gennaio 2020, mantenendo invariato, purtroppo, il “trend” degli ultimi anni.

Chiaramente la quarantena forzata ha peggiorato ulteriormente le cose, tanto che addirittura il 90% delle donne uccise nel primo semestre dell’anno scorso è stato ammazzato all’interno del nucleo domestico, in ambito familiare, in particolare da partner o ex partner (nel 61% dei casi). Nel dettaglio, nel 70% dei casi l’omicida è il marito, poi ex conviventi ed ex fidanzati, mentre nel 22,5% sono altri familiari, e nel 4,5% dei casi di altri conoscenti.

A fronte del calo – spiegabile – degli omicidi, quindi, purtroppo il lockdown ha leggermente alzato la media dei femminicidi – tre in più – e di certo non ha contribuito ad arginare il problema.

Tre donne nelle ultime 24 ore

Nel frattempo, nonostante sia ovviamente presto per tracciare un bilancio per il 2021, ci sono fatti di cronaca che non lasciano ben sperare per un’inversione del trend.

Solo tra sabato 6 a domenica 7 febbraio in Italia sono morte tre donne: parliamo di Piera Napoli, Heshta Luljeta e Ilenia Fabbri.

Lunedì 7, a Cruillas, quartiere popolare di Palermo, è stata uccisa la cantante neomelodica Piera, 32 anni, mamma di tre bambini, massacrata a coltellate dal marito, Salvatore Baglione, che poi si è costituito senza però indicare il motivo che lo ha spinto al femminicidio.

Non si può ancora ufficialmente parlare di femminicidi negli altri due casi, ma il timore è di trovarsi ancora una volta di fronte a morti di questo tipo. Nel milanese la prostituta albanese quarantasettenne Heshta Luljeta è stata rincorsa da un uomo e accoltellata; è morta all’arrivo in ospedale, all’Humanitas di Rozzano, dopo un disperato intervento chirurgico. A lanciare l’allarme erano stati alcuni passanti, che hanno assistito alla scena: “Venite, un uomo vestito di scuro sta aggredendo una donna”.

Infine, c’è la quarantaseienne Ilenia Fabbri, trovata sgozzata nella sua casa di Faenza, anche se non si conosce ancora il nome del suo assassino, e gli inquirenti stanno indagando nella cerchia di familiari e conoscenti.

Se a queste donne aggiungiamo anche Roberta Siragusa, diciassettenne palermitana bruciata e gettata in un burrone, abbiamo davvero l’idea che stiamo parlando di un’ecatombe senza fine, che nemmeno il Covid, come detto, non ha frenato.

Vi proponiamo di seguito l’articolo originale, del marzo 2020, in cui descrivevamo proprio lo stato di emergenza per le donne dovuto al lockdown.

*** Articolo originale del 16 marzo 2020***

Ai tempi del Coronavirus l’invito che va per la maggiore, accompagnato anche da hashtag e campagne mediatiche, è “restate a casa”. Peccato che quella che all’apparenza è una richiesta non solo innocua, ma anche essenziale per fronteggiare l’emergenza, possa trasformarsi in un vero e proprio incubo per qualcuno.

Se per qualcuno passare 24 ore su 24 in convivenza forzata con mariti, genitori, figli, suoceri, magari conciliando anche il lavoro in smart working, può risultare alla lunga pesante e davvero stressante, pensiamo a quelle donne che da casa vorrebbero fuggire, o stavano pensando addirittura di farlo, ovvero alle vittime di abusi e violenze domestiche, costrette adesso dalla situazione a passare le giornate con i propri aguzzini.

Per le donne vittime di violenza, restare a casa significa dividere h24 gli spazi familiari con il proprio maltrattante, significa essere isolate da tutti e tutte e vedere il proprio spazio personale assottigliarsi di ora in ora” ha spiegato Marco Chiesara, Presidente di WeWorld, organizzazione italiana che da 50 anni difende i diritti di donne e bambini in 29 Paesi del Mondo; l’associazione, proprio per queste donne, ha lanciato, in occasione dell’8 marzo, la campagna #maipiùinvisibili. “Mai come in questi giorni così surreali crediamo sia importante far sentire loro, attraverso messaggi in televisione, in radio o attraverso il contatto diretto anche se virtuale di un’operatrice o una psicologa, che noi le vediamo, che non sono sole, che possono farcela!”

E ci sono tanti post, sui social, che ricordano proprio come la situazione di queste donne rischi di farsi drammatica. Questo è il post pubblicato sulla pagina Facebook di Sono l’unica mia, collettivo che parla di femminismo islamico, transfemminismo e femminismo intersezionale, con il disegno di Daria Golab Art e le parole di Francesca Kirigiri.

In effetti, le cose per queste donne sembrano peggiorare, anche alla luce di un altro aspetto: in ottemperanza alle disposizione del DCPM dell’11 marzo molti centri antiviolenza hanno chiuso i battenti, o aprono solo per emergenza, con l’esclusione dei fine settimana. Ciò significa che sono più rare le possibilità di fuga per coloro che vorrebbero sottrarsi alle violenze domestiche. Qui trovate la lista con tutti i punti di ascolto sparsi sul territorio nazionale, e sulle decisioni adottate in accoglimento del decreto.

Che la situazione delle donne vittime di violenza domestica, dopo il provvedimento che limita quasi del tutto la possibilità di spostarsi, si sia fatta più difficile lo spiega anche il procuratore aggiunto di Milano, Maria Letizia Mannella: “Nelle ultime ore c’è stato un calo nelle denunce per maltrattamenti. Ci basiamo solamente sull’esperienza perché è ancora presto per avere dei dati certi, ma possiamo dire che le convivenze forzate con i compagni, mariti e con i figli, in questo periodo, scoraggiano le donne dal telefonare o recarsi personalmente dalle forze dell’ordine“.

Tuttavia, ci sono altre possibilità e percorsi da seguire per salvarsi da abusi e maltrattamenti perpetrati tra le mura di casa

Il numero da chiamare e l’impegno di WeWorld

Prima di tutto, nonostante la situazione limite i centri antiviolenza e il movimento Non una di meno stanno diffondendo un appello per chi si sente in pericolo, attraverso l’istituzione di un numero apposito da chiamare per denunciare la violenza, il 1522.<

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Il numero è totalmente gratuito – anche se la chiamata viene fatta dal cellulare -, multilingue, attivo 24 ore su 24 ed è promosso dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento per le Pari opportunità. Inoltre, restano ovviamente sempre a disposizione il 112 e il 113, ovvero Carabinieri e Polizia.<

WeWorld, inoltre, offre una mail, ascoltodonna@weworld.it, cui rivolgersi per ogni evenienza.

Non lasciamo sole le donne e i loro bambini in questo momento difficile – è l’appello dell’associazione – Aiutateci a rimanere al loro fianco: donando 2 euro con sms al numero solidale 45597 dai cellulari personali Wind Tre, TIM, Vodafone, Iliad, PosteMobile, Coop Voce, Tiscali o 5 euro chiamando lo stesso numero da rete fissa TWT, Convergenze, PosteMobile 0 5 e 10 euro da rete fissa TIM, Vodafone, Wind Tre, Fastweb e Tiscali“.

Cosa fare in caso si sia vittime o si voglia aiutare qualcuno

Antonella Veltri, presidente di D.i.Re, che raggruppa circa 80 organizzazioni e centri antiviolenza sparsi su tutto il territorio italiano, rassicura:

Il messaggio che voglio lanciare alle donne che in questo momento si trovano in una difficoltà maggiore perché vivono situazioni di maltrattamento da parte del partner e sono costrette a stare in casa h24, è che noi dei centri antiviolenza ci siamo: da casa, dal nostro telefono di emergenza, anche via skype laddove possibile, dalle nostre sedi che sono temporaneamente in sospensione. Molte operatrici sono nei centri pur non facendo accoglienza nel rispetto delle regole imposte dal Governo. Chiamate se avete bisogno.

Veltri prosegue, spiega che negli ultimi giorni, dopo il penultimo decreto, un’inchiesta condotta da D.i.Re ha rivelato che 60 centri su 80 hanno detto che stanno continuando a rispondere alle telefonate e che hanno un cellulare di emergenza.
Ma se invece si volesse aiutare qualcuno che, si suppone, abbia bisogno di aiuto? Il vademecum, in questo caso, è fornito dalla Casa delle donne di Bologna:

Informati sulle dinamiche della violenza di genere sulle donne, non azzardare consigli ma documentati sull’argomento e chiama un centro antiviolenza. Si tratta di situazioni complesse e spesso pericolose. Non pensare di trovare soluzioni rapide, definitive, semplici. In caso di reale pericolo non metterti in pericolo anche tu, ma chiama le forze dell’ordine.

Due aspetti preoccupanti

Sono soprattutto due le cose che preoccupano Antonella Veltri: in primis, c’è il problema della “convivenza forzata”, che potrebbe inasprire un fenomeno già drammatico portando a episodi di violenza condotti con ancor maggiore virulenza, e far desistere le donne dal rivolgersi via telefono a un centro antiviolenza, data la quasi totale impossibilità di chiamare senza essere sentite.

Il secondo aspetto è invece legato alle case rifugio per donne e minori, che devono essere seguiti dalle operatrici di accoglienza.

Mi chiedo: cosa accade se una di queste donne risulta positiva, dove la collochiamo?diceDa alcuni centri e case rifugio mi arriva notizia che le donne accolte sono terrorizzate dall’inserimento di nuove donne, ma anche per quelle che sono dentro, perché molte hanno la possibilità di uscire. Noi abbiamo dato delle regole: dalla casa non si esce

Potete immaginare, poi, quanto sia difficile tenere occupati i bambini e le bambine. Il fenomeno per noi che gestiamo le case rifugio è moltiplicato, c’è una grande pressione psicologica, tant’è che le psicologhe dei nostri centri sono allertate e stanno cercando di seguire le donne anche a distanza, con tutti i limiti e l’eccezionalità del momento. Per ora il sistema sta reggendo con la presenza delle operatrici che, con mascherine, guanti e distanze di sicurezza, continuano a mantenere la presenza nelle case rifugio“.

L’appello di Veltri è quindi rivolto soprattutto al Premier Conte, a cui chiede “indicazioni rispetto a un fenomeno così stringente e importante nella sua natura strutturale, in un momento in cui le donne sono costrette in convivenze forzate. Un messaggio ce lo saremmo aspettato. Per noi la violenza non è un fenomeno emergenziale, ma richiede in questo momento uno sguardo e un’attenzione particolari”.

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