Migliaia di piccoli spariti dalla culla, con la complicità di suore, preti e dottori. Una vicenda incredibile, svelata qualche anno fa in un’inchiesta della BBC, e accaduta in Spagna a partire dalla dittatura franchista e continuata fino alla fine degli Anni Novanta. A far emergere lo scandalo dei neonati rubati fu una rivelazione concessa in punto di morte da uno di quei padri che avevano pagato per ricevere un bambino.

Prima di morire, Jean Luis Moreno raccontò al figlio di averlo comprato nel 1969 da un prete a Saragozza, pagando una cifra che oggi ammonterebbe a circa 50.000 euro. Da quella sofferta confessione ne scaturirono molte altre, facendo emergere un vero e proprio traffico di bambini.

 

Quanti furono i neonati rubati?

Il caso ha portato alla luce inizialmente 900 casi, ma col tempo ne sono emersi molti altri, arrivando a ipotizzare un numero impressionante: circa 300.000 bambini. Iniziata durante la dittatura di Francisco Franco, negli Anni Quaranta, proseguì per circa 40 o 50 anni, fino agli Anni Novanta. Inizialmente i bambini venivano sottratti alle famiglie considerate nemiche, poi a quelle non ritenute moralmente o economicamente in grado di crescere dei figli. A gestire il traffico era presumibilmente la Chiesa, con la complicità di medici e infermieri, che approfittavano del fatto che la legge spagnola non richiedesse il nome della madre biologica sull’atto di nascita.

Solo nel 1987, con la legge sull’adozione, la Spagna cominciò a garantire la protezione dei minori adottati. Da allora il processo dell’adozione viene controllato direttamente dallo stato e dalla pubblica amministrazione. Una legge successiva, del 1996, stabilì inoltre che i figli adottivi avevano il diritto di sapere chi fossero i loro genitori naturali.

La storia di Manoli

Tra le tante testimonianze raccolte dalla BBC, anche quella di Manoli Pagador, una madre a cui fu sottratto il primogenito nel 1971, quando aveva solo 23 anni ed era sposata da poco. Il parto andò benissimo, il piccolo era sano e venne portato via per essere controllato. Ma non lei lo rivide mai più.

“Una suora, che era anche infermiera, venne a dirmi che mio figlio era morto”, raccontò, spiegando di non aver mai visto il corpo del piccolo e di non aver potuto accusare nessuno perché “eravamo nella Spagna di Franco. Era una dittatura”. Nonostante abbia avuto tre figlie e moltissimi nipoti, Manoli non superò mai la perdita del primogenito, tanto da arrivare a pensare di essere pazza per aver creduto che lui fosse ancora vivo.

L’ammissione e le prime proteste

Fonte: Facebook / S.O.S. Bebés Robados Madrid

Dopo mesi di richieste dalla BBC, il governo spagnolo permise all’emittente britannica di parlare con un funzionario del ministero della giustizia, Angel Nunez. Fu proprio lui ad ammettere che sì, si era verificato un traffico di neonati rubati, ma non volle rivelare nessuna cifra.  “Dal volume delle indagini, suppongo che fossero molti”, si limitò ad ammettere. Iniziarono così a formarsi molte associazioni di genitori in cerca di giustizia, come S.O.S. Bebés Robados Madrid.

Il ruolo della Chiesa

La Chiesa avrebbe ricoperto un ruolo molto importante nella sottrazione di piccoli. Durante il franchismo rivestiva infatti un ruolo fondamentale perché si occupava di gestire ospedali e scuole. Riuscì così a ottenere la complicità di molti medici, come ad esempio di Eduardo Vela, uno dei nomi più in vista nella lista dei sospettati. Nella sua clinica di Madrid, il 70% dei bambini erano nati da “madre ignota”, dicitura usata per tutelare le ragazze madri, ma che, secondo la BBC, avrebbe offerto anche una copertura al traffico dei bambini.

Nessuna giustizia per i niños robados?

La giustizia spagnola tentò per anni di insabbiare il caso. Nel 2012, grazie alle pressioni delle associazioni di genitori a cui erano stati sottratti i neonati, venne intentato un processo contro suor María Gómez Valbuena, assistente sociale nella clinica di San Ramón a Madrid.

Attraverso annunci sui giornali, la suora offriva aiuto alle donne incinte con problemi economici o familiari, mettendo loro a disposizione un appartamento nel quartiere di Salamanca. Il suo nome appariva in molti certificati sospetti, portati come prova dalle madri a cui erano stati rubati i figli. Processata, suor María Gómez Valbuena negò tutto. Morì nel 2013, a 88 anni, portando con sé il segreto nella tomba.

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