Non voglio una protesi, voglio un reggiseno che mi calzi a pennello anche se ho un seno solo.

Il diritto delle donne che hanno subito una mastectomia a non ricevere una ricostruzione, ma di poter trovare, nei negozi, reggiseni pensati anche per loro si scontra spesso e volentieri con le aspettative di una società che, al mettere in commercio underwear progettati proprio per coloro che hanno sconfitto il cancro al seno, preferisce offrire l’opportunità di ricostruire: con il silicone, con altro grasso ricavato da altre parti del corpo, con le operazioni chirurgiche che, dopo chemioterapia, radio e quant’altro, comprensibilmente non tutte si sentono di affrontare.

Le donne, non tutte almeno, desiderano riavere due seni; molte vorrebbero semplicemente sentirsi libere di girare per le strade della città, fare sport e dedicarsi a ogni altra normale attività senza percepire su di sé il disagio di sentirsi “diverse” o di essere guardate con compatimento o curiosità dagli altri. Senza l’oppressiva sensazione di essere “disabili”  perché sprovviste di un seno, talvolta due, né l’obbligo di dover rispondere a chi chiede “Perché non te lo fai ricostruire?”.

Perché la ricostruzione non è la massima aspirazione di tutte le donne che hanno lottato, e vinto, contro il tumore. Ma è come se il mondo, all’esterno, non solo faticasse a comprenderlo, ma persino ad accettarlo. Forse perché proprio il mondo, inteso come “gli altri”, è l’unico a preoccuparsi del fatto che le donne debbano avere due seni, e a considerarle meno femminili se non li hanno.

Diana Harrison, che una mastectomia l’ha subita, ha firmato un interessante pezzo su The F-Word, per dar voce a tutte quelle donne che, come lei, non desiderano un nuovo paio di tette, ma semmai di essere ascoltate dai grandi brand di abbigliamento affinché creino linee pensate per loro. Rispettando una scelta che, oltre che legittima, è assolutamente intima, personale e non giudicabile da nessuno.

Nessuno nota le donne mastectomizzate, scrive Diana, semplicemente perché queste si nascondono:

Nell’epoca del body positive, dopo 40 anni di discussioni sugli sguardi maschili e oltre un secolo dopo aver deciso che i corsetti erano probabilmente una cattiva idea, i nostri corpi mastectomizzati sono ancora nascosti.

Diana, spiega, non ha mai pensato a come sarebbe stata la sua vita con un seno solo; ma da quando ha subito l’intervento in seguito alla diagnosi di un cancro aggressivo al seno destro, ha dovuto imparare a convivere con la nuova realtà. Che non è tanto quella di essere senza qualcosa che fino a poco tempo prima aveva, quanto quella di dover far fronte agli sguardi perplessi e alle domande inquisitorie di una società che equipara ancora oggi la femminilità all’avere il seno intero. Ecco perché prova a spiegare quale sia la cosa davvero importante, per lei.

Sono una persona abbastanza felice e ora sono particolarmente felice della mastectomia che mi ha impedito di morire – ha scritto Diana – Quindi, come mi sento, il mio corpo è soddisfatto . Mi sento celebrativa: non sono morta.

Peccato che il problema non si risolva solo sottolineando che, di fronte all’eventualità di morire, è di gran lunga preferibile rinunciare al seno; perché, una volta sopravvissute e aver deciso di non ricostruire, ecco che la società ti pone davanti il suo veto: quello che ti impedisce di tornare a essere la donna di prima, a causa del seno che non c’è più. Diana ama correre, ma il suo reggiseno sportivo non le sta più bene. Così, si è informata sul Web, googlando “reggiseno da mastectomia”.

Ce ne sono migliaia, ma sono tutti da indossare con le protesi. Tra la varietà di biancheria intima di nicchia disponibile, non c’è niente per una donna che ha solo un seno e a cui non importa che si sappia.

Molti brand, continua Diana, costruiscono intere campagne pubblicitarie sull’idea del body positive, eppure nessuno sembra preoccuparsi di queste donne, quelle che non vogliono ricostruire ma mostrare orgogliosamente il loro unico seno, a cui viene offerta sempre e solo una via d’uscita.

Attraverso grandi istituzioni come il NHS, il capitalismo di Internet, enti di beneficenza e persone ben intenzionate, la società mi offrirà: protesi al silicone, seni fatti di grasso addominale, capezzoli dipinti a mano, protesi traspiranti, protesi per il nuoto e protesi a maglia. Non fraintendetemi, sono contenta che queste opzioni siano disponibili per coloro che le desiderano, ma non sono adatte per me. E al momento mi vengono offerti molti modi per continuare a sembrare normale ed evitare di offendere l’occhio dell’uomo medio di strada, ma zero modi per essere solo me stessa: una donna, come migliaia di donne nel Regno Unito, con un seno solo.

Già, forse è proprio quello il problema: che si considera sempre più importante attirare gli sguardi maschili, come se il far girare la testa a un uomo per strada fosse la massima aspirazione di compiacimento per una donna. E pazienza se questo non è il desiderio di tutte, se alcune donne vorrebbero solo mostrare di essere felici di se stesse e della propria femminilità, anche con un seno solo. Ecco le aspettative della società che ritornano prepotentemente, e scelgono per noi.

Tutto quello, dice Diana, che si sente rispondere se chiede perché semplicemente non possa avere un reggiseno adatto a lei è: “Possiamo darti un’operazione di dieci ore con un recupero di sei settimane: possiamo rimuovere il grasso dallo stomaco per costruirti un seno in cima. Quindi, oltre ad essere come nuova, sarai anche più magra! Inoltre, qui ci sono alcuni capezzoli adesivi – sono dipinti a mano e possono rimanere sul tuo finto seno per settimane”.

Quando tutto ciò che vuoi è un reggiseno sportivo che si adatta e ti viene offerta invece un’operazione di dieci ore, sembra che la società sia preoccupata solo di mantenerti in un certo modo. Capisco il valore culturale di avere due seni e ho goduto dei miei. Li ho usati per circuire alcuni tizi nel corso degli anni. Ho anche allattato due bambini e fornito un posto accogliente per far riposare le loro teste stanche quando erano malati. Ma, allo stesso tempo, posso vedere che il valore dei miei seni è stato attaccato dal modo in cui la società li feticizza. E anche se c’è qualcosa di femminile in una scollatura, c’è tristemente anche qualcosa di femminile riguardo al divario retributivo di genere, alle figure di violenza domestica e alle molestie sessuali.

Insomma, non si può essere “femministi” a piacimento, dice Diana. E se una donna ha il diritto di riappropriarsi dei suoi seni per sentirsi meglio, altrettanto ce l’ha chi invece chiede solo di star bene con un seno solo, magari con nessuno dei due. Senza sentirsi obbligata a ricorrere alle protesi quando, invece, la sola cosa che chiede è un reggiseno sportivo che torni a farla correre come prima, sentendosi semplicemente se stessa.

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