
Rizz, Delulu, NPC: guida ragionata allo slang Gen Z (e cosa racconta di loro)
A volte un linguaggio è solo un modo per esprimere la propria identità: così lo slang della Gen Z si racconta al mondo con post-ironia.

A volte un linguaggio è solo un modo per esprimere la propria identità: così lo slang della Gen Z si racconta al mondo con post-ironia.
Ogni lingua si distingue internamenti per determinati parametri. Questi parametri riguardano il luogo in cui la lingua viene parlata, il contesto socio-economico in cui si parla in un certo modo, la situazione oppure il canale in cui ci si esprime. Ma all’interno di ogni lingua esistono dei fenomeni settari, che possono riguardare un determinato aspetto di una cerchia, come l’età. È questo il tratto distintivo, in effetti, dello slang della Gen Z, un linguaggio nuovo e interessante da conoscere e scoprire.
Quando nasce uno slang e quindi un nuovo lessico con parole nuove, vuol dire che si sta formando un gruppo di persone, a livello locale, nazionale o internazionale, in cui questo codice viene compreso e rispettato. Grazie all’esistenza dei social network, sempre più spesso i gruppi di persone che condividono qualcosa riescono a trovare un terreno comune che sia transnazionale. È il caso della Generazione Z, che appunto ha sviluppato uno slang, che come per tutti i tipi di linguaggi serve anche a esprimere un’identità. Può sembrare insolito, perché esistono delle forze centrifughe del linguaggio che, giustamente, oggi virano verso l’inclusione e non verso il settarismo, ma cosa accade quando questo settarismo è così ampiamente condiviso da coinvolgere un’intera generazione? È questo l’interrogativo cui dovremmo provare a riflettere, magari senza giungere a una certezza, ma con la volontà di capire di più e meglio.
Tra le parole utilizzate nello slang della Gen Z, c’è sicuramente Rizz. Non c’è molto da dire su questo termine, se non che è nato come tutti gli altri si social network: etimologicamente rappresenta una abbreviazione da “charisma” e quindi significa carismatico, pieno di fascino.
Un’altra parola molto utilizzata è Delulu, che indica la convinzione di poter influenzare il destino solo attraverso la volontà: parafrasando un’espressione cara alla Generazione X, e come se cercassimo di riuscire a “usare la forza” e cambiare uno status quo. L’etimologia sostiene che provenga dal termine “delirious” (delirio) oppure “delusional” (deludente), e contiene diverse sfumature tra cui l’idea delle relazioni parasociali in cui ci si convince di poter con incontrare la propria celebrità preferita, ma anche la possibilità di realizzare i propri sogni. C’è un’espressione peculiare che contiene questo termine ovvero “delulu is the solulu”, ed è interessante perché propone la fiducia in se stessi come chiave di un’intera esistenza.
Npc è un acronimo che sta per personaggio non giocante, si riferisce a quei personaggi dei videogiochi (ed è quindi mutuato dal linguaggio dei videogame) che sono controllati dal computer e non dal giocatore: si tratta fondamentalmente di un insulto, perché a rivolgerlo a qualcuno equivale a dirgli che non ha un proprio pensiero o una propria personalità.
Main Character è invece un’espressione mutuata dalla narrativa in generale (quindi che si tratti di romanzi, epica, cinema e perfino videogame non cambia molto), ed è un complimento, perché indica il personaggio principale, in questo caso della propria storia personale. Di solito viene utilizzato per esprimere incoraggiamento oppure mettere in risalto l’unicità di una persona, o ancora immergersi nel relativismo delle proprie scelte di vita.
Girl Dinner è invece un’espressione basata sullo stereotipo secondo cui le ragazze mangiano in un certo modo per cena, in particolare stuzzichini ma non veri e propri piatti codificati, ricorrendo tante volte anche agli avanzi. È curioso: in realtà, ad esempio nella tradizione regionale italiana, esiste questo mood culinario soprattutto in estate, e in quasi tutti i dialetti c’è una parola per esprimerlo. Una Girl Dinner nell’immaginario collettivo è formata da un tagliere con pane e formaggio, sottaceti oppure noodles istantanei, insomma niente di impegnativo. Al tempo stesso, nonostante lo stereotipo a cui abbiamo fatto riferimento, l’espressione e anche un anti-stereotipo, perché solleva le donne del cliché secolare di dover stare in cucina a preparare i pasti.
Brat è un termine inglese che indica un ragazzino monello: tuttavia nello slang della Gen Z è diventato un complimento, per indicare una persona con un atteggiamento sicuro di sé, indipendente ed edonistico. In altre parole dà l’idea di quella sana ribellione che accompagna solitamente l’adolescenza nell’immaginario collettivo.
La post-ironia è un fenomeno in cui serio e faceto si confondono. Se l’ironia era un inganno, una dissimulazione, la pantomima del dire per non dire, la post ironia svela qualunque cosa, squarcia il velo di Maya: è di questo fenomeno che sia avvale la Gen Z, senza filtri, senza bugie, senza inganni. Sincerità, autostima e capacità di guardare il mondo con uno sguardo lontano dal passato sono le caratteristiche che vengono riflesse nel linguaggio. Che forse cambierà anche a stretto giro, perché linguaggio è in continuo divenire, ma ciò non toglie che questo cambiamento epocale significhi qualcosa di importante a livello sociale. Gli zoomer reclamano una presenza nel mondo, una propria identità. E hanno bisogno di farlo con parole specifiche.
Vorrei vivere in un incubo di David Lynch. #betweentwoworlds
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