"Sono femminista ma...": il femminismo può essere liberale?

Il femminismo può essere liberale? Può credere nei principi del capitale? E se lo fa, è femminismo? Sono domande difficili, a cui solo il femminismo sa sopravvivere. Nella storia pochi movimenti, e certamente nessuna ideologia, sono stati in grado di sopravvivere a sé stessi come il femminismo.

Il femminismo può essere liberale? Può credere nei principi del capitale? E se lo fa, è femminismo?
Sono domande difficili, a cui solo il femminismo sa sopravvivere. Nella storia pochi movimenti, e certamente nessuna ideologia, sono stati in grado di sopravvivere a sé stessi come il femminismo. Elastico e coerente al punto da accogliere la critica e rinnovarsi, costantemente. Addirittura, la pratica femminista, prevede che i singoli e i gruppi si impegnino non solo per cambiare l’esterno, ma per cambiare sé stess* dall’interno. Decostruendo quei percorsi sistemici e altamente oppressivi che tutt* in un modo o nell’altro introiettiamo.

Definire il femminismo liberale

Il femminismo liberale è un femminismo conservativo, che integra nel suo disegno di rielaborazioni sociali schemi già esistenti. Si divide in femminismo liberale egalitario, che integra lo Stato come attore attivo, e Classico, che prescrive un intervento limitato dello stato.
Nella definizione che Arruzza, Bhattacharaya e Fraser hanno inserito nel loro Femminismo per il 99% il femminismo liberale “si concentra sulla strategia del “farsi avanti” e su quella “rottura del soffitto di cristallo” dandosi come scopo l’arrivo di poche persone, già privilegiate, in quei vertici sociali appannaggio del maschile.

L’accezione liberale sposa l’idea che il genere sia un costrutto sociale, ritiene che l’accesso a istruzione e mondo del lavoro siano elementi imprescindibili per la realizzazione dell’eguaglianza.

Da qui nasce la critica più stringente, un femminismo che non mette in discussione il sistema economico, i rapporti di produzione, e che incentiva il lavoro come mezzo di emancipazione non rischia, nel pratico, di non integrare la lotta di classe e la lotta antirazzista nel proprio paniere di obiettivi? Dopotutto, l’emancipazione di un certo ceto sociale femminile, bianco ed abbiente, si è costituita non rielaborando la distribuzione dei rapporti di cura tra membri dello stesso gruppo familiare, ma demandando quei lavori a gruppi di donne la cui liberazione non era contemplata, donne povere e donne nere e povere. Si dipana quindi uno schema di delega, di spostamento e non di effettiva emancipazione. Anzi, la costruzione di una maggiore, non assoluta, libertà per qualcuno, in un contesto che non destruttura il sistema sociale ed economico, si traduce solo nell’acquisizione di un singolo privilegio, non nel radicamento o nella diffusione di un diritto.

La natura orizzontale del femminismo

Il femminismo nasce come un movimento orizzontale, la sua teoria essenziale propone la lotta per l’equità, per il riconoscimento dell’iniquità e quindi una ricalibrazione profonda, rivoluzionaria di ciò che si offre come un fatto di natura: il sistema umano. L’umanità è cultura, perché la natura stessa dell’essere umano è produrre cultura. E così che ci siamo aggregati, con una cultura della condivisione, è cosi che ci siamo narrati e parlati, con una cultura della comunicazione ed è così che continuiamo a formarci, con una produzione costante di cultura. Il sistema in cui viviamo non è un fatto di natura, anzi, è proprio una costruzione collettiva, spesso però verticale, di un tessuto sociale condivisibile, un accordo per dirla alla Hobbes. Ma non tanto, perché homo homini lupus, piuttosto perché siamo portati a produrre una narrazione per esistere, perché fa parte del nostro esistere. Comunichiamo a parole, a gesti, con arte e lavoro, con la nostra stessa identità e con il non dire niente.

Costruttori di cultura o accumulatori di capitale?

Costruiamo e proseguiamo. Ed è così che è nato il capitale. Non era già presente sulla Terra, non è un monolite caduto dal cielo, non era nascosto nelle profondità di una foresta e nemmeno in un’oscura cavità del nostro corpo. L’abbiamo inventato. Abbiamo preso manciate di cose e le abbiamo suddivise, abbiamo visto che meno raggruppamenti producevano mucchietti più corposi e abbiamo stabilito che il desiderio potesse essere un buon motivo per crearne sempre di meno e di più colossali. – Sia chiaro che questa è una semplificazione, per approfondire ci sono tomi esemplari come “Capitale nel xx secolo” di Picketty da consultare e per un tempo più lungo di quello che la lettura di questo articolo può richiedere. – Il potere e il capitale si sovrappongono così spesso, che nemmeno lo notiamo. Tant’é che molti disvelamenti richiedono sforzi diffusi in più ambiti prima di realizzare che, alla fine, si tratta sempre del medesimo problema: la concentrazione. La concentrazione di capitale e di potere è anche una concentrazione di potestà decisionale, di privilegio e quindi della possibilità di disporre degli altri come più si confà ai bisogni di accumulo di chi detiene la concentrazione maggiore.

Espropriare come pratica femminista

Il femminismo è, per definizione, un’espropriazione del potere accentrato, una sua rielaborazione da potere a diritto votata alla redistribuzione universale e non concentrata. Quindi, come potrebbe il femminismo essere liberale e andare a braccetto in un sistema che ragiona per diritti elitari e non diritti universali?
Forse, più che femminismo, è una forma di adattamento del sistema, che rimane nelle sue strutture ma si tinge di interesse collettivo, senza smuoversi e senza abbandonare il vertice della piramide. Dall’alto getta qualche piccola compensazione, qualche luccicante gemma, ma il malloppo vero e proprio non lo abbandona mai. Non può immaginare che altre mani lo sfiorino, o addirittura che l’idea che esso sia interessato da un possesso venga distrutta.
Quindi, il femminismo, può essere liberale? C’è chi sostiene che il femminismo liberale abbia fallito, ma forse il femminismo liberale non è mai stato femminismo.
Perché il femminismo lotta contro il patriarcato capitalista e razzista, perché il femminismo ne è l’antitesi teorica e pratica.

Contraddizioni in termini

Il femminismo liberale è una contraddizione, in buona sostanza è un po’ come asserire che si è femministi perché si crede nella parità salariale e al contempo sostenere che l’accesso all’aborto non sia un diritto. Non è femminismo, ma uso della parola solo per godere dei vantaggi rispetto ad un proprio interesse.
Sono femminista ma credo nel capitale, è un’avversativa: il “ma” nega la prima parte di una frase.
Negare una porzione ideologica così corposa all’interno di una conversazione tanto complessa significa indebolire l’idea politica stessa, piegarla ad una sua versione depotenziata e blanda, priva di quel potenziale e di quella portata riformatrice propria del femminismo stesso.

 

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