Cosa estroversi e introversi possono insegnarsi a vicenda per essere più felici

Le persone introverse, così come quelle introverse possono imparare le une dalle altre ad essere più felici: a rivelarlo è la scienza e i numerosi studi condotti durante il periodo della pandemia legata al Covid-19.

Innumerevoli ricerche di carattere sociologico e scientifico condotte negli ultimi decenni hanno sottolineato più volte come le persone estroverse presentino un vantaggio significativo in termini di felicità rispetto a quelle introverse: godrebbero infatti non solo di uno stato di benessere generale costante e maggiore ma anche di momenti di gioia più frequenti.

Tuttavia, a giocare un ruolo fondamentale nel determinare un radicale cambiamento di rotta, è stata la pandemia legata al Covid-19: colpendo l’intera popolazione mondiale, notevole è stato l’impatto sulle differenti caratteristiche legate alla personalità del singolo, come attestato da una ricerca pubblicata sulla rivista scientifica PLOS One mediante la quale gli autori hanno avuto modo di valutare come l’umore, in un contesto come quello pandemico o nel dettaglio, legato al lock-down, subiva un drastico peggioramento nei soggetti estroversi, migliorando al contrario per i soggetti introversi presi in esame.  

Al contempo, il quadro creato dalla pandemia, e da quanto dalla stessa è conseguito, ha fatto si che prendesse vita una sorta di esperimento sul campo delle scienze sociali, lo stesso che ha evidenziato tutte le modalità secondo le quali introversi ed estroversi possono in qualche modo imparare gli uni dagli altri, traendone un conseguente beneficio.

Gli psicologi considerano l’estroversione come uno dei tratti della personalità compresi tra i Big Five, insieme alla gradevolezza, all’apertura, alla coscienziosità e al nevroticismo: la cosiddetta “Teoria dei Big Five” ha rappresentato un punto fermo della psicologia sin dagli anni ’80, sebbene il binario introverso-estroverso sia stato di fatto reso popolare per la prima volta nel 1921 dallo psichiatra svizzero Carl Jung.

Già allora il luminare aveva compreso come introversi ed estroversi presentassero obiettivi di vita primari differenti: i primi, riteneva infatti che cercassero di raggiungere la propria autonomia e indipendenza mentre nel caso degli estroversi, l’obiettivo è sempre stato rappresentato dall’unione, dalla socialità e dalla crescita dei rapporti interpersonali, entrambi stereotipi che permangono tutt’ora. 

Lo psicologo tedesco Hans Eysenck negli anni ’60 sviluppò ulteriormente la teoria formulata da Jung, sostenendo come a determinare l’estroversione sia la genetica: egli riteneva infatti che l’eccitazione-corticale, ovvero l’area del cervello deputata a definire il livello di attenzione, fosse più difficile da sviluppare per gli estroversi rispetto agli introversi, dando dunque una spiegazione alla continua ricerca di una sollecitazione data dalla compagnia e, idealmente dalla società, da parte degli stessi. Ulteriori studi successivi sulla teoria di Eysenck, per quanto abbiano restituito risultati contrastanti, hanno al contempo mostrato chiare differenze cognitive tra estroversi e introversi.

Una spiegazione comune circa la sostanziale differenza del livello di felicità che caratterizzerebbe introversi ed estroversi, deriva dunque da quanto concluso da Jung ed Eysenck: gli esseri umani sono animali intrinsecamente sociali, quindi il contatto comporta inevitabilmente felicità. Gli estroversi cercano il contatto e la socialità, rivelandosi dunque conseguentemente più felici. Tuttavia, che gli introversi preferiscano la solitudine e spesso presentino un rapporto conflittuale con la socialità così come paure quali la glossofobia, questo non implica che tale atteggiamento li renda necessariamente più felici, pur assecondandone le attitudini più spontanee.

Viene da sé che, le persone introverse, così come quelle estroverse, non dovrebbero escludersi vicendevolmente: ogni gruppo può infatti dare l’uno una preziosa lezione all’altro, determinando in un proficuo clima di scambio, una condizione di benessere generale. Il self made man o woman difficilmente porta infatti risultati benefici e vantaggiosi sulla psiche.

Gli introversi dovrebbero concentrarsi maggiormente sul futuro, esattamente come fanno gli estroversi. Nel 2001, un gruppo di ricercatori di Oxford ha suddiviso un campione di intervistati in quattro gruppi: estroversi felici, estroversi infelici, introversi felici e introversi infelici. In particolare gli estroversi felici parte del progetto, erano più numerosi degli introversi felici, in rapporto di circa 2:1. Quanto emerso è stato a dir poco sorprendente: gli studiosi hanno riscontrato in entrambi i gruppi attenzionati le medesime caratteristiche quali ottimismo, desiderio di raggiungere uno scopo della vita e autostima

Se gli estroversi felici amano parlare agli altri del proprio futuro, dei propri sogni, dello scopo della loro vita, gli introversi felici immaginano il proprio futuro pur evitandone la condivisione con gli altri, tendendo invece a stringere amicizie individuali con le quali condividere i propri pensieri solo se e qualora lo desiderino. Come gli psicologi hanno da tempo dimostrato, si tende infatti ad agire in base agli impegni e agli obiettivi che sono stati articolati e condivisi con altri. Viene da sé che proprio la naturale propensione degli estroversi a raccontare e a condividere i propri obiettivi, permette loro di perseguirli con maggiore facilità, e di essere di conseguenza più felici. 

Gli estroversi invece, per quanto appaia potenzialmente difficile poiché amanti del pubblico, della socialità e dell’eccitazione da questa generata, dovrebbero imparare proprio dagli introversi, a lavorare sulle amicizie profonde che questi ultimi tendono a stringere con maggiore frequenza: le amicizie più intime non solo permettono di disporre di un punto di riferimento col quale condividere sogni e aspettative, ma al contempo, generano già di per sé felicità, rappresentando una notevole fonte di soddisfazione, nel momento stesso in cui il rapporto che si instaura, si rivela trasparente e totalmente disinteressato.

Ciò che la pandemia ha inevitabilmente mutato nell’ultimo biennio e in quelli che erano i ritmi di vita precedente, ha costretto gli estroversi a una sorta di ritiro sociale: questo spiegherebbe dunque questa vera e propria “inversione di rotta” relativa alla felicità che tocca invece gli introversi, troppo spesso considerati infelici. Tale contesto costituisce altresì l’opportunità proprio per gli estroversi, di coltivare amicizie più vere per quanto questo non rappresenti una tendenza di per sé naturale e spontanea. E qualora non sappiano come intraprendere questo percorso, è sufficiente osservare un introverso e trarne ispirazione.

Al di là delle specificità dell’introversione e dell’estroversione, tutto questo suscita inevitabilmente un’importante riflessione: guardare e imparare da persone molto diverse da sé è la soluzione ottimale per imparare a essere più felici. Circondarsi di persone uguali a sé e con le medesime caratteristiche non può essere di ispirazione al fine di aumentare il livello di soddisfazione personale. Per costruire la felicità, c’è dunque bisogno di introversi, così come di estroversi, rigorosamente insieme. 

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