Avete mai pensato che il matrimonio potesse avere una scadenza?

L’Italia è un Paese a maggioranza cattolica in cui le nozze assumono due dimensioni: quella religiosa finché morte non ci separi e quella civile che può essere interrotta con il divorzio, un istituto introdotto negli anni ’70 del Novecento. Per l’Islam invece esiste il mut’a, il matrimonio temporaneo. Non per tutto l’Islam in realtà, ma solo per gli sciiti, perché per i sunniti il muta è «haram», proibito.

Mut’a, il matrimonio temporaneo, ha infatti una data di scadenza che viene fissata dagli sposi attraverso un contratto. Questa durata potrebbe avere un breve termine (mesi), un medio termine (anni) o essere di fatto “eterno” (perché alcuni fissano la durata delle nozze in 99 anni). Secondo la Treccani, questo istituto era in uso in Medio Oriente in epoca preislamica e non vide una specifica proibizione dal profeta Maometto, quanto dal diritto musulmano sunnita.

Ma chi lo fa e perché? Uno dei contributi più interessanti sul tema arriva dalla Bbc, perché chiarisce che il mut’a è un fenomeno vivo e in continua crescita tra i musulmani britannici, in particolare nei campus universitari, popolati di donne e uomini istruiti. Storicamente era un modo per far sì che un uomo avesse compagnia femminile quando viaggiava per lunghe distanze, ora il fenomeno assume contorni ben differenti e decisamente interessanti. Le ragioni di chi sceglie il mut’a, il matrimonio temporaneo, possono essere differenti tra loro.

Per alcuni è un modo di conoscersi prima di decidere di fare sul serio, di capire di essere una coppia per tutta la vita o quasi. Ci si può infatti sposare per sei mesi, conoscersi a 360 gradi attraverso la convivenza e i rapporti intimi, e poi decidere di optare per un matrimonio più tradizionale o un altro matrimonio temporaneo che è tale solo sulla carta, perché viene stabilita appunto la durata in 99 anni.

Attraverso il matrimonio temporaneo, la donna riceve un regalo dal futuro sposo (ed è per questo che il diritto sunnita equipara il mut’a alla prostituzione): si tratta di una sorte di dote, come si usava tradizionalmente anche in Italia, specialmente al Sud, dove la sposa provvedeva al corredo e lo sposo a pentole e padelle per esempio.

Per alcuni il mut’a è un modo per bilanciare le proprie credenze religiose con un moderno stile di vita occidentale, ma soprattutto per la donna ci sono dei diritti che attraverso il matrimonio islamico tradizionale non potrebbero essere concessi.

Con un mut’a la donna può avere numerose libertà infatti, che non sarebbero garantite dal matrimonio tradizionale: libertà di uscire, di lavorare senza il consenso del marito, di godere in autonomia dei propri guadagni, anche di non avere rapporti sessuali neppure con il marito se è questo l’accordo che le parti hanno preso nel contratto del matrimonio temporaneo. E naturalmente di usare anticoncezionali senza l’accordo del marito.

Niente sottomissione della donna all’uomo quindi nel mut’a: uomini e donne sono alla pari nel matrimonio temporaneo, sempre in base a ciò che ogni coppia fissa nel proprio contratto, compresi divisione di beni, eredità, custodia dei figli in caso di divorzio.

Inoltre non è previsto il ripudio nel matrimonio a breve termine ma esiste il divorzio nel matrimonio fissato a 99 anni (anche se quest’ultimo ha ricevuto varie fatwa da altrettanti ayatollah). Un’altra ragione per cui il mut’a è popolare oggi è perché può legittimare il sesso in maniera religiosa: in pratica si possono avere vari matrimoni temporanei, avere rapporti sessuali consapevoli e consenzienti tra adulti, e avere anche la possibilità di trovare la persona giusta non solo dal punto di vista emotivo, ma anche dal punto di vista intimo.

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!