La storia dell’umanità, come sappiamo, è fatta di molti incroci di popoli, di strade che si sono intersecate per un periodo più o meno lungo, di viaggiatori e di migrazioni, che hanno portato le persone nelle varie parti del mondo ad assumere le sembianze con cui le conosciamo oggi.

Eppure, ci sono stati anche casi di popolazioni che, nel corso dei secoli, hanno totalmente stravolto la propria fisicità e le caratteristiche morfologiche loro appartenenti, tanto che su alcune, oggi, stenteremmo a dire che possano mai essere state diverse da così.
Prendiamo i cinesi e, in generale, i popoli di quella parte dell’Oriente conosciuta prevalentemente per i caratteristici occhi a mandorla: iconicamente, per tutti sono identificabili, oltre che per il tipico taglio degli occhi, anche per altre peculiarità fisiche, ad esempio i capelli neri e lisci o la pelle che – molto poco gentilmente – ha portato nella storia a parlare di “musi gialli”, con lo stesso tono dispregiativo per cui un tempo si parlava di “negri”.

A proposito di questo, diversi studi ed evidenze fotografiche hanno recentemente portato a galla una verità che forse in molti ritenevano impensabile: pare che la popolazione cinese, e più in generale buona parte dell’Asia Orientale, fosse in origine proprio di pelle nera.

Impossibile trovare un cinese nero così come uno biondo (salvo quelli che ricorrono alle tinte, ovvio)? Sembrerebbe proprio di no. Ecco quindi come starebbero i fatti.

La Cina ha circa 1,3 miliardi di abitanti, in parte – addirittura fino a un largo periodo del XX secolo – formata da persone di colore. Se non ci credete dovreste dare un’occhiata alle vecchie foto scattate in tutta la Cina nel periodo seguente all’avvento della fotografia, fra cui quelle, davvero estremamente significative, di John Thomson, fotografo scozzese tra i primi a catturare immagini che rivelano un aspetto sorprendentemente più vario della Cina contemporanea.
La dinastia Qing cinese, istituita dal popolo Manchu che governò dal 1644 al 1912, è descritta come un vasto impero multiculturale, anche se sembrerebbe proprio che la parola più corretta da usare sia multirazziale.

Percorrendo a ritroso la storia dell’umanità, gli studi accertano che l’antico Homo-sapi-sapiens iniziò a lasciare l’Africa circa nel 60.000 a.C., migrando verso est in due grandi gruppi distinti: la migrazione del “Primo”, ha visto i neri con i capelli lisci intraprendere un viaggio lungo la costa dell’Asia, per poi spostarsi da un’isola all’altra nell’Oceano Indiano fino all’Australia, quindi in Sudamerica, mentre il secondo evento di migrazione ha visto i neri, alcuni con capelli lisci e “tratti mongoli” raggiungere, via terra, l’Asia meridionale e poi la Cina (circa nel 50-45.000 a.C.) dove si sono stabiliti. Inclusi in questo gruppo, i neri dai capelli lisci senza caratteristiche mongole – chiamati “Dravidi” – sono rimasti vicino all’Africa, stabilendosi in India e in altre aree dell’Asia meridionale.

La scoperta della Grotta superiore

Nel 1930 fu scoperta la “Grotta superiore”, nella zona dello Zhoukoudian (o Choukoutien), il sistema di grotte nei pressi della capitale cinese dove fu rinvenuto, tra gli altri, l’Uomo di Pechino.

Gli scavi condotti tra il 1933 e il 1934 hanno trovato tracce di insediamenti umani nella grotta risalenti a 10.000 – 20.000 anni fa, e nel ’36 l’antropologo ebreo tedesco Franz Weidenreich, diventato direttore onorario del sito, trovò nuovi resti umani rispetto a quelli già rinvenuti, per un totale di 200 fossili umani provenienti presumibilmente da più di 40 individui, tra cui 5 teschi quasi completi. Gli scavi si arrestarono solo nel 1937, in seguito all’invasione giapponese della Cina. Nel 1941 la maggior parte dei reperti fu persa, mai più recuperata, mentre veniva trasportata in salvo. Fortunatamente, Weidenreich aveva fatto copie dei fossili per preservare le loro caratteristiche fisiche, e proprio queste, una volta esaminate, risultarono sorprendenti: i reperti, infatti, mostravano che la variazione tra i tre crani ritrovati nel 1936, 101, 102 e 103, erano estremamente diversi: il primo era considerato un primitivo mongoloide, il secondo un melanesiano e il terzo un eschimese.

Il teschio 101, in confronto ai moderni asiatici orientali, presentava la volta cranica estremamente lunga e bassa, con un’angolazione marcata nella regione occipitale, fronte ampia, ossa nasali con un ponte alto, e in generale un naso più prominente di quanto sia comune tra gli asiatici attuali. Allo stesso modo, il bordo inferiore dell’apertura nasale è piuttosto dilatato, caratteristica diffusa gli asiatici orientali, gli aborigeni australiani e gli africani sub-sahariani.
Anche nella Grotta Liu-chiang, nella regione autonoma di Kwangsi Chuang, scoperta nel 1958, furono recuperati resti umani del tardo Pleistocene (era glaciale) dell’epoca geologica che durò da circa 2.588.000 a 11.700 anni fa, descritti come “Mongoloide in evoluzione”, mentre altri lo descrissero come Melanesiano o Negrito.

Inclusi nel secondo gruppo migratorio c’erano gli albini, vittime di pregiudizi e di superstizioni ancora oggi, figuriamoci nell’epoca preistorica…

Gli albini proseguirono lungo l’Asia centrale, dove si stabilirono (una delle loro tribù era la Zhou), e sembra piuttosto logico presumere che, nel corso delle molte migliaia di anni che questi migranti hanno impiegato per raggiungere l’Asia settentrionale, ci possa essere stato qualche incrocio tra le varie tribù nere e gli albini, cosa che ha permesso a questi ultimi di guadagnare un certo grado di pigmentazione. La prova di questa “mescolanza” sta nel fatto che bianchi e mongoli (cinesi) condividano lo stesso Y-DNA aplogruppo “K”, che in origine era proprio in Africa. Un’ulteriore prova della commistione bianca e nera è fornita dalle “mummie Tarim”, risalenti al 1800 a.C., scoperte nell’omonimo bacino nell’odierna Xinjiang, che si trova sul confine cinese con l’Asia centrale, in Cina nord-occidentale.

L’Esercito di Terracotta

Se esaminiamo le più antiche raffigurazioni di vita del cinese antico “non Shang” che abbiamo, ossia l’Esercito di Terracotta della Dinastia Qin (221 – 206 a.C.), creato sotto Qin Shi Huang, risalente al 210 a.C., i cui resti furono scoperti nel 1974 da alcuni agricoltori locali vicino a Xi’an (nella provincia dello Shaanxi in Cina, vicino al Mausoleo di Qin Shi Huang, che era anche la casa dei primi re Zhou), possiamo notare che le statue in origine erano dipinte con tonalità naturali della pelle, per lo più nere, ora sbiadite, e che i fenotipi dell’antico popolo cinese fossero molto diversi dal popolo cinese di oggi; ma dai dati di cui gli studiosi sono in possesso si evince che, nei primi anni dell’era Mans nell’Asia centrale e orientale, c’erano impedimenti alla mescolanza di neri e albini, e che il catalizzatore che pose fine a questa separazione fu ovviamente la sconfitta del Black Shang da parte del (noi supponiamo) Zhou “Bianco”.
Dopo i primi 45.000 anni di convivenza regionale, esisteva ancora una chiara distinzione tra cinese nero e non nero. Ma nei soli 3000 anni dalla vittoria di Zhou, nel 1040 a.C., i cinesi sono diventati un popolo quasi “omogeneo”, con una differenza relativamente piccola nel colore della pelle, e si è finito con il considerare un cinese nero una vera e propria rarità.

L'antico segreto della Cina e dei cinesi neri via via quasi scomparsi
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