Molto spesso pensiamo che la cultura maschilista a cui sottende la sottomissione della figura femminile sia qualcosa di molto remoto nel tempo e nello spazio rispetto a noi e alla nostra società, in cui i diritti inviolabili della persona sono tutelati costituzionalmente; eppure, non sono passati molti anni da quando, persino nel nostro Codice Penale, persisteva una sorta di sessismo neppure troppo velato; alcune leggi, eredità del Codice Rocco fascista, tendevano dichiaratamente a equiparare la donna quasi a un oggetto, a una proprietà maschile, soprattutto quando si parlava di  “delitti contro la moralità pubblica” : nei casi di violenza sessuale, ad esempio, ad essere tutelata non era la persona che la subiva, quanto il buon costume sociale, che doveva essere salvaguardato, provvedendo a tal fine a prendere misure  riparatorie eccezionali, in cui la donna non aveva che un ruolo passivo.

Tanto per fare un esempio, la legge 544 del Codice, relativo allo stupro, recitava:

Per i delitti preveduti dal capo primo e dall’articolo 530, il matrimonio, che l’autore del reato contragga con la persona offesa, estingue il reato, anche riguardo a coloro che sono concorsi nel reato medesimo; e, se vi è stata condanna, ne cessano l’esecuzione e gli effetti penali.

Come a dire, la violenza sessuale e  i suoi effetti penali si estinguevano completamente nel momento stesso del matrimonio fra vittima e carnefice, che non a caso veniva definito matrimonio riparatore. Una terribile “prassi”, legittimata dall’ordinamento giuridico italiano, che scomparve solo nel 1981, appena trentasei anni fa. Fino a quel momento, persino la morigerata Chiesa Cattolica permetteva, e anzi accettava, che lo stupratore sposasse la sua vittima, perché la mentalità ampiamente diffusa, più o meno dappertutto, era sostanzialmente quella per cui nessun’altro avrebbe più potuto prendere in moglie una donna “disonorata”, una che “qualcuno aveva già usato”.

A ribellarsi a questa assurda tradizione, agevolando anche con il suo gesto storico il processo di abolizione della legge 544, fu Franca Viola, una coraggiosa ragazzina che rifiutò di sposare il suo aguzzino, il ragazzo che, il 26 dicembre 1965, l’aveva rapita assieme al fratellino (immediatamente rilasciato) tenendola segregata e stuprandola per otto giorni, prima in un casolare di campagna, e poi a casa della sorella di lui, ad Alcamo, un paesino della provincia trapanese.

Filippo Melodia, questo il nome del carnefice dell’allora diciassettenne Franca, era stato il suo fidanzato: la famiglia della ragazzina aveva accettato il fidanzamento quando lei aveva appena quindici anni, salvo poi interromperlo quando si era venuto a sapere che Melodia era implicato con la mafia. Dopo una breve fuga in Germania, Filippo era tornato in Sicilia e aveva cominciato una serie di ritorsioni contro la famiglia Viola e in particolare contro il padre di Franca, Bernardo, colui che aveva osato rompere la relazione tra i due: prima gli brucia la casetta di campagna, poi gli distrugge il suo vigneto, saccheggia l’orto liberando un gregge di pecore nel campo di pomodori, infine arriva a minacciarlo con una pistola, ma Bernardo non si lascia intimidire. Franca, che nel frattempo ha un altro fidanzato (che però si ritira dalla contesa), fa lo stesso. Fino al giorno di Santo Stefano, quando Filippo Melodia, con una banda di amici, si ripresenta a casa dei Viola: devasta l’abitazione, malmena la madre e si porta via Franca con il fratellino, che le si è aggrappato alle gambe nel tentativo di proteggerla.

Rimasi digiuna per giorni – ha raccontato in seguito Franca ricordando i giorni del rapimento – Lui mi dileggiava e provocava. Dopo una settimana abusò di me.

È il giorno di Capodanno quando i parenti di Melodia vanno da Bernardo per la cosiddetta “paciata”, ossia per stipulare la pace tra le famiglie che di fronte al fatto compiuto, secondo tradizione, avrebbero poi dovuto concordare le nozze. Il padre e la madre di Franca fingono di accettare, ma si sono già messi d’accordo con la polizia che, il 2 gennaio 1966, fa irruzione nell’abitazione dove Franca è prigioniera, liberandola e arrestando i rapitori. Unica alternativa al matrimonio riparatore sarebbe stata quella del delitto d’onore, altra legge prevista dal Codice Penale dell’epoca, ex articolo 567, che recitava:

Chiunque cagiona la morte del coniuge, della figlia o della sorella, nell’atto in cui ne scopre la illegittima relazione carnale e nello stato d’ira determinato dall’offesa recata all’onor suo o della famiglia, è punito con la reclusione da tre a sette anni. Alla stessa pena soggiace chi, nelle dette circostanze, cagiona la morte della persona che sia in illegittima relazione carnale col coniuge, con la figlia o con la sorella.

Bernardo Viola avrebbe cioè potuto uccidere Filippo, lavando con il sangue il disonore della figlia; ma il signor Viola non è un uomo violento, e decide di fare una cosa forse un po’ inconsueta per le abitudini dell’epoca: decide di rivolgersi alla giustizia, cercando di fare cambiare quelle assurde leggi che vincolano la vita e i destini delle persone all’onore e alla vendetta.

Melodia, infatti, è convinto di rimanere in carcere solo pochi giorni, a scopo precauzionale e solo perché la polizia non può fare altrimenti, ma sa che, appena saranno celebrate le nozze, lui tornerà a essere un uomo libero. Si sbaglia. Bernardo Viola parla con la figlia per decidere il da farsi:

Non fu difficile decidere – ha raccontato Franca Viola a Repubblica ricordando la sua storia – Mio padre venne a prendermi con la barba lunga di una settimana: ‘Non potevo radermi se non c’eri tu, mi disse. Cosa vuoi fare, Franca’. ‘Non voglio sposarlo’. ‘Va bene: tu metti una mano io ne metto cento’. Questa frase mi disse. ‘Basta che tu sia felice, non mi interessa altro’. Mi riportò a casa e la fatica grande l’ha fatta lui, non io. È stato lui a sopportare che nessuno lo salutasse più, che gli amici suoi sparissero. La vergogna, il disonore. Lui a testa alta.

Fonte: Archivio Rcs Periodici

Il 9 dicembre 1966, a quasi un anno dal rapimento di Franca, inizia a Trapani il processo a Filippo Melodia e ai suoi amici. I capi d’imputazione a loro carico sono 17, tra cui violenza carnale, ratto a fine di matrimonio e lesioni pluri-aggravate. Franca e suo padre Bernardo si costituiscono parte civile. Non sarà un processo facile, soprattutto per la famiglia Viola, che si ritroverà a subire moltissime minacce, a dover richiedere la protezione della polizia. In una sorta di assurda gogna rovesciata, dove i colpevoli, secondo la gente del paese, sembrano essere loro. Franca viene accusata di aver desiderato quel rapimento, essendo stata fidanzata con Filippo. Sembrano discorsi appartenenti al passato, ma riflettendo cosa c’è di poi tanto diverso da chi ancora oggi sostiene “Se l’è andata a cercare”, giudicando magari l’abbigliamento di una donna o il fatto che all’inizio potesse desiderare un rapporto sessuale, salvo poi ripensarci?

La difesa cerca di far passare la violenza per la “fuitina” di una coppia che non aveva ricevuto l’approvazione dei genitori. In quel periodo, naturalmente, la stampa riporta le fasi del processo e si divide fra difensori e accusatori: Silvano Villani, ad esempio, scrive sul Corriere della Sera

Filippo avrà anche rapito Franca pero è quasi sicuro che Franca ci stava. Anzi è probabile che abbia avuto rapporti ben prima. Se Franca ha poi buttato il candido velo da sposa, se ha rifiutato di sposarlo… peggio per lei: che colpa ha Filippo?

Ma è Indro Montanelli, sempre dalle pagine del Corriere, a dare la versione più lucida e approfondita del caso:

Una grande occasione si presenta ai magistrati. La posta in gioco è grossa e va al di là del caso e dei protagonisti.

Franca Viola e suo padre non hanno detto di no solo a Filippo Melodia. Hanno detto di no a tutto un sistema di rapporti basato sulla sopraffazione del maschio sulla femmina. Hanno detto che lo stupro non è un surrogato dell’amore, e insozza non chi lo subisce, ma chi lo commette. Noi contiamo che da questo processo venga fuori una sentenza che non si limiti a punire il delinquente, ma che condanni in maniera esemplare tutti coloro che se ne sono fatti complici, materiali o morali. La mentalità che essi incarnano.

Per Filippo Melodia il pubblico ministero chiede 22 anni, mentre la difesa basa tutto, naturalmente, sulla consensualità della ragazza; dopo sette ore di camera di consiglio Melodia è condannato a 11 anni. Gli vengono imputati la violenza carnale, la violenza privata, le lesioni, le minacce e il ratto a scopo di matrimonio.

Essendo diventato un caso di rilevanza nazionale e internazionale, il mondo della politica si decide finalmente a ridiscutere il Codice Penale. Oronzo Reale, allora ministro della Repubblica, propone l’abrogazione del delitto d’onore e del matrimonio riparatore, ma l’abolizione definitiva avverrà solo nel 1981,  con la legge n. 442 del 5 settembre.

Fonte: web

Mentre Filippo Melodia è in carcere, Franca riesce a rifarsi una vita; si sposa con un compaesano, nel 1968, con cui vive a Monreale, ha avuto due figli; l’8 marzo del 2014, è stata nominata Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica italiana dall’allora Presidente Giorgio Napolitano, perché

Il suo coraggioso gesto di rifiuto è stato una tappa fondamentale nell’emancipazione delle donne italiane.

Ma tanti sono stati i personaggi coraggiosi nella storia di Franca Viola: è stato coraggioso  suo padre Bernardo, agricoltore, un uomo duro come la sua vita, privo di istruzione e con pochi soldi in tasca ma pieno di dignità, che non si è piegato alle minacce di Filippo. È stata coraggiosa sua madre, Vita, che la mattina del 26 dicembre 1965 è corsa dai carabinieri a denunciare con nome e cognome Melodia, che ha fatto irruzione, pistola in mano, in casa loro, con altri 12 compari, spaccando tutto e portando via Franca ed il fratellino. Ed è stato coraggioso proprio lui, Mariano, che a otto anni si è lanciato per difendere la sorella. Coraggioso è stato il ragionier Giuseppe Ruisi, che amava Franca e finalmente riesce a sposarla nonostante tutto. Coraggiosa è stata Franca, che imparando dalla famiglia è riuscita a cambiare un sistema odioso e intriso di maschilismo e discriminazione, costruendo da sola la propria vita, così come la voleva.

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