Thembi Nkambule è una donna che prova a cambiare le cose. E lo fa cercando di tenere viva una tradizione positiva. La tradizione positiva è quella della “buona morte”, ossia un’usanza in vigore nei Paesi africani per cui le persone prendono commiato dalla vita intorno alle persone che amano e cercando di risolvere i problemi che fino a quel momento restano irrisolti.

Le persone che muoiono improvvisamente non possono farlo, e chi soffre per una lunga malattia dà tante preoccupazioni ai propri cari per il dolore che subisce. Così Thembi applica la tradizione della buona morte con i malati di Aids.

Come riporta la Bbc, Thembi Nkambule vive in Eswatini, un Paese che presenta un tasso di incidenza del 26% di Hiv tra la popolazione, in particolare tra i ventenni. Anche Thembi ha l’Hiv, ma già da prima del risultato positivo al test ha iniziato a lottare affinché le persone che ne venivano colpite non risentissero dello stigma sociale che spesso accompagna questo virus. La donna ha conosciuto l’Hiv a metà degli anni ’90: alcuni suoi compagni di università andarono a donare il sangue e scoprirono di averlo. Poco dopo, semplicemente, sparirono. Si chiusero in un esilio volontario nelle proprie case.

C’erano voci in giro – ha raccontato Thembi – che il loro sangue era stato trovato contaminato da una malattia mortale. Nulla è stato confermato dal governo o dalle autorità, ma le voci dicevano che quando hai avuto questa malattia, non c’era speranza, sei semplicemente morto.

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Successivamente hanno iniziato a fioccare delle dichiarazioni agghiaccianti: autorità religiose e politiche hanno iniziato a bollare i malati di Hiv come persone che indulgevano in rapporti sessuali perversi. Una cosa che è capitata anche a noi, quando l’alone viola delle Pubblicità Progresso veniva incollato sulle persone Lgbt e si aveva il terrore di questa malattia. Che non si prende con i baci, con gli abbracci, usando lo stesso bagno, ma solo con contatto di sangue infetto su ferite aperte e rapporti sessuali non protetti.

La stessa Thembi Nkambule si è ritrovata a spiegarlo, con il marito, ai propri figli, quando ha raccontato loro di aver preso l’Hiv nel 2002. E soprattutto quando ha deciso, a differenza della vergogna che gli altri provavano, di dirlo a tutti, di non nascondersi agli occhi del mondo. Ma prima ancora, quando ha iniziato a lavorare in una scuola superiore, dove anche i suoi studenti si ammalavano, aveva deciso di aiutare le persone malate, chiuse nella propria solitudine della malattia.

A volte bussavo alle porte – ha spiegato – e le persone non mi lasciavano entrare. Si vergognavano troppo. Ma ho aspettato e ho detto loro che ero qui se mi volevano. Non avevo paura di loro.

Dal 2002 a oggi sono cambiate alcune cose in Eswatini, una importantissima: i farmaci retrovirali che permettono all’Hiv di non progredire e alle persone di non morire di Aids sono passati da un costo di 50 dollari a un costo inferiore a 1 dollaro. E inoltre le persone hanno deciso di abbracciare la dolce morte, di riconciliarsi con il proprio mondo e di non vergognarsi per la malattia, seguendo quello che Thembi diceva loro.

Sapevo che qualunque cosa mi fosse successa – ha detto Thembi riferendosi alla sua malattia – avrei avuto bisogno di aiuto e sostegno dalle persone che amavo. Se mi fossi nascosta nella vergogna e nel segreto avrei potuto anche essere morta. […] La prendo molto sul serio – ha continuato sul suo ruolo di aiuto in punto di morte alle persone con Hiv – posso vedere cosa vogliono da me in quel momento senza che abbiano nemmeno bisogno di dire nulla. Alcuni vogliono che tenga loro la mano. Altri non vogliono essere toccati ma vogliono qualcuno presente. Tratto ogni persona come un individuo. Do loro quella dignità.

Purtroppo Thembi Nkambule si appresta ad affrontare un’altra dura lotta a causa del Covid-19. Con la pandemia prima e con l’epidemia in corso, com’è accaduto un po’ in tutto il mondo, le risorse sanitarie si sono concentrate sul contrasto al coronavirus. Questo significa che molte persone con l’Hiv non sono state curate adeguatamente e soprattutto non si è potuto procedere con la prevenzione, attraverso la distribuzione di preservativi, la barriera più importante alla diffusione della malattia. Nel 2020, il 42% delle nuove infezioni di Hiv nel mondo ha colpito giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, e l’80% di questi vive nell’Africa sub-sahariana.

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