Sia chiaro, questo articolo non intende in alcun modo invitare o elogiare comportamenti insalubri: fumare è pericoloso per la salute, ed è un vizio che sarebbe meglio evitare, per tutelare se stessi ma anche chi ci sta intorno. Non si può però evitare di parlare del “diritto al fumo” raggiunto dalle donne come di una delle tante battaglie intraprese per reclamare la propria emancipazione, o negare che quella che oggi è considerata un’azione naturale e normale, come accendersi una sigaretta appunto, sia invece da ritenersi un altro traguardo conquistato dalle donne.

Una delle lotte combattute per dare una risposta concreta al fatto che la possibilità di scegliere non debba essere dettata in base a ciò che gli altri pensano sia giusto per le donne ma in base a ciò che ogni donna pensa sia giusto per se stessa.

Dal diritto di voto, alla parità di retribuzione, dal controllo del proprio corpo, al diritto all’aborto fino anche alla libertà di poter fumare una sigaretta.

Perché sì, anche questo gesto, semplice e apparentemente innocuo, è stato oggetto di discussioni e proibizionismo, tanto da diventare un simbolo di libertà per tantissime donne. Ma vediamo come.

Quando fumare era considerato immorale

Prima dell’inizio del XX secolo il fumo per le donne era collegato all’immoralità. Un atto inadeguato al genere femminile al punto che alcuni Stati si appoggiarono alla legislazione pur di impedirlo.

Tutto iniziò circa 100 anni fa, quando la signora William P. Orr durante una tranquilla passeggiata per le strade di New York, venne arrestata da un poliziotto. Il suo reato? Aver fumato una sigaretta in pubblico.

«Sì, stavo fumando una sigaretta e non credo di star facendo niente di male.»

Furono proprio le sue parole e il suo atteggiamento sfrontato a dare inizio alla lunga battaglia per ottenere il diritto per le donne di poter fumare. Se da un lato, però, si lottava per questo diritto, dall’altro c’era chi iniziò a opporsi strenuamente.

Nel 1908, il politico americano Tim Sullivan, affermando che “le donne che fumano offendono le signore per bene”, iniziò una vera e propria campagna per il controllo del fumo e, per estensione, il controllo del comportamento femminile.

Il 21 gennaio 1908 venne approvata a New York un’ordinanza (l’ordinanza Sullivan) con cui si proibiva alle donne di fumare nei luoghi pubblici, imponendo a ristoratori e baristi di vietare le sigarette alle fumatrici.

La campagna antifumo rivolta al sesso femminile si intensificò al punto che anche La International Tobacco League si mosse per impedire alle donne di comparire in pubblicità o film mentre fumavano, associando questo gesto a ruoli o figure disdicevoli e promiscue.

L’ordinanza durò molto poco, solo due settimane, ma scatenò un sentimento di ribellione diffuso che si estese rapidamente. Il divieto di fumare venne associato alla privazione della libertà di scelta e alla disparità di trattamento tra i sessi.

Questo sentimento perdurò per molto tempo arrivando al suo massimo sfogo durante la Prima guerra mondiale. Dovendo svolgere i lavori degli uomini che erano in guerra, infatti, le donne iniziarono a fumare elevando la sigaretta a simbolo di rivolta e di lotta per la parità di diritti e l’abbattimento dei pregiudizi di genere.

Ma non solo. Questa ricerca di libertà si manifestò anche nel look delle donne che iniziarono a tagliarsi i capelli e indossare i pantaloni, come a rivendicare questa nuova vita il cui cardine era la parità tra i sessi.

Fumare, un segno di indipendenza

Il cambiamento e la voglia di libertà e indipendenza che circondava la società femminile, vennero percepiti dalle società che pubblicizzavano sigarette.

Nel 1928 George Washington Hill, Presidente dell’American Tobacco Company, capendo l’enorme potenziale che il mercato delle sigarette poteva ricavare aprendosi al mondo femminile, iniziò delle campagne ad hoc.

L’obiettivo da perseguire era quello di sfatare ogni tabù del costume dell’epoca e i pregiudizi sociali riguardo alla presunta incapacità delle donne di saper fumare, associando questo gesto all’indipendenza, all’essere attraenti e anche più in forma a livello fisico.

Proprio per questo Philip Morris si fece promotrice di una serie di conferenze in cui veniva insegnata alle donne “l’arte” del fumare.

Per ampliare il proprio mercato e il numero di donne fumatrici, il presidente Hill decise di assumere Edward Bernays, oggi considerato come il padre delle pubbliche relazioni, con lo scopo di reclutare il maggior numero di donne fumatrici.

Fu proprio lui, nel 1929, ad assumere delle donne pagate per fumare con le loro “torches of freedom”, durante l’Easter Sunday Parade in New York.

Questo slogan venne utilizzato per incoraggiare le donne a fumare, lanciando un messaggio di emancipazione, aspirazione a una vita migliore e parità di genere.

Le donne assunte erano belle (ma donne “comuni” e non delle modelle), attraenti e convincenti, con lo scopo di influenzare la massa e divulgare questo messaggio con la massima forza possibile.

E fu proprio in questa occasione che fumare diventò un atto collegato al femminismo.

Fumo e femminismo

La femminista Ruth Hale, infatti, appoggiando il progetto di Bernays, invitò tutte le donne a prendere parte a questa marcia. Durante l’evento una donna di nome Bertha Hunt si accese una sigaretta Lucky Strike in pubblico, sulla Quinta Strada, generando uno scandalo.

Il gesto di Berta Hunt diventò il primo di una lunga serie di episodi ed eventi collegati all’emancipazione femminile.

Le foto e i filmati di quel giorno divennero l’immagine della battaglia per l’ottenimento dell’uguaglianza dei diritti tra uomini e donne iniziando un dibattito socio culturale che si propagò in tutti gli Stati Uniti.

Bernays si fece portavoce di questa lotta femminile, portando avanti una battaglia iniziata anni prima e associando il fumo alla libertà e alla possibilità per le donne di esprimersi.

Da qui, la figura femminile venne inserita nelle campagne pubblicitarie di tabacco, incrementando il numero di vendita di sigarette alle donne che passò dal 5% nel 1923 al 33% nel 1965.

L’associazione tra fumo e indipendenza femminile divenne un binomio sempre più consolidato tanto da modificare radicalmente i messaggi pubblicitari dell’epoca e futuri.

Le sigarette furono collegate alla parità, al piacere e alla possibilità di prendersi del tempo per se stesse. Un approccio di successo se si pensa che negli anni 60 una dona su tre fumava.

A tal proposito vennero introdotte sigarette, più lunghe e sottili, pensate appositamente per le donne. Un target giovane, professionale, attento alla moda ed emancipato, supportato da brand come Yves Saint Laurent, Givenchy, Versace, Pierre Cardin, Christian Lacroix e Cartier.

Da atto di ribellione a piacere personale

Da allora ad oggi le cose sono un po’ cambiate. La decisione di fumare non riguarda più solo la possibilità di manifestare la propria indipendenza ma si intreccia a questioni di salute e identità.

La scelta di fumare è influenzata da vari fattori come la volontà di avere un bambino, la depressione, lo stress, ecc. Si sono identificati vari temi sul perché le donne fumano, tra cui la volontà di identificarsi con un’immagine ben precisa, crearsi un’identità e controllare le proprie emozioni.

Gli uomini non usano più il fumo come mezzo per veicolare il comportamento pubblico delle donne e queste decidono in modo indipendentemente se fumare o meno, senza nessun collegamento con ciò che pensano i rappresentanti del sesso maschile.

Ciò che resta e fa fatica a scomparire, però, è l’associazione che viene fatta tra le donne che fumano e giudizi di tipo morali. Come se l’identità femminile fosse legata al fatto o meno che abbiano una sigaretta in mano. Giudizi che non esistono per i fumatori uomini.

Non c’è dubbio che fumare sia stato un atto di ribellione e parte di un percorso di libertà. Ma oggi, se da un lato per qualcuno rappresenta ancora questo, per altri è solo un qualcosa che si ama fare. E in entrambi i casi non esiste motivazione alcuna per esprimere un giudizio, che si appartenga ad un sesso piuttosto che ad un altro.

Non serve ricordarlo, ma lo facciamo: fumare è gravemente dannoso per la salute, perciò è comunque sempre meglio evitare di farlo.

Sfogliate la gallery per vedere come si sono evolute le pubblicità di sigarette nel tempo:

Perché fumare è stato per le donne un gesto di libertà
Fonte: Pixabay
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