Durante un primo appuntamento potrebbe esservi capitato di sentire il/la vostro/a partner snocciolare, celato sotto forma di lamentela, il numero di pretendenti con cui si trova ad avere a che fare.

Ebbene, questo comportamento ha un nome, che gli è stato attribuito dalla giornalista americana Patia Braithwaite in un articolo per Self: si chiama whelming, dal verbo “to whelm“, ovvero “sommergere”, ed è proprio la pratica messa in atto da chi, durante un incontro (che dovrebbe essere) romantico, passa il tempo lamentandosi di quanto sia appunto sommerso da richieste di uscite e da messaggi di spasimanti.

Inutile dire quanto possa essere odioso e antipatico un atteggiamento di questo tipo, forse alla pari del ghosting, che è invece la “simpatica” usanza di sparire dopo i primi incontri.

Incappare nel whelming può essere frequente soprattutto per chi usa abitualmente le app o i siti di incontri, ed è riconoscibile dall’uso di frasi come

Incontro molte donne ed è davvero difficile riuscire a vedere tutte quelle che mi cercano.

O

Possibile che a tutti gli uomini piaccia un brunch?

Va bene, siamo d’accordo che, nella ricerca dell’anima gemella, soprattutto se per via virtuale (ma non solo) talvolta occorra vagliare più “aspiranti”, e sarebbe una bugia dire che chi naviga sul Web alla ricerca della fatidica “altra metà della mela” non intesse spesso e volentieri più frequentazioni amichevoli contemporaneamente per sondare il terreno.

Ma è altrettanto chiaro che non faccia piacere a nessuno sapere di essere il numero “X” di una lista lunga chissà quanto, né sentir parlare di quanto siano pressanti gli/le altri/e contendenti proprio nel bel mezzo di un incontro che dovrebbe, in teoria, servire a capire se la persona che abbiamo davanti ci piaccia oppure no.

Anche perché, siamo sinceri, chi davvero potrebbe ritenere attraente una persona che passa la serata lamentandosi di quanto successo abbia con gli uomini o le donne e di quanto sia ricercata?

Le ragioni per cui si mette in pratica il whelming

Mashable ha interpellato lo psicologo e psicoterapeuta Flavio Cannistrà per avere delucidazioni su questa pratica che lascia a dir poco perplessi:

Si tratta di un’etichetta inventata dall’autrice, non di ‘un costrutto psicologico’ cioè come qualcosa evidenziato e studiato da studi di psicologia

sottolinea come prima cosa.

Detto questo, ci possono essere molti motivi per metterlo in atto. Ad esempio, potrebbe essere visto come un tentativo più o meno consapevole di influenzare l’altro a dare certe risposte, per esempio a fare ciò che gli chiediamo di fare (se ti dico che tanti mi vogliono, e io sono uno solo, creo in te un senso di desiderio e di urgenza di avermi), o a compatirci (che è la risposta più spontanea data di fronte a qualunque tipo di lamentela), o persino a valutarsi con ‘meno’ valore di noi (‘Io ho tante richieste… Tu invece?’).

Penso che il punto sia domandarsi che cosa si cerca in una prima interazione con una nuova persona: ci piace qualcuno che, nei primi scambi, ci dice che c’è la fila alla sua porta – e che quindi noi siamo giusto un numero?

Probabilmente, ha ragione Braithwaite quando nel suo articolo scrive:

Non ti avvicineresti a qualcuno in un bar dicendo ‘Wow, altre 37 persone in questo bar hanno mostrato interesse per me. Sono così sopraffatta’. Quindi perché mai qualcuno dovrebbe fare qualcosa di così incredibilmente imbarazzante nello spazio liminale che sono gli incontri online?

Insomma, se è vero che a un primo appuntamento galante non è necessario dire proprio “tutto tutto” di sé, di certo sarebbe consigliabile evitare di comunicare alla persona che ci troviamo di fronte che abbiamo una fila chilometrica (vera o presunta) di corteggiatori. Non la farà sentire più interessata, anzi… Probabilmente, le farà applicare la tecnica del ghosting appena arrivata a casa.

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