La prostituta d’alto bordo, secondo la definizione che ne dà la Treccani, ha “una clientela ricca e socialmente elevata“; una figura che dalla letteratura e dal cinema, in Pretty Woman come nel recente Madame Claude (disponibile su Netflix), è stata spesso mitizzata, sfumando i confini di quello che a tutti gli effetti è la vendita del proprio corpo e lo sfruttamento di tale vendita da una parte terza.

I bordelli frequentati da uomini facoltosi e potenti non sono meno squallidi delle bettole dove ragazzine minorenni, spesso vittime di tratte, sono costrette a offrire sesso per pochi spicci. In entrambi i casi, abusi e violenze da parte dei clienti (che la protagonista del film diretto da Sylvie Verheyde invita a chiamare “amici”) sono all’ordine del giorno: uomini che si sentono legittimati a disprezzare e umiliare le donne che hanno pagato per soddisfare i propri bisogni sessuali.

«Le donne sono vittime del sistema della prostituzione da innumerevoli autori e allo stesso tempo vittime di una società che non solo consente ma incoraggia la prostituzione accettandola come un “lavoro come un altro”. Siamo vittime di una società cieca da un occhio, che promuove la ricchezza di pochi privilegiati sulle sofferenze di un numero incalcolabile di donne e bambini», come ha raccontato Marie Merklinger, una delle sopravvissute di SPACE International, l’associazione internazionale di donne fuoriuscite dall’industria del sesso.

Escort o squillo, puttane o entraîneuse si tratta spesso di donne vittime di oppressione razziale, economica e di genere; uno sfruttamento che è a tutti gli effetti una violazione dei diritti umani ai danni di soggetti vulnerabili.

In Italia, le case di tolleranza sono state chiuse nel 1958, grazie a quella che è conosciuta come Legge Merlin, dal nome della promotrice e prima firmataria, la senatrice Lina Merlin, che abroga le disposizioni emanate dal governo Crispi (nel 1883) e punisce il reato di sfruttamento e favoreggiamento della prostituzione. Negli ultimi anni, nel nostro Paese non sono mancate iniziative bipartisan con proposte di istituzione nelle città di zone dedicate alla prostituzione, con relativo pagamento delle tasse da parte delle prostitute.

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Allo stesso tempo, a partire dagli anni Ottanta, sono nati gruppi organizzati di sex workers che rivendicano la libera scelta di prostituirsi, combattono contro lo stigma e l’emarginazione sociale per il diritto all’esistenza e denunciano la mancanza di tutela, gli abusi e la criminalizzazione a cui sono sottoposte.

Un dibattito tutt’ora aperto che non trae certo giovamento da ritratti che edulcorano la questione o prese di posizioni ideologiche che non tengono conto dei diritti e dei doveri dei soggetti coinvolti.

Perché vedere Madame Claude

Gira a vuoto Madame Claude, il film scritto e diretto da Sylvie Verheyde sulla maîtresse più famosa di Francia nel secolo appena concluso. Presa come è a raccontare nel modo più asettico possibile la storia di Fernande Grudet, Verheyde non fa appassionare a nessuno dei personaggi, pretendendo di dare un passato alla protagonista tramite il suo amore infantile per una capretta. Altrettanto distanti si resta dalla giovane Sydonie, prostituta per noia e non per necessità, violentata dal padre quando era bambina, che fuma centinaia di sigarette e si diletta in performance saffiche.

Siamo lontani dalla Severine di Belle de Jour di Luis Buñuel, per citare il film più celebre sulla prostituzione scelta non per bisogno, ma anche dal più recente Hustlers (Le ragazze di Wall Street – Business Is Business) di Lorene Scafaria, che nettato dalle scene in cui Jennifer Lopez si esibisce in complesse acrobazie di pole dance (il ruolo di Ramona le è valso una nomination ai Golden Globe), è stato capace di gettare uno sguardo fresco sulla solidarietà tra donne. La regista francese, invece, rimane alla superficie di ogni aspetto toccato, senza mai riuscire a essere corale nel suo racconto.

Si vaga così tra luoghi comuni conditi da frasi d’effetto come “Gli uomini ci trattano da puttane e decisi di essere la regina delle puttane” a “Gli uomini decidono perché hanno il potere“: insomma, si vive benissimo anche senza.

Perché vedere Madame Claude? Se si è appassionati di moda francese degli anni Sessanta non si può che rimanere incantati dagli abiti Yves Saint Laurent (che non a caso proprio vestendo Catherine Deneuve nel capolavoro di Buñuel aveva fatto molta della sua fortuna) che lo stilista Anthony Vaccarello ha messo a disposizione di Isabelle Pennetier. La costumista ha creato così dei guardaroba, sia per Madame Claude che per Sydonie fatto di mise strepitose, cappelli (della celeberrima Maison Michel) e costumi da bagno (della francesissima Ères) compresi.

Scheda del film

Sylvie Verheyde dirige il biopic su Fernande Grudet, per anni a capo della rete di prostituzione d’alto bordo più esclusiva di Parigi. In città, negli anni ’60, l’influenza di Madame Claude si estende oltre il meretricio, fino a quando l’arrivo di una giovane ricca rischia di far crollare il suo impero.

Nei panni della protagonista c’è Karole Rocher, attrice francese conosciuta per la serie tv Braquo e i film Polisse e Paris la blanche. Tra gli altri protagonisti, Roschdy Zem , Garance Marillier, Pierre Deladonchamps e Hafsia Herzi.

Il film è disponibile su Netflix.

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