"A Regular Woman": Aynur, uccisa dal fratello perché voleva essere come le altre

L'autodeterminazione e l'emancipazione di una giovane musulmana di origini curde si scontra con una cultura retrograda e maschilista. Aynur Sürücü è una donna realmente esistita, uccisa nel 2005. Con "A regular woman", in concorso a Sguardi Altrove Film Festival, la regista Sherry Hormann ha scelto di narrarne la storia.

Aynur Sürücü, tedesca di origini curde, è stata uccisa dal fratello il 7 febbraio 2005 alla fermata di un autobus nel quartiere Tempelhof di Berlino. Aynur, che in turco significa chiaro di luna, aveva 23 anni e un figlio di sei anni quando è rimasta a terra come “un fagotto sotto un sudario“. Della sua storia, per mesi al centro di un serrato dibattito sui matrimoni forzati e sui valori nelle famiglie musulmane in Germania, la regista Sherry Hormann ha fatto un film intenso e commovente: A Regular Woman.

Il docu-film di Sherry Hormann è una delle otto opere selezionate (tra lungometraggi, filmati e documentari a tema attualità) per il concorso internazionale Nuovi Sguardi, dedicato alla regia femminile, all’interno della 27esima edizione di Sguardi Altrove Film Festival, in programma dal 23 al 31 ottobre 2020, con un’inedita formula mista – dal vivo (a Milano presso l’Anteo Palazzo del Cinema e il Teatro Franco Parenti) e virtuale (tramite piattaforma Mymovies) – resasi necessaria per far fronte all’attuale pandemia.

A Regular Woman, proiettato sabato 24 ottobre, si è visto aggiudicare dalla giuria composta dal direttore della fotografia Luca Bigazzi, la regista Maria Sole Tognazzi, la montatrice Francesca Calvelli, il critico cinematografico Steve Della Casa e l’attrice e regista Stefania Casini, il premio Cinema Donna, il premio Movieday e anche il premio assegnato dalla giuria delle Women in Film, Television & Media Italia.
A questo link è possibile acquistare l’accredito e vedere il film: tramite piattaforma Mymovies.

Appuntamento consolidato, il festival,  di cui Roba Da Donne è uno dei media partner, organizzato dall’omonima associazione culturale per la direzione artistica di Patrizia Rappazzo, racconta da anni alcuni dei temi di più stringente attualità: dai conflitti generazionali a quelli internazionali, religiosi e politici, dalle relazioni ai soprusi e alla violenza di genere, dai cambiamenti climatici alla sostenibilità, all’innovazione tecnologica.

Non sorprende che a vincere sia stato proprio A Regular Woman di Sherry Hormann, che secondo le parole della stessa regista “riguarda l’autodeterminazione: l’autodeterminazione delle donne e anche la nostra autodeterminazione come esseri umani“. Tanto più che questa ricerca disperata di autodeterminazione si trasforma presto in un sororicidio e in un delitto d’onore. In una parola sempre troppo attuale, in un femminicidio.

Aynur, nata e cresciuta a Berlino e data in sposa sedicenne a un cugino a Istanbul, avrebbe voluto essere “a regular woman“, una ragazza normale, una donna qualunque, quasi banale nella sua ricerca di un matrimonio scelto e non imposto, libera di scegliere chi essere: una normalità che si scontra con le regole della sua cultura di origine, radicalizzata ancora di più una volta in Europa, in una terra distante da quella Erzurum, ai confini più orientali e sperduti dell’Anatolia, da cui sono arrivati i suoi genitori.

Sono tante le norme comportamentali, i codici culturali, le abitudini quotidiane che entrano in conflitto, soprattutto nelle seconde e terze generazioni di immigrati: problemi complessi per cui non esiste una risposta semplice e che quasi sempre pesano in prima persona sul corpo delle donne, figlie, madri e sorelle.

L’integrazione si dimostra con il tempo sempre più difficile da ottenere se non lasciando che la cultura ospite inglobi e soffochi quei riti e quelle consuetudini che arrivano da lontano; in mezzo, schiacciate dal conflitto, le giovanissime che più ricettive nei confronti di costumi spesso inconcepibili per i maschi di famiglia, diventano vittime di una realtà che padri, mariti e fratelli non hanno gli strumenti per affrontare. Per donne che vogliono lavorare, essere indipendenti, avere una voce che sia ascoltata, questi uomini – lasciati a sé stessi in un mondo che non sanno decodificare, ma soprattutto allevati a una cultura patriarcale in cui la donna deve obbedire – trovano in tre colpi di pistola in pieno viso l’unica risposta.

Un’immagine di A Regular Woman (Courtesy Press Office)

Perché vedere A Regular Woman

Supportato da un cast impeccabile e raffinato, A Regular Woman deve molta della sua potenza a una sceneggiatura serrata, a firma di Florian Oeller, e a un montaggio (di Bettina Böhler) dal ritmo febbrile che incorpora fotografie, fermi immagine e video di repertorio.

Riuscita la scelta di lasciare che sia la stessa protagonista a raccontare il proprio omicidio – commesso dal fratello minore in ottemperanza alla norma per cui sia il più giovane a punire l’empietà che infanga l’onore della famiglia – che assurge a una sorta di ricompensa, per quanto magra, nei confronti di Aynur: è la sua voce, sopraffatta in vita, che narra cosa sia accaduto ora che è morta, stabilendo verità che un tribunale ha faticato a riconoscere.

Non tutte le donne devono affrontare un destino drammatico come quello di Aynur, ma in troppe condividono la stessa battaglia contro il dominio patriarcale, in nome della propria affermazione come esseri umani. È a tutte loro che Sherry Hormann vuole rendere giustizia, in tempi bui in cui le violenze di genere non accennano a diminuire e la Turchia di Erdoğan vuole uscire dalla Convenzione di Istanbul. E stiamo parlando di un Paese che nel 2019 ha visto 474 femminicidi e in cui quasi 500mila bambine sono state costrette a sposarsi negli ultimi dieci anni (secondo un report pubblicato dallo stesso Governo turco nel 2018). A Regular Woman ci ricorda che la strada da percorrere è ancora lunga; troppo lunga anche in Europa.

Un’immagine di A Regular Woman (Courtesy Press Office)

La scheda del film di Sherry Hormann

Tra le anteprime italiane del concorso internazionale Nuovi Sguardi, alla 27esima edizione di Sguardi Altrove Film Festival, A Regular Woman, presentato al Tribeca Film Festival, è un dramma biografico diretto dalla regista Sherry Hormann che prima di quest’ultima vittoria aveva già ottenuto il Premio del pubblico al Filmkunstfest Mecklenburg-Vorpommern 2019 e la Miglior Regia al Bayerischer Filmpreis.

A dare voce e corpo a Aynur Sürücü è Almila Bagriacik, giovane attrice tedesca nata ad Ankara. Intervallato da filmati della vera Aynur, il docu-film di Hormann è basato sullo stesso femminicidio che ha ispirato il premiato lavoro del tedesco Feo Aladag, When We Leave, del 2010.

Figlia maggiore di nove fratelli, Aynur Sürücü viene costretta dalla propria famiglia a lasciare la sua scuola di Kreuzberg nel 1998, all’età di 16 anni , e sposare un cugino a Istanbul: “un cambio di proprietario“, poiché il controllo sulla sua persona passa da padre a marito. Incinta, la ragazza si ribella al marito violento e torna nella sovraffollata casa a Berlino, ma la sua famiglia si vergogna e cerca di convincerla a tornare. Quando lascia anche loro, prendendo suo figlio e trovando rifugio in una casa per madri minorenni, si spoglia del velo e inizia a lavorare, sfidando così il controllo maschile.

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