Il 9 novembre del 1938, Helen Hulick si presentò al tribunale di Los Angeles per testimoniare nel processo riguardante un furto con scasso avvenuto nella sua casa. Educatrice d’infanzia, nonostante avesse solo ventotto anni si era già fatta conoscere per i suoi metodi di insegnamento innovativi per i bambini sordomuti e con problemi di linguaggio. Sui giornali, tuttavia, finì per un’altra vicenda, come ricorda il Los Angeles Times.

Schietta e indipendente, Helen Hulick entrò nell’aula indossando un paio di pantaloni, come solitamente faceva nella sua vita quotidiana. Chiamata davanti alla Corte, il giudice Arthur S. Guerin non poté credere ai suoi occhi: inorridito, sospese l’udienza e ordinò alla giovane donna di ripresentarsi con abiti più femminili e “adatti” alla situazione.

Per tutta risposta, cinque giorni dopo, Helen tornò indossando ancora i pantaloni, in aperta provocazione verso Guerin. Vedendola disubbidire ai suoi ordini, il giudice si abbandonò a una vera e propria invettiva contro di lei, che ormai era passata da parte offesa nel procedimento legale a pietra dello scandalo.

L’ultima volta che si è presentata in questa Corte, vestita come oggi e inclinando la testa all’indietro, ha attirato più attenzione da spettatori, prigionieri e presenti in tribunale che lo stesso processo. Le era stato richiesto di tornare con un abbigliamento consono per il processo.

Non contento, il giudice proseguì sempre più minaccioso.

Oggi è tornata con i pantaloni, sfidando apertamente la Corte e il suo dovere di condurre il processo in maniera ordinata. Questo è il momento di prendere una decisione a riguardo e la Corte ha il potere di mantenere quella che considera una condotta esemplare.

Ed ecco, quindi, la minaccia vera e propria:

La Corte le ordina di tornare domani con un abito accettabile. Se insiste nell’indossare i pantaloni, le verrà impedito di testimoniare perché ciò ostacolerebbe la procedura giudiziale. Ma si prepari a essere punita secondo le leggi di questa Corte.

L’avvocato di Helen Hulick, William Katz, si era portato in aula quattro volumi di sentenze che stabilivano la libertà della sua cliente di indossare quello che preferiva, ma non servirono a nulla. “Indosso pantaloni da quando ho quindici anni e possiedo solo un abito elegante nel mio armadio”, disse al suo legale. “Tornerò in pantaloni e nel caso in cui mi metta in prigione, spero che il mio gesto serva per liberare per sempre le donne da questo divieto di indossarli”.

Il giorno seguente, Helen fece come aveva promesso e il giudice Guerin si comportò di conseguenza, condannandola a cinque giorni di carcere. Venne dunque portata via e costretta a indossare la divisa della prigione femminile, un abito in denim.

Il suo avvocato ricorse immediatamente in appello, forte anche delle numerose proteste giunte via lettera al tribunale, ma non poté evitarle di scontare la sua piccola condanna in prigione. Tuttavia, riuscì a ribaltare la sentenza del giudice: si stabilì per legge che Helen Hulick, come ogni altra donna dopo di lei, aveva il diritto di indossare i pantaloni durante un processo.

Un paio di mesi dopo, Helen tornò nuovamente davanti alla Corte, indossando però un vestito: ormai aveva già ottenuto il suo risultato e non aveva più nulla da dimostrare. Il suo piccolo e grande gesto di protesta aveva già contribuito ad aggiungere un importante tassello nella conquista dell’emancipazione femminile.

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