Effetto Lucifero: cos’è e cosa spinge le persone ad essere malvage

Esperimento carcerario di Zimbardo ed effetto Lucifero sono argomenti con cui la psicologia sociale e non solo fa i conti da decenni, perché mette di fronte a caratteristiche spaventose dell'uomo. Vediamo di cosa si tratta e in che modo tutti noi possiamo diventare cattivi.

Siamo tutti capaci di compiere azioni crudeli, di diventare cattivi? La psicologia sociale ha individuato l’effetto Lucifero, secondo il quale un essere umano, posto in condizioni particolari, è in grado di oltrepassare il limite che delinea il bene e il male.

L’effetto Lucifero è il risultato di un esperimento effettuato nel 1971 all’Università di Stanford, ed è sicuramente ancora oggi una delle tesi più spaventose e preoccupanti della natura umana. Vediamo meglio di cosa si tratta e conosciamo l’esperimento da cui è nato.

Cosa si intende per effetto Lucifero?

Per effetto Lucifero si intende ciò che accade in una persona che, sotto determinate circostanze e situazioni, diventa cattiva, si trasforma nel male. L’espressione è nata dallo psicologo statunitense Philip Zimbardo che nel 1971 ha attuato l’esperimento delle carceri all’Università di Stanford.

Secondo la psicologia, tutti gli esseri umani vivono un dualismo: la parte più naturale e primitiva, legata ai bisogni, alle pulsioni, ai desideri; e la parte sociale, legata alla convivenza civile con altre persone, fatta di leggi, regole, etica.

I risultati raccolti da Zimbardo nei suoi studi e con l’esperimento, hanno determinato che, quando a una persona viene affidato un ruolo di potere, che viene da un’autorità superiore che controlla il suo operato, si scateni l’effetto Lucifero. Questa persona si identifica immediatamente con il ruolo di potere, inteso però come violenza e abusi, in poche parole il “male”. L’effetto infatti fa comprendere come un essere umano non compia il male, ma lo diventi lui stesso, perché si identifica con esso.

È un risultato spaventoso, poiché ci mette di fronte al fatto che, se ci dovessimo trovare in certi contesti, molto probabilmente assumeremmo comportamenti violenti e cattivi contro terzi. E le vittime potrebbero essere altre persone, ma anche creature ancora più innocenti come bambini o animali? L’effetto Lucifero è anche uno degli argomenti di discussione che prende parte al discorso dei funzionari nazisti, poi processati, e di come potessero compiere atrocità indicibili, per seguire ordini derivati dal Regime.

L’esperimento di Philip Zimbardo a Stanford

effetto lucifero
Fonte: iStock

L’esperimento di Zimbardo a Stanford è molto noto, specialmente per chi studia psicologia o materie affini. Si tratta di un punto chiave della psicologia sociale, anche se oggi è ritenuto poco ortodosso, per le modalità di esecuzione e le conseguenze psicologiche sui partecipanti.

L'”esperimento carcerario di Stanford” si proponeva di osservare in 14 giorni il comportamento di 24 studenti di sesso maschile rinchiusi in una struttura che riproduceva un carcere, nel seminterrato dell’Università di psicologia. I ragazzi selezionati erano ritenuti sani, psicologicamente e fisicamente.

In maniera casuale, vennero divisi in due gruppi, guardie e prigionieri, ruoli che i ragazzi dovevano interpretare. Si doveva trattare quindi di assoluta finzione. La ricompensa era di 15 dollari al giorno. Zimbardo e i suoi collaboratori non diedero né regole specifiche, né criteri di comportamento, a parte segnalare alle guardie che dovevano fare tutto quello che ritenevano necessario per mantenere l’ordine, evitando però abusi e punizioni fisiche.

L’inizio dell’esperimento fu effettuato in maniera molto realistica, con tanto di irruzione e arresto degli studenti diventati detenuti, da parte delle finte guardie insieme a veri poliziotti di Palo Alto.

Già dopo pochissimo tempo però l’esperimento ebbe come risultato l’effetto Lucifero: in entrambi i lati si assistette a una deumanizzazione totale. Le guardie persero l’identità e divennero un unico fronte informe violento e sadico, che effettuò abusi e punizioni molto gravi. E i prigionieri divennero delle vittime psicologicamente e fisicamente passive, impossibilitati a reagire. Lo psicologo si trovò così a dover interrompere l’esperimento già dopo 5 giorni, che furono comunque troppi considerando quello che lasciò che accadesse agli studenti.

Le conclusioni dell’esperimento

Le conclusioni dell’esperimento non riguardano solamente la capacità di ognuno di noi di perdere l’umanità e diventare cattivi, ma quanto la società ci condizioni. Dall’esperimento di Stanford infatti è emerso che, ciò che ha causato la deumanizzazione delle guardie, è stato l’effetto del ruolo da ricoprire, e soprattutto, la mancanza di regole morali e civili. La parte esteriore, ovvero il carcere, l’esperimento, la situazione esterna, ha preso il sopravvento, annullando completamente la parte interna dell’uomo, facendo vincere il male.

Il male farebbe quindi parte della natura umana stessa e può emergere in determinati contesti. L’effetto Lucifero dice proprio questo, ed è questa la realtà più preoccupante. Se questo è vero, significa che tutti noi potremmo comportarci come gli studenti diventati guardie nell’esperimento di Stanford, o come gli ufficiali nazisti che premevano i pulsanti delle camere a gas. E, da che parte ci troveremmo, sarebbe frutto soltanto di casualità, così come la scelta nella divisione dei due gruppi dell’esperimento.

Chiaramente queste conclusioni non sono complete, fanno riferimento soltanto al risultato dell’esperimento, e non considerano tanti altri aspetti. Sostenere che l’uomo non abbia libero arbitrio o possibilità di scelta, che le pulsioni malvagie dell’uomo siano contenute soltanto dagli accordi sociali, è una parte di un discorso molto più ampio. Può aiutare a riflettere su di noi e sull’essere umano, ma deve anche servire a comprendere come essere migliori, come evitare che atrocità del passato si ripetano in continuazione.

Effetto Lucifero e aggressività situazionale

L’aggressività è il modo in cui più comunemente una persona esterna la sua parte cattiva. La psicologia ha cercato di studiare anche questo fenomeno, che ha ispirato diverse ricerche, per comprenderne le cause. Alcune di queste si riferiscono alle condizioni interiori, come frustrazione, rabbia, e altre emozioni che scaturiscono in aggressività. Un’altra causa invece è il contesto esterno in cui si trova la persona che manifesta comportamenti aggressivi. Si tratta dell’aggressività situazionale.

Come visto nell’esperimento di Zimbardo, anche gli studenti ritenuti psicologicamente sani, in una situazione così estrema, sono diventati cattivi. L’aggressività può essere strumentale, ovvero servire a raggiungere uno scopo, come mantenere l’ordine tra i prigionieri. Oppure può derivare dall’annullamento delle responsabilità in un gruppo: è ciò che accade nelle situazioni di bullismo anche tra i più giovani. Fare del male e degli abusi in più persone, fa sì che l’individuo non si senta in colpa e non subisca le punizioni da solo.

Nonostante il legame tra le situazioni e l’aggressività, come abbiamo già detto, non si può dare la responsabilità di atti terribili soltanto al contesto esterno. L’essere umano è in parte malvagio, ma possiede anche caratteristiche che possono contrastare le situazioni, come l’empatia e l’intelligenza emotiva, che possono diventare armi importanti.

L’esperimento delle carceri e il concetto di effetto Lucifero fanno riferimento esclusivamente alle condizioni per cui l’uomo, se arriva al punto di perdere la sua identità, può manifestare un’aggressività disumana.

La salute mentale nelle carceri

Un tema molto delicato oggi è la salute mentale nelle carceri, un problema già evidenziato negli anni ’70 dall’esperimento di Zimbardo. Ancora oggi la funzione principale degli istituti penitenziari è punitiva, e nella maggior parte di essi non esiste una corretta gestione delle patologie psicologiche che sono invece molto diffuse. Stati d’ansia, depressione, aggressività, disturbi della personalità, disturbo da stress post traumatico, sono ad alto rischio in condizioni estreme come quelle di una prigione.

Secondo il report riportato da Rapporto Antigone del 2022 le diagnosi psichiatriche gravi ogni 100 detenuti sono state il 10% nei carceri maschili a fronte del 12,4% delle detenute donne. Il 20% dei detenuti assumeva farmaci stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi, mentre al 40,3% erano somministrati sedativi o ipnotici. Le donne che facevano uso regolare di psicofarmaci ammontavano addirittura al 63,8%.

Sempre segnalato da Rapporto Antigone è il risultato della statistica del Ministero della Giustizia del 2019, nel quale si sono registrati 53 suicidi, 8,7 ogni 10.000 detenuti, e 939 tentativi di suicidio. Questi dati aiutano a far comprendere quanto il carcere sia una condizione di estremo rischio per patologie mentali, e che oggi, a quasi 10 anni dalla chiusura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari, non vi sia una soluzione adeguata al trattamento dei detenuti con disturbi psichiatrici.

Emergono inoltre dai rapporti determinate condizioni che aumentano il rischio di problemi della salute mentale: la solitudine, la paura, lo stress, il sovraffollamento, le attività di formazione o lavoro, la limitazione degli spazi personali, le dimensioni della cella. Ma anche condizioni come il genere: secondo le ricerche, le donne in carcere sarebbero più a rischio di disturbi legati all’ansia e alla depressione. Inoltre, le risorse culturali influiscono sulla salute mentale dei carcerati.

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