Donne alla regia: perché l'idea di "sensibilità femminile" fa male alle donne

In cosa consiste la sensibilità femminile quando si parla di creazione artistica? Non si tratta di un concetto che limita il giudizio sulle donne dietro la macchina da presa?

Tra gli svariati stereotipi di genere che gravano sulla piena emancipazione femminile, campeggia quella sedicente sensibilità femminile di cui si infonderebbe il tocco delle donne alla regia.

Come a dire che Il portiere di notte sarebbe stato girato in modo totalmente diverso qualora Liliana Cavani fosse stata Federico Fellini non solo e non tanto perché due sensibilità artistiche diverse ma perché di generi differenti.

C’è una differenza palpabile nel modo in cui uomini e donne creano i film? “Il cinema è un medium più adatto agli uomini: i tecnicismi da nerd, la spietata rapidità delle immagini, la qualità voyeuristica che è l’essenza della migliore cinematografia e l’aggressività sottintesa alla realizzazione di qualsiasi pellicola“, è quanto sostiene Bret Easton Ellis nel suo Bianco; una provocazione che anziché esser persa per quello che era gli è valsa la medaglia di sessista tossico.

Scivolare sul terreno quanto meno sdrucciolo della sensibilità di genere si traduce facilmente in luoghi comuni che non fanno bene né alle donne né all’arte tutta; ci sono due modi di fare cinema: uno bene e uno male. Ci sono due tipologie di artisti: quelli bravi e quelli no. Per il resto, sostenere l’esistenza di una capacità tutta femminile di approcciare tematiche e personaggi significa condannarsi a dover rispondere alla provocazione dell’autore di American Psyco.

Giudicare un gioiello come Antigone di Sophie Deraspe (passato alla Festa del Cinema di Roma 2019 non ha ancora trovato – colpevolmente – una distribuzione nelle sale cinematografiche italiane) alla luce del genere della sua regista e non del suo valore come tragedia contemporanea sull’immigrazione ne limita la lettura e il portato.

Stesso vale qualora si voglia riscontrare in Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma, in Lazzaro felice di Alice Rohrwacher, in Piccole donne di Greta Gerwing – solo per nominare pellicole più recenti – un tocco femminile nella regia.

E cambiando genere, i lungometraggi dedicati a Captain Marvel e a Wonder Woman beneficiano in qualche modo della sensibilità delle due registe (rispettivamente Anna Boden e Patty Jenkins)?

Arrischiarsi a sottolineare, poi, che le donne sappiano descrivere meglio le donne pone nella difficile condizione di affrontare due figure femminili come Anna Karenina ed Emma Bovary, non certo nate da una “penna rosa”.

È davvero indubitabile che alcune tematiche siano vieppiù nelle corde di una regista? Violenza di genere, sessualità femminile (omosessualità compresa), maternità paiono trattate in egual misura e con risultati in entrambi casi eccellenti o meno sia da uomini che da donne. A ben guardare è forse solo la sorellanza una tematica mal digerita dagli autori maschi e poco bazzicata dalle stesse donne alla regia.

La questione, a leggere statistiche e premiazioni, sembra piuttosto quella più volte ripetuta da Liliana Cavani: “Al cinema è sempre stata una mera differenza di potere tra uomo e donna“.

Donne alla regia: i numeri

Uno studio pubblicato dalla Indie Women ha rilevato che negli Stati Uniti, se le registe nel 2017-2018 contavano appena il 29% del totale, nel 2019 sono cresciute fino al 33%. Inoltre, solo il 4% dei film che, negli ultimi 11 anni, hanno portato i maggiori guadagni sono stati diretti da donne.

Il Center for the Women in Television and Film della San Diego State University ha invece registrato che su 250 film del 2018 con i migliori incassi, solo l’8% dei registi è rappresentato da donne, con un calo del 3% rispetto al 2017. La percentuale è anche inferiore al 9% registrato nel 1998.

Il report Inclusion in the Director’s chair dell’USC Annenberg, la facoltà di Comunicazione e Giornalismo dell’Università del Sud della California, ha messo a confronto il numero, il sesso e l’etnia dei registi dei top 100 film di ogni anno dal 2007 al 2019: negli ultimi tredici anni la percentuale di donne registe è oscillata dal 2% al 7% per anno. Nel 2019 si è riusciti finalmente a raggiungere per la prima volta il 10,6% grazie a film diretti da donne con grossi budget come Frozen 2, Captain Marvel e Piccole donne.

Le registe sono presenti soprattutto nel cinema indipendente (34,5%), a condurre la regia di serie tv diventano il 31% sul totale e la media di donne registe di film di grande successo e grossi budget si ferma al 5%.

Non più confortanti i dati nel nostro Paese: le registe in Italia sono il 25%, quelle iscritte alle scuole di regia sono appena il 17% contro il 41,5 delle iscritte alle scuole di cinema in generale.

Secondo i numeri di Gap & Ciak: Uguaglianza e genere nell’industria dell’audiovisivo, evento di chiusura del progetto di ricerca Dea – Donne e audiovisivo del Cnr – Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali, solo il 12% dei film a finanziamento pubblico italiano sono diretti da donne e appena il 21% dei film prodotti dalla Rai hanno una regista. Meno del 10% (9,2%) sono i film diretti da donne che arrivano in sala.

I premi alle registe

Gli Oscar conquistati da una donna dietro alla macchina da presa? Solo uno, nel 2010, a Kathryn Bigelow per The Hurt Locker.
Nell’intera storia degli Oscar solamente cinque donne hanno conquistato la nomination per la migliore regia: Lina Wertmüller nel 1976 per Pasqualino Settebellezze, Jane Campion nel 1994 per Lezioni di piano), Sofia Coppola nel 2004 per Lost in Translation, Kathryn Bigelow nel 2010 per The Hurt Locker e Greta Gerwig nel 2018 per Lady Bird. Sappiamo come è andata.
Due i premi alla carriera: ad Agnès Varda nel 2018, a 90 anni, e alla nostra Lina Wertmüller (prima donna a essere candidata per la regia) nel 2020, all’età di 92 anni.

Non meglio al Festival di Cannes: Jane Campion è la prima e unica donna ad aver vinto la Palma d’oro, nel 1993 con Lezioni di piano. Quell’anno, la giuria presieduta da Louis Malle assegnò il premio ex aequo a Addio mia concubina di Chen Kaige.

Spostandoci in Italia, più proficua è stata la Mostra del Cinema di Venezia. Dal 1946 al 2019, il Leone d’oro come miglior film è stato conferito tre volte a una donna: nel 1981 a Margarethe von Trotta, per Anni di piombo; nel 1985 ad Agnès Varda per Senza tetto né legge; nel 2001 a Mira Nair per Monsoon Wedding, nel 2010 a Sofia Coppola per Somewhere. Una sola regista ha vinto il Leone alla regia, Shirin Neshat nel 2009 per Donne senza uomini.

In 64 anni dalla sua istituzione, ai David di Donatello nel 2019 per la prima volta ci sono state due donne candidate per la miglior regia: Valeria Golino per Euforia e Alice Rohrwacher per Lazzaro felice. In quell’edizione, i lungometraggi diretti da registe in concorso sono stati 13 (di cui 7 opere prime).
Il David è andato due volte a una donna: a Francesca Archibugi, vincitrice nel 1991 per Verso sera (ex aequo con Mediterraneo) e nel 1993 per Il grande cocomero.
Un David per il regista esordiente è andato tre volte a una donna: a Francesca Archibugi per Mignon è partita nel 1989, a Simona Izzo per Maniaci sentimentali nel 1993 e Roberta Torre per Tano da morire nel 1997.

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