Negli ultimi anni termini come “greenwashing” e “pinkwashing” sono diventati sempre più familiari e l’attenzione verso queste tecniche di marketing fraudolente è sempre più alta.

Queste strategie di dissimulazione, però, sono presenti il moltissime aree della nostra vita, persino quando facciamo la spesa al supermercato, per convincerci a fare scelte di acquisto spinti dal desiderio di condurre uno stile di vita sano ma portandoci in realtà a comprare prodotti iperprocessati e zeppi di alimenti dannosi. Si chiama healthwashing: ecco come funziona, e come evitarlo.

Cosa significa healthwashing?

Healthwashing è un termine che descrive una pratica adottata da alcune aziende che consiste nel far sembrare i loro prodotti (tipicamente, ma non esclusivamente, alimentari) più sani di quello che sono.

Questa tecnica di marketing punta ad attirare l’attenzione sui benefici di un nutriente per farci credere che sia buono per la nostra salute, ma quei prodotti spesso contengono ingredienti che non sono salutari.

Potrebbe essere il caso, ad esempio, di una scatola di cereali sponsorizzata come contenente varie vitamine ma, a un esame più approfondito, è anche piena di zucchero, sodio e coloranti artificiali. O di un prodotto pubblicizzato come senza zucchero ma, in realtà, ricco di dolcificanti artificiali e oli raffinati.

L’healthwashing sfrutta affermazioni come “naturale” o “senza zuccheri” e le trasforma in termini di marketing estremamente potenti, vendendo ai consumatori uno stile di vita o una visione di chi potrebbero essere se acquistassero i loro prodotti.

Spesso, le parole scelte sono volutamente fuorvianti e addirittura prive di significato: molte cose etichettate come “senza glutine”, ad esempio, sono alimenti o bevande che non contengono mai glutine. Stesso discorso vale per frutta e verdura etichettata come “vegana”.

L’healthwashing riguarda in gran parte i prodotti alimentari, ma non solo: pensiamo ad esempio al marketing delle sigarette elettroniche, che sono presentate più salutari di quelle normali nascondendone i possibili rischi o ai prodotti sponsorizzati puntando sui loro presunti benefici per la nostra salute e il nostro benessere mentale.

Esempi pratici di healthwashing

VitaminWater

VitaminWater è un’acqua zuccherata con vitamine aggiunte prodotta da Coca-Cola. L’etichetta del prodotto spiegava che l’acqua conteneva vitamine che aumentano l’immunità e riducono il rischio di malattie e conteneva parole come “difesa”, “energia” e “resistenza”.

In realtà, i tre ingredienti principali sono acqua, zucchero di canna e fruttosio, che equivalgono a 33 grammi di zucchero in ogni bottiglia, una sostanza che causa obesità, diabete e altri problemi di salute e che è più dannosa dei dei benefici menzionati sull’etichetta.

Nell’ottobre 2015, l’azienda ha accettato di cambiare le etichette sulle sue bevande Vitaminwater per risolvere una causa legale in cui si sosteneva che i benefici per la salute fossero stati sopravvalutati.

“Multigrain” Pringles

Il termine “multicerali” è uno dei più lampanti esempi di healthwashing: tecnicamente, significa solo che contiene più di un tipo di cereali, ma non dà alcuna indicazione sulla loro natura, perché può trattarsi di cereali altamente raffinati. Non solo: non è una garanzia della salubrità di un prodotto, perché possono essere presenti altre sostanze dannose o può trattarsi di un alimento iperprocessato.

Se guardiamo al caso delle Pringles multicereali, questo è particolarmente evidente. Rispetto a quelle classiche, queste patatine contengono più farina di mais che patate secche, pochissima farine di avena e malto d’orzo, un pizzico di crusca di frumento e fagioli neri essiccati. Le etichette dei valori nutrizionali, però, sono praticamente uguali.

La Croix

La Croix è un marchio americano di acqua frizzante. Nel 2018, è stata oggetto di una causa legale a causa dell’etichetta che promuoveva l’acqua come “naturale”, mentre gli ingredienti reali erano sintetici.

Negli ultimi anni ci sono state centinaia di cause legali per l’uso della parola “naturale” sui prodotti alimentari: un claim profondamente controverso perché non solo non indica che un prodotto sia più sano, ma anche perché poco regolamentato e può essere utilizzato per indicare, ad esempio, che in una delle fasi della produzione è stato utilizzato un ingrediente naturale.

Healthwashing e salute mentale

Una variante dell’healthwashing è quella conosciuta come mental healthwashing o wellbeing washing, ovvero la pratica delle aziende che utilizzano il linguaggio e i concetti della salute mentale per commercializzare prodotti senza sostenere realmente la salute mentale.

Questa pratica può essere dannosa, perché come nel caso delle decisioni alimentari può indurre le persone a pensare che stanno facendo scelte sane e positive quando, in realtà, non lo stanno facendo. In alcuni casi, può anche contribuire allo stigma e alle incomprensioni sulla malattia mentale.

Un esempio di questa tecnica, ha spiegato Caroline Andrews su Compass Marketing,

è il termine “cura di sé”, che viene spesso utilizzato per promuovere prodotti che non hanno alcun collegamento reale con la salute mentale. Un’azienda potrebbe commercializzare una maschera facciale come forma di cura di sé, ma è improbabile che questo tipo di prodotto abbia un impatto significativo sulla salute mentale di una persona.

Lo stesso vale per quelle aziende che utilizzano il linguaggio della salute mentale per promuovere prodotti di cui non è stata dimostrata l’efficacia.

Ad esempio, un’azienda potrebbe commercializzare un integratore come un modo per ridurre l’ansia o la depressione, quando non ci sono prove scientifiche a sostegno di questa affermazione.

Le conseguenze e i rischi

Gli studi dimostrano che le indicazioni sulla salute riportate sulle etichette degli alimenti convincono gli acquirenti a tralasciare i dati nutrizionali (etichetta degli ingredienti) e a percepire immediatamente il prodotto come più sano.

Ciò significa che è meno probabile che il consumatore prenda una decisione informata quando sceglie in base al fascino e alla facilità di scegliere il prodotto che enfatizza ingannevolmente le proprietà salutari.

Chi acquista prodotti spinto da un marketing che ne enfatizza le proprietà salutari potrebbe quindi fare delle scelte nutrizionali scorrette e avere un’alimentazione complessivamente meno equilibrata, pur nella convinzione di seguire uno stile alimentare “sano”.

Come riconoscerlo ed evitarlo

Ci sono molti altri esempi di claim o indicazioni fornite delle etichette che possono rappresentare una tecnica di healthwashing. Tra queste, ci sono ad esempio:

  • Naturale
  • 100% naturale
  • Realizzato con ingredienti completamente naturali
  • Fatto con ingredienti veri
  • Fatto con vera frutta
  • Senza zucchero
  • Poche calorie
  • Poco grasso
  • Basso contenuto di sodio
  • Colesterolo basso
  • Senza colesterolo
  • Alto contenuto di proteine
  • Grasso ridotto, adipe ridotto
  • Meno calorie
  • Fonte di fibra
  • Fonte di omega-3
  • Fonte di probiotici
  • Privo di coloranti artificiali
  • Privo di aromi artificiali
  • Fortificato con…
  • Al forno, non fritto
  • Fornisce il XX% della quantità giornaliera raccomandata di…
  • Multicereali
  • Fonte di antiossidanti
  • Detox

Ovviamente, non tutti i prodotti che utilizzano queste indicazioni sono meno salubri di quanto il marketing vorrebbe presentare o tentano di ingannare il consumatore. Il modo per capire se si tratta di una strategia di marketing che amplifica l’attenzione su un particolare nutriente per nascondere altre componenti dannose e poco sane è quello di leggere l’etichetta degli ingredienti. In questo caso, più la lista è lunga e complessa e meno “naturale” e maggiormente processato è il prodotto. Soprattutto quando si tratta di alimenti, meno è meglio.

Gli ingredienti sono elencati in base alla quantità, dalla quantità più alta a quella più bassa. Questo significa quindi che il primo ingrediente dell’elenco è quello che il produttore ha utilizzato di più. zucchero raffinato, oli idrogenati (grassi trans), nitrato/nitrito di sodio, coloranti alimentari, aromi artificiali, carragenina, gomma di guar, ecc.

Attenzione anche alle porzioni: le etichette nutrizionali indicano quante calorie e sostanze nutritive sono presenti in una “quantità standard” del prodotto, anche se realisticamente questa è spesso molto più piccola di ciò che le persone mangiano in un pasto. Questo gioco fa sì che le persone non si rendano conto di quante calorie e zuccheri ci sono effettivamente in un prodotto.

Un altro modo per evitare di cadere vittima dell’healthwashing è ridurre la quantità di cibo confezionato, preferendo verdure fresche, frutta, legumi, cereali e noci.

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