Lo chiamano turismo sessuale, ma forse il termine non è adeguatamente chiaro a definire il fenomeno di cui vogliamo parlare. Non si parla delle vetrine di Amsterdam con le ragazze che fanno lo strip, né della prostituzione legalizzata in Paesi come la Germania. Non si parla, in altre parole, di persone, uomini o donne, maggiorenni e consenzienti, che scelgono di fare sesso per denaro consapevolmente e senza sfruttamento alle spalle. Quando parliamo di turismo sessuale parliamo sempre di sfruttamento, e molto spesso parliamo di minori, di bambini addirittura.

È quello che, per esempio, accade in Cambogia. Alla dittatura del Khmer Rossi è seguita una situazione di totale disfacimento del Paese. Che è pressoché il più povero dell’Asia. Alla dittatura è seguita sì la povertà, ma anche altri problemi. Molte persone hanno disturbi mentali a seguito di quello che hanno visto o subito e le violenze sui minori sono talmente tanto all’ordine del giorno, come spiega Tpi, che perfino i genitori delle vittime voltano il capo dall’altra parte di fronte all’orrore. E il tutto per pochi dollari.

Una delle storie più significative in merito è quella dei bimbi di Sihanoukville, ma anche di Phnom Penh o di Siem Reap. Non vanno a scuola, anche se sono in età scolare, e vendono souvenir in spiaggia. Ma in realtà vengono adescati dai turisti che offrono pochi spicci a genitori accomodanti in cambio di prestazioni sessuali. Di solito i turisti non sono neppure occidentali, ma provenienti da Paesi asiatici più ricchi, come la Corea del Sud o Taiwan.

Ma i turisti occidentali che si avvalgono di questa orribile usanza ci sono, eccome, e sono tanti. A questo quadretto non certo idilliaco va aggiunto anche il ruolo della Cina e degli investitori cinesi. Che sempre più spesso stanno mettendo le mani (economicamente parlando) sulla Cambogia, creando casinò e generando quindi nuovi luoghi in cui la prostituzione minorile è favorita.

La violenza è un circolo vizioso da cui è difficile liberarsi. Le statistiche ONU riportate dal centro Don Bosco che opera a Sihanoukville parlano chiaro in tal senso: un maschio cambogiano su quattro ha utilizzato la violenza almeno una volta nella vita. E 300 intervistati su 2000 hanno commesso il primo stupro prima dei 15 anni. Perché un bambino che è stato sfruttato, violato e distrutto per pochi dollari (ma se anche fosse per molti non farebbe differenza), capisce una cosa: che è tutto normale.

Tanto più che in Cambogia i bimbi sono praticamente una merce, dato che vengono veduti in Corea del Sud, Malesia, Taiwan, Thailandia e Stati Uniti. Il centro Don Bosco cerca di risolvere la situazione, ma è sempre molto difficile. Gli operatori offrono un’alternativa ai genitori disperati cambogiani che continuano ad alimentare il turismo sessuale dei pedofili

Molti stranieri vengono qui per il sesso, si vedono sulle spiagge mentre avvicinano i bambini – spiega R.P., una fonte che ha preferito l’anonimato, sempre a Tpi – si intrufolano nelle baracche, offrono soldi e oggetti ai genitori che pur sapendo cosa accade ai loro figli minimizzano la cosa. […] I genitori non vogliono perdere la loro fonte di guadagno, e anche quando gli viene offerto di pagare le spese scolastiche dei figli, non sempre si riesce a convincerli. Si tratta di situazioni di grande disagio, in cui le famiglie sono composte da genitori alcolizzati, con vizi come il gioco d’azzardo o con disturbi psicologici.

Il turismo sessuale in Cambogia ha quindi rubato l’infanzia a molti bambini e probabilmente anche il loro futuro. Se si continua a vivere l’orrore e lo si fa in un periodo della vita che dovrebbe essere dedicato al gioco, alle coccole dei genitori, agli amichetti e agli orsacchiotti, capirà solo che l’orrore è la normalità, che non esiste la felicità. Si tratta di situazioni che stringono il cuore e per le quali il volontariato rappresenta un’arma importantissima.

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