Il 12 gennaio 1948, due agenti di polizia di Tokyo trovarono per caso i resti di cinque bambini. Dopo un’attenta autopsia si scoprì che non si trattava di cause naturali: partì dunque un’inchiesta tortuosa che culminò nell’arresto dell’ostetrica Miyuki Ishikawa e di altre due persone, colpevoli di aver messo in atto uno sventurato meccanismo per uccidere i neonati in ospedale.

Tra i serial killer più prolifici di tutta la storia del Giappone, si ritiene che in pochi anni abbia lasciato volontariamente morire un numero di neonati compreso tra gli 85 e i 169. Si tratta di una storia nerissima, che ancora oggi mostra sfumature oscure e mai chiarite in toto. Chi era veramente Miyuki Ishikawa?

Gran parte della prima vita di Miyuki Ishikawa, quella precedente al fatto di cronaca nera di cui è stata ferale protagonista, è sconosciuta. Nata nel 1897 a Kunitomi, nel Giappone meridionale, studiò e si laureò all’Università di Tokyo. Si sposò subito dopo con un collega e iniziò a lavorare come ostetrica presso l’ospedale di Kotobuki, di cui divenne direttrice.

Come ricorda un articolo di Medium, la situazione prese una piega inattesa e funesta dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Il Giappone, svigorito e annientato dai bombardamenti, reagì alla povertà e al dolore con un aumento improvviso delle nascite.

Tra il 1947 e il 1949 nacquero circa due milioni e mezzo di bambini, ma molte famiglie non se li potevano permettere. Poiché l’aborto non era ancora legale in Giappone, molte coppie davano alla luce un figlio dietro l’altro senza essere in grado di prendersene cura finanziariamente.

Dalla sua posizione di osservatrice silente e onnisciente di questo baby boom fuori controllo, Miyuki Ishikawa pensò di mettere in atto un schema freddo e calcolato per risolvere il problema. Con la complicità di altre ostetriche e infermiere, e talvolta anche delle madri, iniziò a lasciar morire di fame i neonati.

Tanti sapevano, compreso il marito di Miyuki Ishikawa e un altro medico che compilavano i finti certificati di morte, ma nessuno parlava. Inoltre, spesso erano proprio i genitori a pagarli per risolvere il loro problema.

Dopo l’avvio delle indagini della polizia e il fermo di Miyuki Ishikawa, di suo marito Takeshi Ishikawa e del dottor Shiro Nakayama, furono recuperati altri settanta corpi senza vita di neonati, tutti visibilmente denutriti.

Durante il processo per la morte di 103 neonati, Miyuki (soprannominata Oni-Sanba, ovvero l’ostetrica-demone), sostenne di essere estranea ai fatti e accusò i genitori. Grazie al sostegno dell’opinione pubblica e all’assenza di una legge giapponese che garantisse sufficienti diritti umani ai bambini, se la cavò con una condanna a soli otto anni di prigione, mentre suo marito e l’altro medico furono condannati a quattro anni. Tutti e tre videro poi dimezzarsi la pena durante l’appello.

In realtà, già altre persone avevano usato un metodo simile nel Paese per eliminare i bambini indesiderati, figli di madri non sposate o di coppie in difficoltà economiche. Le istituzioni sapevano, ma fino a quel momento avevano preferito chiudere gli occhi. L’affaire di Miyuki Ishikawa spinse però il Giappone alla legalizzazione dell’aborto per motivi economici, nel 1949.

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