Il mondo dei social è in continua evoluzione, e i sistemi di sicurezza messi in atto non sempre riescono ad anticipare i tempi. Per censurare parole, espressioni e frasi considerate pericolose o volgari, oppure illegali, si utilizzano sui social algoritmi, imparziali e automatici. Questo sistema funziona fino a un certo punto. Tanto che la mente umana è riuscita, come spesso accade, a superare l’algoritmo, usando l’algospeak, un linguaggio di parole alternative, slang, numeri e anche termini inventati.

Vediamo cos’è l’algospeak, e come permette agli utenti di YouTube, Instagram e soprattutto Tiktok di superare la censura degli algoritmi.

Cos’è l’algospeak?

Il termine “algospeak” si riferisce a una nuova forma di linguaggio ideata sui social media più utilizzati, primo fra tutti TikTok, per bypassare la censura degli algoritmi. Prende anche altri nomi, come “Slang Replacement” o “Voldemorting“, dal nemico di Harry Potter. In tutti i casi si tratta di un escamotage per riuscire a parlare di alcuni argomenti scottanti sui social, luogo di riferimento per moltissime persone, specialmente dopo la pandemia.

Diverse tematiche importanti o addirittura fondamentali sono trattate quotidianamente su queste piattaforme. In modo particolare dai più giovani, che usano TikTok anche come fonte di informazione, dialogo e confronto.

Parliamo ad esempio della pandemia stessa, ma anche dei fatti nel mondo come la guerra in Ucraina. Argomenti come disturbi alimentari, relazioni tossiche, sesso e suicidio. Temi di impatto, di cui è altamente consigliabile parlarne anche con professionisti e persone di supporto, ma che trovano grande riscontro sui social, dove una persona che racconta un’esperienza, o mette in guardia rispetto a determinate tematiche, può ottenere un grande seguito.

Nell’algospeak si usano numeri al posto di lettere, parole finte intuibili, scambiando solo qualche lettera all’espressione reale. Oppure utilizzando emoji e parole che sono ormai entrati nella conoscenza comune del social con il loro nuovo significato nascosto.

La censura degli algoritmi

La censura degli algoritmi è una delle “armi” che il web ha a disposizione per contrastare una serie di problematiche legate all’immensa libertà che internet permette. All’interno di questa rete così sviluppata è difficilissimo esercitare un controllo che renda il web un luogo sicuro, fruibile da tutti.

L’obiettivo della censura e delle regole sul web è bloccare qualsiasi situazione, che sia un’immagine, un testo o altro, che possa minare la sensibilità di qualcuno. Espressioni di violenza, contenuti offensivi, in modo da tutelare anche la libertà di parola. Come scopo primario la censura ha anche quello di combattere le fake news e i profili falsi.

I social network appartengono a società private, che attuano un sistema censura interno, che segue il proprio regolamento. Mentre sono utilizzati da cittadini di diversi Paesi del mondo, più o meno liberi e democratici.

Le regole del web quindi non sono le stesse di quelle istituzionali: un cittadino di un governo considerato libero può incorrere in censure sui social che non rispecchiano la libertà del suo Paese. Allo stesso modo, cittadini di Paesi oppressivi possono usare i social come mezzo per far sentire la propria voce. Le leggi dello Stato intervengono ovviamente nel caso in cui esista ipotesi di reato o in caso di risarcimento del danno causato a un soggetto.

Come avviene la censura? Sostanzialmente, i social utilizzano una serie di algoritmi in grado di effettuare dei filtri, impostati dall’azione umana. Filtrano quindi pubblicazioni e contenuti ritenuti inappropriati, sospetti, offensivi, pericolosi dal punto di vista della violenza, dell’espressione verbale, del sesso esplicito, dell’incitamento all’odio.

Instagram e altri social utilizzano anche un filtro specifico per segnalare la presenza di spam e profili falsi. Oltre al blocco di contenuti, l’algoritmo può anche nascondere momentaneamente utenti e interi profili, tramite lo shadow ban.

Esempi di algospeak

Nello specifico, l’algospeak utilizza parole storpiate, numeri al posto di lettere la cui grafia è simile, ad esempio il 3 con la lettera E, emoji che ricordano lettere o parole, che sostituiscono così il testo e non vengono riconosciute dall’algoritmo. E ancora espressioni scelte per dire una parola che verrebbe bandita dal sistema di censura.

Gli esempi più noti sul web sono:

  • unalive, che significa “non vivo”, al posto della parola morto, specialmente per trattare di suicidio, da cui l’algoritmo cerca di proteggere le generazioni più giovani e a rischio;
  • Le Dollar Bean, espressione che sostituisce il termine lesbian, ovvero lesbica, che la censura ha sentito  inspiegabilmente di dover nascondere;
  • swimmers sono invece i vaccinati, così come la parola panini ha sostituito pandemic, e in italiano p4ndemi4, perché tra gli argomenti tabù dei social è entrato a far parte anche la pandemia del Covid-19;
  • s3sso in italiano, secks e seggs in inglese per poter usare il termine sesso;
  • “SA” si utilizza per parlare di sexual assault, ovvero molestia, violenza sessuale;
  • il vibratore diventa invece spicy eggplant.

Da questi esempi possiamo dedurre due conclusioni: innanzitutto, che gli algoritmi di censura non sono un sistema efficace, perché la mente umana, così come l’utilizzo dei social, non è schematizzabile, ma in grado di bypassare sistemi informatici. Inoltre, l’esecuzione dell’algoritmo è dipendente da un computer, pertanto si rischia di censurare, mettendo sullo stesso piano di gravità e significato, tematiche diverse tra loro. Parlare di sesso, vibratori e orientamento sessuale diventa pericoloso, e viene oscurato, quanto trattare di suicidio e violenze sessuali.

Gli algoritmi possono essere razzisti, poiché impostati dall’uomo che segue ideologie e stereotipi culturali.

Come sempre, l’uso dei social e del web dovrebbe essere responsabile da parte di tutti, affinché possa essere realmente un luogo di confronto, espressione e supporto. Anche riguardo argomenti difficili da affrontare e pericolosi, ma con consapevolezza e attenzione maggiore, da parte di chiunque pubblichi un contenuto, che viene condiviso e visto da milioni di persone.

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