Liliana Segre: "Mio padre mi chiese scusa per avermi messa al mondo"

La senatrice a vita Liliana Segre è una delle più importanti voci di ciò che furono i campi di concentramento nazisti. Sotto scorta dal 2019 per la campagna d'odio nei suoi confronti, si è sempre battuta affinché quel terribile periodo non fosse mai dimenticato.

Dal 7 novembre 2019, Liliana Segre, senatrice a vita, ex deportata ad Auschwitz, nonna novantenne, è sotto scorta.

Da quel giorno due carabiniere la seguono per ogni suo spostamento, a causa della campagna d’odio iniziata ben prima che la senatrice si facesse promotrice della commissione contro il razzismo e l’antisemitismo, approvata in Senato il 30 ottobre del 2019, nonostante la discussa astensione dell’opposizione di centrodestra, e così si è ritrovata, già prigioniera, vittima irrisarcibile del peggiore dei crimini umani, a vedere nuovamente la propria libertà limitata.

A 13 anni fu deportata ad Auschwitz, matricola 75190 impressa nella sua carne da bambina buona per il macello, scampato nel suo caso, dopo aver visto l’orrore indicibile e inimmaginabile dell’uomo che si fa bestia e annienta altri uomini.

Ti chiedo scusa di averti messa al mondo.

Le disse il padre quando era appena una bambina. Ma a doverle chiedere scusa, probabilmente, dovremmo essere noi tutti, incapaci di creare una società sicura per una donna scampata all’inferno. Dovrebbe essere uno Stato intero, che a quanto pare non ne ha riconosciuto la sofferenza e la dignità.

Quella, ad esempio, di quando, nel 1938, venne espulsa da scuola, in seguito alla promulgazione delle leggi razziali, o di quando sulla sua pelle giovane venne impresso il numero che resterà la sua matricola per sempre.

Proclamata senatrice a vita nel 2018 dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, Liliana Segre per tutta la vita ha portato avanti il ricordo doloroso della prigionia vissuta nel campo di concentramento di Auschwizt, dove arrivò a 13 anni nel febbraio del 1944, dopo sette giorni di viaggio, e dove perse i familiari che le erano rimasti in seguito alla morte della mamma, avvenuta quando lei aveva solo un anno.

Di quel periodo così drammatico della sua vita la senatrice ha parlato nel corso di un’intervista a Fabio Fazio per Che tempo che fa (disponibile su Ray Play), proprio dopo la nomina da parte di Mattarella, e ha rivelato di quella frase del padre, Alberto.

Ti chiedo scusa di averti messa al mondo.

Ma Liliana Segre a Fazio ha spiegato:

Ma io ho avuto la fortuna, nella disgrazia, di vivere mio padre da figlia. Era una comunione di spiriti eccezionale.

Segre porta avanti l’impegno di senatrice a vita con grande devozione, cercando di farsi portavoce di quei principi di democrazia, tolleranza e rispetto  che per lei, nonostante l’esperienza devastante del lager e della Marcia della Morte (fu liberata proprio in una di queste), sono sempre stati fondamentali. Ecco perché ha suscitato non poca perplessità è rabbia l’astensione di Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia durante la mozione del voto del 30 ottobre 2019, volta alla creazione di una commissione contro l’odio, il razzismo e l’antisemitismo, voluta proprio da Liliana.

A farsi portavoce dell’indignazione per l’astensionismo del centrodestra è stato Alberto Belli Paci, primo figlio della senatrice, che ha scritto una lettera per il Corriere della Sera che riportiamo integralmente:

Caro direttore, sono allibito da quello che leggo in questi giorni, dalle dichiarazioni dei politici, da questo travisare intenzionalmente concetti come censura, libertà di opinione, difesa della famiglia, antisemitismo, in bocca a chi vorrebbe chiuderci dentro in una Italia sempre più isolata, lontana dai valori liberali nei quali siamo cresciuti e nei quali mi riconosco profondamente. Dove gli uni scrutano con sospetto gli altri, dove ognuno si tiene stretto il proprio tornaconto, la bandiera di partito, la propaganda, le dichiarazioni roboanti.

A voi che non vi alzate in piedi davanti a una donna di 89 anni, che non è venuta lì per ottenere privilegi o per farsi vedere più brava ma è venuta da sola (lei sì) per proporre un concetto libero dalla politica, un concetto morale, un invito che chiunque avrebbe dovuto accogliere in un mondo normale, senza sospettosamente invece cercare contenuti sovversivi che potevano avvantaggiare gli avversari politici. A voi dico: io credo che non vi meritiate Liliana Segre!

Guardatevi dentro alla vostra coscienza. Ma voi credete davvero che mia madre sia una che si fa strumentalizzare? Con quel numero sul braccio, 75190, impresso nella carne di una bambina? Credete davvero che lei si lasci usare da qualcuno per vantaggi politici di una parte politica in particolare? Siete fuori strada. Tutti. Talmente abituati a spaccare il capello in quattro da non essere nemmeno più capaci di guardarvi dentro.

Lei si aspettava accoglienza solidarietà, umanità, etica, un concetto ecumenico senza steccati, invece ha trovato indifferenza al suo desiderio di giustizia.

La storia di Liliana Segre

Liliana Segre viene prelevata il 30 gennaio 1944 e deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau dove, appena arrivata, fu separata dal padre, Alberto, che non rivide mai più e che sarebbe morto il 27 aprile.

“Il viaggio durava una settimana con altri disgraziati – ha raccontato la senatrice a vita – Ricordo che il treno arrivato ad Auschwitz prima si fermò: noi vedemmo un orologio grande che era sulla facciata della stazione ferroviaria vera. Poi il treno proseguì, la prima era una stazione artificiale, preparata per i treni che arrivano da tutta l’Europa occupata dai nazisti.

Era un enorme spiazzo pieno di neve con i binari morti e dei treni in cui nessun ferroviere si è chiesto come mai arrivassero pieni e tornassero vuoti. Lì venivamo sbattuti con una violenza inaudita giù dai vagoni. Avevano deportato dalla casa di riposo di Venezia tutti gli ospiti, tra cui una signora di 98 anni.

La deportazione dei vecchi, con le sue limitazioni, le ho capite solo ora: trovarsi 8 giorni dentro quel vagoni, era difficile, era faticosa anche la discesa e venivano buttati giù dalla carrozza bestiame per poi essere uccisi. C’era una grandissima confusione, era uno di quei momenti in cui esci da te stesso e dici: ‘ma sono proprio io che sono qui?’ Un incubo: invece era tutto vero.”

All’arrivo ad Auschwitz, durante la selezione, Liliana Segre ricevette il numero di matricola 75190, che le venne tatuato sull’avambraccio. Per circa un anno venne messa ai lavori forzati presso la fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens, e subì, nel corso della sua prigionia, altre tre selezioni. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania.

Nel campo di concentramento, oltre al padre, Liliana Segre perse anche i nonni paterni, arrestati il 18 maggio 1944 a Inverigo, Como, e uccisi al loro arrivo, il 30 giugno dello stesso anno.

Liberata dall’Armata rossa nel maggio del 1945, Liliana Segre è fra i 25 bambini che sopravvissero al campo di concentramento, a fronte dei 776 bambini italiani di età inferiore ai 14 anni deportati. Dopo la liberazione inizialmente visse prima con gli zii e poi con i nonni materni, gli unici superstiti della sua famiglia.

Nel 1948, mentre era in vacanza al mare, conobbe a Pesaro Alfredo Belli Paci, come lei reduce dai campi di concentramento nazisti per essersi rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò. I due si sono sposati nel 1951 e hanno avuto tre figli.

Sono stata testimone della storia che cambiava – ha ricordato anni dopo – l’ultimo giorno della mia prigionia, il 1° maggio 1945, avevamo visto gli ufficiali tedeschi mettersi in borghese, fuggivano, c’era un cambio di ruolo.

Improvvisamente arrivò la prima camionetta americana, non sapevamo chi fossero questi fantastici soldati. Buttavano dai camion cioccolata, sigarette e ricordo una albicocca secca. Allora pesavo 32 chili: con fatica la raccolsi, era fantastica, era il sapore della libertà.

 

La discussione continua nel gruppo privato!
Seguici anche su Google News!