Aurora Mardiganian, la ragazza che subì tutto il male più indicibile del mondo

La storia di Aurora Mardiganian, sopravvissuta al genocidio armeno iniziato nel 1915, che causò un milione e mezzo di morti: raccontò la sua drammatica vicenda in un libro, diventato poi film, ma fu inghiottita dagli ingranaggi di Hollywood

Quando Aurora Mardiganian arrivò a Ellis Island, nel 1917, aveva solo sedici anni, ma era già una sopravvissuta. Pur non sapendo nulla degli Stati Uniti, il paese in cui voleva essere accolta, voleva lasciarsi alle spalle le atrocità di cui era stata testimone in Armenia, il suo paese natale. Cercava disperatamente uno dei suoi fratelli, che le avevano detto essere ancora vivo, e non sapeva parlare una parola d’inglese. Orfana, fu aiutata da una coppia armena, che l’aiutò a pubblicare degli annunci per cercare l’unico parente rimasto in vita. La stampa si accorse di lei e della sua vicenda, dedicandole articoli e intervistandola, ma anche una persona a quel tempo molto famosa decise di aiutarla. Si chiamava Harvey Gates ed era uno sceneggiatore, capace di trasformare una sfortunata ragazzina nella Giovanna d’Arco di inizio Novecento. Cominciò così una nuova fase nella vita della giovane, che sembrava assumere i contorni di una favola a lieto fine, ma che portò a un altro dramma.

Aurora Mardiganian si chiamava in realtà Arshaluys Mardinian ed era nata il 12 gennaio 1901 in un paesino a nord di Harput, nella Turchia ottomana. La sua famiglia, di origine armena e benestante, fu una delle tante cancellate o spezzate durante il genocidio armeno iniziato nel 1915 e perpetrato per diversi anni da parte dell’impero ottomano. A soli quattordici anni venne chiesta come schiava sessuale dal comandante turco Husein Pasha, che la voleva nel suo harem, offrendo in cambio la sicurezza per i suoi genitori e fratelli.

Suo padre rifiutò e, pochi giorni dopo, venne portato in piazza con altri tremila uomini e costretto a marciare per tutto il paese. Lo stesso destino toccò poco dopo anche a lei, che dopo un lungo cammino e tanti passaggi da un harem all’altro venne venduta al mercato degli schiavi. Riuscì a scappare attraverso la Russia e arrivò a Oslo, dove si imbarcò per New York.

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Gates colse subito il potenziale della sua storia e la convinse a raccontargli le violenze subite, che lui mise nero su bianco nel libro Ravished Armenia. Il libro fu pubblicato a nome di Aurora Mardiganian, che tuttavia a quel tempo conosceva pochissime parole di inglese.

Ravished Armenia: The Story of Aurora Mardiganian, the Christian Girl, Who Survived the Great Massacres

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La vita avventurosa di Aurora Mardiganian, scampata al genocidio del popolo armeno.
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Divenne però l’emblema delle sofferenze subite dal popolo armeno e, sebbene edulcorato per avvicinarsi alla mentalità statunitense, fece conoscere alle masse un destino comune a molti, come raccontato dal saggio Becoming Aurora della studiosa Shushan Avagyan. Una storia perfetta di sofferenza, che attirò anche l’attenzione del dorato mondo di Hollywood. Le proposero di girare un film con il regista Oscar Apfel e lei accettò di recitare come protagonista, non immaginando quello che avrebbe dovuto subire nel corso delle riprese.

Arrivata a Los Angeles, senza avere la minima idea dei contratti firmati sotto la tutela legale di Harvey Gates, si trovò a rivivere l’incubo da cui era scappata. Non le vennero risparmiate neppure le immagini più cruente. Molti anni dopo, intervistata per dal critico Anthony Slide per la nuova edizione del suo libro, raccontò lo spavento provato nel trovarsi di fronte le comparse sul set.

Uscendo dal camerino, vidi gente con il fez. Fu uno shock. Pensai che mi avessero ingannato. Pensavo che volessero consegnarmi a quei turchi per mettere fine alla mia vita. Allora scoppiai a piangere disperatamente. Gates mi disse ‘Tesoro, non sono i turchi. Stanno solo recitando la parte di quei barbari. Sono americani’.

Aurora Mardiganian non poteva immaginare di trovarsi in mezzo a un altro tipo di barbari, disposti a tutto pur di incassare al botteghino. Non le risparmiarono nulla sul set: costretta a saltare durante una ripresa, si ruppe la caviglia, ma non c’era tempo per fermarsi. Continuò così a girare, con le bende ben visibili, così il pubblico americano avrebbe pensato fossero lì per coprire le ferite inflitte dai turchi. Quello che per lei doveva essere un delicato periodo di recupero dal trauma subito, divenne la dolorosa messa in scena delle esperienze vissute durante il genocidio. Non le venne offerto alcun sostegno psicologico, nemmeno per le scene più delicate, come quella della crocifissione delle donne, in realtà non accurata, come da lei rettificato decenni dopo.

 I turchi non facevano le croci in questo modo. I turchi facevano piccole croci appuntite, facevano spogliare le ragazze, e dopo averle violentate le impalavano. Gli americani le mostrano in modo più civilizzato. Non possono mostrare cose così terribili.

Il film uscì nel 1919, prevedendo un lungo periodo di presentazioni e di raccolte fondi per i sopravvissuti. Un anno dopo, però, Aurora era emotivamente esausta e minacciò il suicidio. La casa di produzione, che l’aveva pagata due soldi, non batté ciglio e decise di usare alcune sosia al suo posto, da mandare ai diversi eventi in programmazione. Nonostante il grande successo di pubblico, nel 1921 il film venne prima censurato e poi ritirato. Oggi sopravvivono solo circa una ventina di minuti di girato. Aurora Mardiganian continuò a vivere negli Stati Uniti, anche se nessun ricordava più la sua storia e le sue sofferenze. Si sposò con un altro sopravvissuto e insieme si stabilirono a Los Angeles. Morì nel 1994, a 92 anni, in una casa di riposo, sola e dimenticata da quel mondo che per qualche istante l’aveva fatta diventare un’eroina romantica.

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