Hannah Gadsby, il potere di far ridere se ti picchiano perché lesbica

Hannah Gadsby, il potere di far ridere se ti picchiano perché lesbica
Fonte: ph.: Meredith O'Shea per il Guardian
Foto 1 di 10
Ingrandisci

Il potere di ridere – e far ridere – anche delle proprie disgrazie. È una dote di cui solo pochi eletti godono, perché ci vuole una gran bella dose di intelligenza per non trasformare il proprio vissuto doloroso in un’occasione per adescare compatimento e facile vittimismo, e Hannah Gadsby ne ha da vendere.

Tanto da essere riuscita a trasformare il suo monologo teatrale, Nanette, in uno dei prodotti giudicati più appetibili da Netflix, che ne ha fatto uno speciale, con uno show registrato alla Sydney Opera House.

Hannah Gadsby è identificata come una stand-up comedian, la stessa piattaforma digitale presenta il suo show come uno stand-up, da qui l’idea del pubblico che si aspetta un’ora e mezzo di risate e piacevolezza; ma Nanette è ben altro e, benché la Gadsby usi indiscutibilmente la sua geniale verve comica, questo è solo il punto di partenza per allargare un discorso a temi decisamente più seri e importanti, che l’hanno toccata in prima persona e che, pur se in modi diversi, toccano chiunque, per qualunque ragione, sia considerato “inferiore” a livello sociale.

11

Proprio per questo, Hannah, in un’intervista rilasciata al Guardian, ha dichiarato che avrebbe abbandonato la stand-up comedy, stracciando, come si usa dire in gergo, il contratto con il pubblico. Perché, spiegava, non trovava più giusto che gli emarginati dovessero sempre e solo puntare sull’autoironia – spesso al limite con l’autocritica – non facendo in realtà nulla di concreto per cambiare il proprio status. Una vera e propria ribellione, insomma, che parte appunto da quel contratto che ogni comico sigla con il proprio pubblico, al quale promette una cosa: di impostare un discorso che vada a creare una tensione, prima di risolverla con la battuta finale.

In realtà, poi, Gadsby deve averci ripensato, visto che nel 2019 è stata in tour con un nuovo show, Douglas, diventato, come nel caso del famoso predecessore, un film distribuito da Netflix nel maggio del 2020.

Il meccanismo della stand-up sta proprio lì, nell’equilibrio delicato tra tensione e rottura. E Hannah ha deciso di non sottostare più a questa regola, perché spiega molto candidamente, nella sua vita non c’è mai stato qualcosa che spezzasse davvero la tensione, quel lieto fine che risolve e sdrammatizza la situazione; per questo, si è persuasa del fatto di non poter più soddisfare i gusti di un pubblico che dallo stand-up comedy vuole fondamentalmente solo relax mentale, e ha perciò scelto di chiudere la sua esperienza con la comicità. Che è un gran peccato, lo diciamo sinceramente, ma che in fondo rappresenta anche una decisione comprensibile proprio per il vissuto di questa donna nata e cresciuta in un clima di emarginazione sociale e culturale.

I temi di Nanette: il pestaggio subito

La comicità, in Nanette, come detto non è che un pretesto per parlare di esperienze ben più drammatiche vissute da Hannah Gadsby; lo show ha debuttato al Melbourne International Comedy festival nel 2017, l’anno del referendum  popolare che ha reso di nuovo legale il matrimonio omosessuale in Australia, dopo tredici anni, scatenando al contempo una nuova ondata di omofobia. E lo spettacolo parla in effetti molto dell’esperienza di discriminazione e razzismo subita da Hannah, che racconta, ad esempio, del pestaggio subito alla fermata dell’autobus, per la prima volta nella sua vita: Gadsby ricorda di come l’uomo sia tornato indietro per picchiarla per il suo essere omosessuale, di come nessuno abbia fatto niente per fermarlo, di come la vergogna l’abbia spinta a rinunciare ad andare all’ospedale o a denunciare l’accaduto alla polizia.

La vita da omosessuale in Tasmania e la violenza

Nel racconto di Hannah c’è anche spazio per il ricordo di quella Tasmania, suo paese natale, in cui l’omosessualità è rimasta un crimine fino al 1997, motivo per cui ha deciso di andare via, non appena si è resa conto di essere lesbica.

E per l’abuso subito da bambina, su cui però non si sofferma troppo, parlando semplicemente di come, molto spesso, nella psicologia umana si tema lo sconosciuto, quando invece a rendersi responsabili di orrori simili sono soprattutto le persone di fiducia, parenti, conoscenti, amici di famiglia. “Un sacco di persone abusate da persone che conoscono se ne assume la responsabilità – dice – ma questo è tossico. […] La vergogna è quello che provochi in un bambino, che alla lunga poi si trasforma in rabbia. Ma non dovremmo vivere così”.

La malattia mentale

Nel 2016 le è stato diagnosticato un disturbo dello spettro autistico. “Ora è chiaro perché lo stile di vita della commedia è così difficile per me”, ha detto, con la solita autoironia.

Gadsby ha spiegato che le persone con autismo hanno una maggiore sensibilità rispetto ai traumi, proprio a causa della loro difficoltà a comunicare e a regolare le emozioni. Sono così anche le più vulnerabili a diventare vittime, in primo luogo. Uno studio svedese, riporta il Guardian, ha rivelato che le donne che sono risultate positive all’autismo hanno quasi tre volte più probabilità di aver subito abusi sessuali.

Ora Hannah ha preso consapevolezza con il problema, e sa che il disturbo comporta per lei una serie di complessità nell’ambiente sociale: “Avere l’autismo significa non guardare fuori, al mondo, per vedere come dovrei essere, sapere che non sono un essere sociale, che esserlo mi esaurirebbe e mi confonderebbe facendomi sembrare un’idiota. Però so anche che capisco le cose molto più a fondo di molte persone”.

In gallery continuiamo a parlare di Hannah

  • Storie di Donne