Nel corso della Storia uomini e donne hanno inventato delle “lingue” settarie per comprendersi all’interno di uno stesso gruppo. Lo hanno fatto gli amanuensi con la brachigrafia medievale, lo abbiamo fatto noi stessi quando gli sms contenevano meno di 200 caratteri. E lo hanno fatto le donne cinesi per molti secoli. Come riporta Il Post, le cinesi vissute in epoca imperiale diedero infatti vita alla scrittura nüshu, ignota agli uomini.

Che cos’è la scrittura nüshu

La scrittura nüshu (che significa «scrittura delle donne») non è un vero e proprio linguaggio, ma più che altro il canale grafico con cui la lingua parlata veniva resa. In altre parole, le donne cinesi non hanno inventato una specie di lingua cinese bis, ma hanno inventato un alfabeto, che traduceva in segni grafici delle sillabe (e quindi non interi concetti come capita al cinese standard ufficiale), e quindi dei suoni. I caratteri, l’uno dopo l’altro (e con essi appunto sillabe e suoni, che venivano letteralmente cantati), componevano le parole, le frasi, i periodi: alcuni assomigliavano ai caratteri del cinese standard, ma apparivano più allungati, aggraziati ed eleganti, altri apparivano molto più fantasiosi.

Questo tipo di scrittura si trasmetteva per imitazione: essendo una “lingua” segreta, non se ne poteva parlare, ma si poteva solo tramandare per via femminile. Veniva usata per diffondere tra le donne, che erano interdette all’istruzione poiché ritenute indegne all’apprendimento, poesie tradizionali: queste venivano scritte su ventagli, fazzoletti, tessuti. A volte la scrittura nüshu era usata per le congratulazioni delle madri alle figlie in occasione del matrimonio: alle figlie era consegnato una sorta di diario segreto per fare questo. E questo diario conteneva spesso la storia di oppressione delle donne cinesi, che raccontavano in nüshu la solitudine che seguiva il matrimonio e la frustrazione di non poter intessere più rapporti amicali con altre donne o con la propria famiglia d’origine.

L’oppressione delle donne in Cina

L’oppressione femminile in Cina è una storia di lungo corso. Alcuni studiosi ritengono che la scrittura nüshu, creata nella contea di Jiangyong nel sud-est della Cina, sia collocabile tra il 960 e il 1279 (ma per altri avrebbe addirittura oltre tremila anni): in pratica, mentre in Europa, le donne single erano impegnate nelle arti e mestieri, diventavano scrittrici e protagoniste di poemi o novelle lussuriose, in Cina accadeva tutt’altro: un fenomeno molto celebre è quello della fasciatura dei piedi, una vera e propria tortura per incarnare determinati ideali estetici.

Gli studi sulla scrittura nüshu

Il primo a indagare la scrittura nüshu fu lo studioso Zhou Shuoyi negli anni ’50, che scoprì tutto per caso: una sua zia, dopo essersi sposata, era andata a vivere in un villaggio in cui questa scrittura, che avrebbe visto un lento declino solo nel XIX secolo, era ancora parzialmente diffusa. Gli studi furono interrotti dalla censura della Rivoluzione Culturale e lo studioso fu rinchiuso in un campo di lavoro fino al 1979, mentre i risultati dei suoi studi furono distrutti. Shuoyi non si diede per vinto e una volta libero riprese i suoi studi che terminarono nel 2003 con la realizzazione di un dizionario nüshu, che si avvalse dell’aiuto dell’ultima donna in grado di comprendere questa scrittura, di nome Yang Huan-yi. Ora il nüshu è insegnato all’Università Tsinghua di Pechino e si realizzano mostre a tema in giro per il mondo (una delle quali anche a Venezia). A Pechino insegna Zhao Liming, che ha parlato del nüshu come di

un raggio di sole che permette alle donne di parlare con la propria voce e lottare contro lo sciovinismo maschile.

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